A pochi giorni dall’annuncio di Ghost on the Shore da noi puntualmente riportato abbiamo potuto degustare in prima persona questo titolo mistery.
Come prevedibile, ci siamo trovati di fronte ad una storia piena di segreti da svelare e dotata di ottime premesse narrative, oltre ad un cast che da due personaggi centrali si è tramutato in una moltitudine di figure evanescenti, ciascuna dotata di una propria storia da raccontare ma soprattutto da scoprire, al netto di qualche opinabile problematica legata all’orchestrazione dell’esperienza che andremo ad investigare nel corso della recensione.
Ghost on the Shore, una storia di fantasmi del passato e del presente
Questo lungo piano sequenza videoludico che è Ghost on the Shore si apre come tante altre narrazioni del genere, presentandoci in maniera monologica e semisommaria Riley, la nostra giovane protagonista, alla guida di una barca a motore che a causa di un nubifragio finisce per approdare fortunosamente su una delle isole dell’arcipelago noto come Rogue Islands (un nome che, come scoprirai se deciderai di giocare il titolo, è tutto un programma).
Già in fase di arrivo una misteriosa voce maschile inizia a risuonare nella testa della ragazza. Non passa molto tempo che Riley si avvede che essa proviene da una presenza non visibile che interpreta, a ragione, come un fantasma. Inizia così a dialogare con questo suo etereo ospite, scoprendo in prima battuta che si chiama Josh e che è in preda ad un’amnesia quasi totale.
Sbarcata (o sbarcati entrambi) sulla costa dell’isola maggiore dell’arcipelago, si imbattono fin da subito in una lunga sequela di edifici in rovina. Riley decide così di avventurarsi all’interno di essi, scoprendo un po’ alla volta diverse verità sul passato delle Rogue Islands e annotandole in forma di disegni e mappe concettuali sul proprio taccuino, che diventa sempre più zeppo di informazioni.
A mettere in ordine i fatti contribuisce anche Josh, che si scopre essere (o meglio ‘essere stato’) un abitante di quei luoghi. Infatti, più indizi vengono a galla più la memoria del fantasma si riaccende, dandone un’immagine sempre più controversa.
I due giungono in seguito a testimoniare un fenomeno di fuochi fatui che rivela la presenza passata e presenze di altre ombre sulle isole. Ciò spinge Riley a scavare ancora più a fondo nei misteri di quei luoghi. La scopertà della sconvolgente rivelazione finale dipenderà solo e soltanto dall’evoluzione del rapporto tra Riley e Josh.
Profondo, raffinato e affascinante, ma qualche ora di gioco in più non avrebbe guastato
Come si è più o meno anticipato negli scorsi paragrafi, Ghost on the Shore è in buona sostanza un film visto e vissuto in prima persona la cui trama è pilotabile attraverso le scelte dialogiche durante le centrali discussioni tra i due protagonisti del gioco.
Insieme all’esplorazione, esse sono il fulcro dell’esperienza, e condividono con la sceneggiatura un’ottima scrittura, capace di tenere incollato chi gioca allo schermo, con l’ansia non solo di svelare il mistero che avvolge la Storia dell’arcipelago, ma anche di osservare le reazioni di entrambi i soggetti cui la narrazione ruota intorno.
Dal rinsaldarsi o deteriorarsi del rapporto tra Riley e Josh dipenderà il finale del gioco, comprovatamente multiplo.
Malgrado aguzzare la vista sia necessario in alcuni punti, come del resto si conviene a titoli del genere, l’esplorazione rimane tuttavia piuttosto lineare e in qualche caso dà l’impressione di essere guidata. Tale procedere in linea quasi retta viene per fortuna smorzato dalla non presenza in game di una mappa (anche perché, a conti fatti, Ghost on the Shore non propone ambienti eccessivamente vasti o labirintici).
A dare una spinta ulteriore verso il frugare ogni angolo dell’ambientazione ci sono anche gli amati e odiati collezionabili, nella fattispecie rappresentati da lettere contenute in dei barattoli e nastri audio, entrambi narranti le vite di due precedenti abitanti delle Rogue Islands ivi giunti in modi e tempi diversi.
Sebbene la storia che Ghost on the Shore racconta sia ben articolata e degna di essere ascoltata, la durata del titolo, giocato con i giusti tempi e senza correre in avanti, è di tre ore e mezza. Ora, in un mondo videoludico dove il backlog dovuto alla volatilità del medium spadroneggia, è apprezzabile che un’avventura si esaurisca in un tempo tanto breve, tuttavia speriamo tanto che i prezzi di vendita siano commisurati a tale tempistica.
Si sente inoltre un po’ la mancanza di una componente enigmistica, che non avrebbe fatto per nulla male all’esperienza.
Senza smacchi ma leggermente privo di ambizione
Ghost on the Shore fa il suo dovere anche dal punto di vista tecnico, scorrendo tranquillamente e senza compromissioni derivate da bug. Tuttavia, graficamente ed esteticamente non trasuda troppa ispirazione, quasi limitandosi (pensando maliziosamente) a stilizzare gli ambienti per ridurre il numero di poligoni da modellare.
A parità, la maggiore verve artistica si ritrova proprio negli schizzi sul taccuino di Riley, che rappresentano probabilmente l’elemento più esteticamente gradevole dell’intera esperienza, senza nulla togliere agli azzeccati giochi di luce e colore che accompagnano lo svolgersi di alcuni frangenti topici del gioco, specie nei momenti di interazione con gli ignes fatui.
Anche dal punto di vista sonoro, tolto il doppiaggio, il copione alla cui base è curato nell’esecuzione quanto nella scrittura, la colonna sonora rimane quella già sentita in diversi titoli dal piglio narrativo, uno su tutti il mai dimenticato Journey del 2012, con armonie eteree a tratti intervallate da qualche motivo più greve in corrispondenza dei momenti più drammatici.