Quello dei “bullet hell” è un sottogenere particolare. Viene facile dire “sparatutto”, un po’ meno contestualizzare questa parola. Oggigiorno con il termine sparatutto si indicano quelli in prima persona, detti anche first-person shooter o FPS (acronimo con cui si indicano anche i fotogrammi al secondo, portando solitamente ad equivoci degni dei film di Pupi Avati), dimenticando però che esistono anche sparatutto in terza persona come Fortnite e twin-stick shooter (“sparatutto a doppia leva”) con visuale dall’alto come The Binding Of Isaac.
E poi ci sono gli sparatutto “a navicella”, detti anche shoot-em-up, che tra i loro avi vantano nientemeno che Space Invaders. Gli “shmup” hanno anche dato vita al sottogenere del cosiddetto “inferno di proiettili”, detto anche danmaku (“sipario di proiettili”) in Giappone o, colloquialmente, bullet hell. Mentre il pioniere di questa “variazione sul tema” è stato Recca per NES, il genere è stato tenuto perlopiù in vita dalla nicchia dei fan della serie Touhou.
Esplorare il fattore di nicchia dei bullet hell e menzionare proprio Recca ci porta al gioco che recensiamo oggi, Ghost Blade HD, a causa della storia analoga dietro al suo sviluppo.
Gli artigiani delle sparatorie
Non essendoci una trama vera e propria in Ghost Blade HD, ciò di cui possiamo parlare è appunto la storia dello sviluppo del gioco, a grandi linee. Per farlo, però, dobbiamo riaprire brevemente la parentesi di Recca.
Il gioco è stato sviluppato per Famicom – l’equivalente nipponico del Nintendo Entertainment System – esclusivamente per l’utilizzo in un torneo chiamato Summer Carnival; per il resto, il titolo era destinato a rimanere inedito. Un peccato, questo, visto che Recca ha spinto l’hardware del NES ai suoi limiti a livello di motore grafico e sonoro. Nel 2012, però, la svolta: Nintendo è riuscita nel suo intento di ripubblicare il gioco su Nintendo 3DS in Giappone il gioco sotto il titolo di Summer Carnival ’92: Recca, esponendolo al pubblico per la prima volta, per poi ripetersi in occidente l’anno successivo.
Ghost Blade ha fatto lo stesso con il suo debutto su Sega Dreamcast… nel 2015, quando l’utenza della console aveva già ampiamente migrato altrove. Ora, però, questo progetto di stampo indubbiamente artigianale è pronto a scoccare su console le frecce nel suo arco con il nuovo nome di Ghost Blade HD. Ci riuscirà?
“Schiva questo!”
Citare Trinity dalla trilogia di Matrix è il modo più appropriato per descrivere il gameplay di un qualsiasi bullet hell: una volta scelta la nostra navicella, dobbiamo schivare una miriade di proiettili provenienti da ogni direzione restituendo una altrettanto abbondante scia di missili e raggi laser.
Detto così, può sembrare proibitivo, e per certi versi lo è: morire può essere veramente facile, ma dalla nostra abbiamo un punto di forza che caratterizza questo sottogenere di shoot-em-up da sempre. Parliamo del nostro hitbox (la nostra “area” in cui possiamo essere colpiti), che contrariamente agli shmup più “normali” è molto più piccolo della nostra navicella, permettendo a qualunque attacco di oltrepassare ali e abitacolo del nostro velivolo senza scalfirlo, a patto che il centro della nave non subisca attacchi di alcun tipo.
Su questa premessa, però, Ghost Blade HD costruisce ben poco. Il gioco presenta quattro modalità principali: una modalità arcade per giocatore singolo, una per due giocatori, una modalità allenamento e una modalità dove bisogna solo mirare al punteggio più folle che si riesce a raggiungere.
Ognuna delle quattro modalità esordisce con la scelta tra tre personaggi (femminili, ovviamente) ed altrettante navicelle, che però si differenziano ben poco nell’influsso che hanno sul gameplay al di fuori della frequenza con cui dispensano proiettili. Apprezziamo, però, l’idea di prendere da altri shoot-em-up la possibilità di ampliare il proprio ventaglio di proiettili tramite dei droni disposti intorno alla navicella in base al personaggio scelto, che ci ha ricordato tanto Shoot1UP per Xbox 360, così come abbiamo gradito il citazionismo con cui una delle ragazze è stata chiamata “Rekka”.
Al di fuori dei nomi intravisti negli obiettivi del gioco, di cui parleremo più tardi, il gioco non si scuce minimamente su quale possa essere la sua trama, il suo mondo o i suoi personaggi, quindi passiamo direttamente alle quattro modalità da sviscerare.
La modalità arcade per giocatore singolo mostra gli elementi che bene o male accomunano ogni modalità di gioco: lo stage, a scorrimento rigorosamente verticale, prevede l’abbattimento dei (o la sopravvivenza ai) mille pericoli pronti a crivellarci di proiettili laser, ai quali dovremo appunto rendere pan per focaccia. Al termine dello stage, poi, una sirena (con tanto di “WARNING” in stile Mega Man) ci avvertirà dell’arrivo di un colossale boss, tanto imponente quanto simile al resto del livello nella pletora di attacchi pronto a dispensare partendo da ogni direzione.
