Going Under si presenta come uno dei tanti videogiochi che, specie negli ultimi anni e all’interno del panorama indipendente, hanno fatto della propria componente procedurale un indiscutibile punto di forza. Questo particolare approccio allo sviluppo, capace di variare in modo esponenziale il vissuto di ogni giocatore, si sposa in maniera ineccepibile con il genere videoludico dei roguelite; titoli nei quali il fallimento non è altro che parte integrante dell’intera esperienza.
Un buon roguelite, a differenza dei meno permissivi e spesso hardcore roguelike, deve cercare di sfidare il giocatore senza per questo risultare mai frustrante, motivandolo sia attraverso una buona dose di difficoltà che tramite un sistema di progressione capace di rendere le cose sempre più facili. A contare non è semplicemente l’abilità di chi gioca e per quanto essa rimanga sempre un elemento chiave all’interno del genere, i titoli come Going Under risultano bene o male alla portata di tutti.
In questo, l’opera di Aggro Crab Games si premura addirittura di offrire diverse semplificazioni che, essendo attivabili in qualsiasi istante, rendono la difficoltà del gioco plasmabile a nostro piacimento; una scappatoia che per quanto io non abbia mai davvero sentito il bisogno di sfruttare, contribuisce non poco a rendere Going Under un titolo consigliabile anche ai neofiti del genere. Ma ora basta traccheggiare, è arrivato il momento di gettarci nel vivo di questa mia recensione, partendo come sempre dal comparto narrativo del gioco.
Un contrasto di due aromi
Il mio primo impatto con Going Under, del quale ammetto non avevo mai sentito parlare, è stato esattamente come quello che la protagonista Jackie vive sulla propria pelle. Ho messo piede nel gioco come lei ha fatto nell’azienda senza aspettarmi particolari sorprese, per poi rendermi conto di quanto le cose si sarebbero ben presto fatte più movimentate del previsto. Nella mia nuova veste di stagista infatti, oltre a soddisfare le più assurde richieste dell’intera equipe aziendale, ho dovuto combattere per la mia sopravvivenza e addentrarmi in sotterranei pieni di strane creature.
La sede dell’azienda Bevande Fizzle, che a conti fatti riveste l’importante ruolo di HUB centrale del gioco, sorge infatti sulle rovine di altre tre startup ridotte al lastrico. Il nostro ingrato compito è quello di addentrarci nei sotterranei della nostra ditta ed esplorare una a una queste vecchie attività, ripulendole da quelli che a prima vista sembrerebbero essere dei mostruosi abomini. Senza entrare troppo nei dettagli della trama, che comunque ha in serbo almeno un paio di sorprese, ti basti pensare che ogni sotterraneo nasconde una potente runa utile ad accrescere la produttività della nostra azienda e Marv, il nostro diretto superiore, si aspetta che le recuperiamo.
Going Under è caratterizzato da una scrittura decisamente fresca e al passo coi tempi, che grazie anche ai costanti richiami e riferimenti alla società moderna in cui viviamo, si distingue per il proprio spirito satirico particolarmente brillante. Purtroppo però questo suo lato più che apprezzabile, specialmente nelle prime ore di gioco, fa a pugni con una gestione dei ritmi un po’ discutibile che rischia di appesantire inutilmente il cuore pulsante dell’intera esperienza. Mi riferisco ovviamente al gameplay vero e proprio che, come spesso accade in altre opere di questo genere, risulta protagonista indiscusso del videogioco e, conseguentemente, di questa mia recensione.
Piú ne bevi e piú ne berresti
Come anticipato, parliamo di un roguelite action tridimensionale accomunabile a quello che potrebbe essere un dungeon crawler. Nei sotterranei della nostra azienda è infatti possibile imbattersi in stanze di vario tipo che unite formano veri e propri dungeon da attraversare a suon di botte e potenziamenti, entrambe indispensabili al fine di sopraffare gli immancabili boss di turno che ci aspettano ai piani inferiori. L’obiettivo è proprio quello di raggiungere gli ormai corrotti dirigenti delle vecchie startup fallite e, ovviamente, sconfiggerli per poter sottrarre loro le reliquie di cui ti ho già parlato.
Per farlo è necessario sfruttare ogni oggetto o arma che la mappa mette a nostra disposizione e, ancor più di questo, qualsiasi potenziamento che ci dovesse capitare a tiro. A tal proposito, il sistema procedurale di Going Under (proprio come accadeva nel già citato The Binding of Isaac) offre a ogni piano delle particolari stanze nelle quali è possibile scegliere uno tra i diversi potenziamenti casuali resi disponibili; una sosta a dir poco dovuta in un videogioco che in termini di difficoltà non le manda esattamente a dire.
Pur essendo un titolo indipendente senza troppe pretese, Going Under sfoggia una buona varietà che va dal numero di abilità sbloccabili al suo interno, ottenibili semplicemente giocando, ai pattern dei pochi ma buoni boss presenti nel gioco. Se a questo aggiungiamo poi alcune trovate interessanti come le quest secondarie forniteci dai nostri colleghi, la possibilità di selezionare un mentore tra essi per ottenere così bonus passivi o quella di equipaggiare un potenziamento di partenza tra tutti quelli sbloccati, ecco che la curva della difficoltà sempre pronta a impennarsi rende il gameplay di Going Under capace di scorrere alla perfezione.
L’importanza dell’etichetta
Come tutti sappiamo anche nei videogiochi, come in moltissimi altri media, l’occhio pretende sempre la sua parte e nonostante Going Under, con il suo coloratissimo stile grafico low-poly, non appaia esattamente indimenticabile, riesce senza intoppi a risultare perfettamente funzionale all’esperienza di gioco. La pregevole immediatezza del titolo è infatti ottenuta anche grazie a un saggio utilizzo di colori e effetti visivi che, malgrado qualche sporadico calo di frame rate, rendono il tutto molto scorrevole.
Tralasciando la presenza di un paio di bug tutt’altro che gravi e dunque incapaci di abbattere l’umore di chi gioca, Going Under vanta infine una colonna sonora che sa stupire, per quanto ci riesca quasi esclusivamente nelle parti più avanzate del titolo. Purtroppo, va detto che gli effetti sonori non sono esattamente della stessa qualità ma nel complesso e tutto sommato, direi che anche l’etichetta invoglia all’acquisto.