La parte “ghost” del titolo, forse, allude alla pressoché totale mancanza di punizioni per il giocatore che non riesce a tenersi strette le poche vite con cui inizia la partita. Il concetto di “game over”, infatti, quasi non esiste, visto che basta scegliere l’opzione “continua” per riprendere a giocare non solo partendo dal livello raggiunto, ma addirittura dal punto in cui si ha perso l’ultima vita. Indubbiamente un compromesso permissivo rivolto ai novizi ancora inesperti del genere, nonché un azzeccato residuo della gettonata anima arcade del titolo, ma altrettanto anticlimatico per i veterani.
La modalità a due giocatori non si discosta particolarmente dalla modalità arcade a giocatore singolo, in quanto offre esattamente quanto promette: la possibilità di fare la stessa cosa, ma in co-op. Nella sua semplicità, però, questa aggiunta riesce bene o male a divertire, e piazzarsi entrambi nello stesso punto offre contemporaneamente sia la possibilità di unire i flussi come nel già citato Shoot1UP che il rischio di venire abbattuti dal medesimo proiettile.
La modalità allenamento, dal canto suo, consiste esattamente in quanto dice il nome: la possibilità di affrontare uno dei livelli, o uno degli altrettanti boss, sbloccati fino a quel punto senza alcun rischio di rappresaglie. A svolgere un ruolo pressoché identico giunge dunque la modalità punteggio, con la quale il gioco ci mette di fronte al medesimo gameplay dell’arcade per giocatore singolo togliendo ulteriori difficoltà dall’equazione con una scorta infinita di vite. La priorità, qui, diventa quella di segnare quanti più punti possibile.
Ora che abbiamo descritto le quattro diverse modalità di gioco, vanno spese due parole sulle altre voci del menù principale. La prima consiste nelle classifiche, divise in classifiche locali e online e a loro volta filtrate in base alla difficoltà in cui si riesce a raggiungere il punteggio maggiore, dalla minima alla massima. In puro stile sala giochi, il nome con cui si può salvare il proprio punteggio mette a disposizione un numero limitato di caratteri.
Nelle opzioni, però, figura una caratteristica del gioco tanto succosa da fare capolino nel trailer: dato il layout dei livelli, tanto verticale da necessitare di bordi ai due lati, il gioco include una modalità “Tate” con la quale è possibile disporre l’usuale formato 16:9 in cui siamo ormai abituati a concepire i videogiochi in un modo ancora più congeniale al gameplay.
Il risultato, come illustrato qui sopra, è stato concepito con la modalità “tabletop” di Nintendo Switch in mente, anche se in alternativa nulla ci impedisce – teoricamente – di stare sdraiati su un lato di fronte al televisore.
Un gioco “da spararsi”
Per quanto concerne il lato tecnico, con il quale ci avviciniamo alla schermata dei punteggi di questa recensione, la definizione più laconica per questo gioco è quella di un titolo senza alcuna infamia né lode.
Partiamo dal motore grafico. Va detto che i movimenti sono fluidi e chiari da seguire, una caratteristica essenziale per qualunque bullet hell a prescindere dall’orientamento dello schermo su cui si gioca. Al di fuori dello stile artistico di stampo tipicamente nipponico, sprizzato da ogni poro delle (poche) illustrazioni che fanno capolino nel gioco e visto nelle (altrettanto poche) variazioni sul tema degli sfondi, Ghost Blade HD mostra un gradito mix tra sprite e modelli poligonali: ha funzionato nel primo New Super Mario Bros. per Nintendo DS, perché non dovrebbe funzionare qui? L’unica spettacolarità, però, viene data più dal numero di proiettili presenti su schermo che dal motore grafico in sé, quindi siamo sul sei politico.
Lo stesso discorso lo si può fare per il comparto sonoro che ci propone il gioco, ricco di sonorità techno come ci si può aspettare da un titolo di questo stampo. In altre parole, è una colonna sonora sì adatta al genere, ma al contempo penalizzata dalla medesima sensazione di anonimato già assaporata in Gun Gun Pixies. Le ali del fattore audio vengono però ulteriormente tarpate dalla distrazione dovuta a tutto ciò che bisogna seguire sullo schermo. Ad ogni modo, non siamo di fronte a U. N. Owen Was Her? della serie Touhou, poco ma sicuro.
La longevità ci porta agli obiettivi menzionati precedentemente. Nulla di particolarmente eclatante, in quanto anche le azioni più banali possono esserci riconosciute; poi, però, iniziano a spuntare gli obiettivi che richiedono le difficoltà più alte, un numero di morti pari a zero, e un certo quantitativo di ore di gioco all’attivo. Queste sono caratteristiche con cui il gioco ci fa capire che, sebbene rivolto a tutti, intende premiare soprattutto i veterani e i neofiti più pazienti. Come per le altre due caratteristiche descritte in questa sezione finale della recensione, anche qui abbiamo a che fare con un sei risicato; sta al giocatore capire se pende più verso il cinque o verso il sette, visto quanto possa essere soggettiva la percezione degli effettivi meriti del gioco in questo senso. Ma per i quindici euro che Ghost Blade HD chiede di default, quello che offre è un po’ poco.