A quasi due anni di distanza dal suo primo debutto, avvenuto in accesso anticipato tramite la piattaforma Steam, Green Hell è pronto a fiondarsi tra le braccia di chi ha una console nella speranza di far lievitare quel milione (e oltre) di copie vendute. L’esperienza del team polacco alle sue spalle, tra ex-dipendenti di Techland e dello studio Flying Wild Hog, sarà bastata a creare un porting degno di questo nome che trascenda la quantità nota di molti altri survival?
Titoli validi come The Long Dark, Stranded Deep e The Forest rivivono indubbiamente nell’opera in questione, ma Green Hell pone l’accento su una visione volta al realismo che si riflette nel suo gameplay in via naturale e non scontata. In altre parole? La riprova che a svalutarsi non è mai un dato genere quanto i modi di approcciarvisi durante lo sviluppo di un nuovo gioco.
E a proposito di sviluppo: il progetto iniziale si limitava a offrire un ambiente in cui cavarsela senza alcun tipo di aiuto, ma a oggi Green Hell risulta essere un prodotto più maturo visto l’impegno dei suoi creatori nel dare importanza ai feedback raccolti. Ciò che prima era alla pari di un sandbox privo di narrativa, infatti, ora si distingue proprio a partire da essa grazie a un’interessante modalità Storia che racchiude in sé l’anima del gioco.
Meno banale del previsto
Vestendo i panni dell’antropologo Jake Higgins, i giocatori si ritrovano quindi nel mezzo della foresta amazzonica in compagnia dell’interprete nonché moglie Mia, allo scopo di stabilire un contatto con la tribù perduta degli Yabahuaca per motivi che inizialmente appaiono imprecisati. A partire da questo incipit che coincide con il tutorial, la trama di Green Hell accompagna gli utenti per una media di 15 ore in cui le incognite vestono un ruolo che definirei sostanziale.
Il misterioso intreccio che ne consegue, più strutturato di una banale missione di salvataggio come ne abbiamo viste a decine e costituito da dialoghi a scelta multipla senza pretese, ha radici che altri survival tendono a non vantare e la cosa migliore di questo aspetto, prima ancora dell’inusualità, è la sapienza con cui è stato aggiunto al gameplay primigenio senza alterarlo.
Snaturare il cuore pulsante di questa esperienza marcatamente survival, dopotutto, avrebbe potuto celare agli occhi le idee migliori insite in Green Hell, le stesse che gli valsero le nomination come Best Game e Best Design ai CEEGA (Central & Eastern European Game Awards) del 2019. Per questo motivo, la scelta di lavorare sul background narrativo inserendo indizi nella mappa come fossero tasselli di una linea temporale, si è rivelata convincente.
Il prezzo da pagare per chi vuole tutto
Il fatto che l’ambizione di Creepy Jar fosse quella di trovare equilibrio tra la natura dei giochi casual e i simulatori di stampo hardcore, emerge fin da subito. Green Hell ti abbandona nella natura più selvaggia con una pacca sulla spalla e l’augurio di non morire, salvo poi impegnarsi a farti sudare per sopravvivere quanto basta a vedere le luci del giorno dopo.
Raccogliere materiali, procurarti del cibo, accenderti un fuoco e improvvisare un riparo sono cose essenziali in un gioco del genere, ma Green Hell non si limita all’accumulo di risorse regolato da una loro gestione oculata, dato che arricchisce tali fattori con strati ulteriori di profondità e affiancandoli a scelte che avrebbero dovuto garantire una stabilità.
L’affidarsi a una bussola badando alle tue coordinate, il dover seguire necessariamente una dieta equilibrata, l’importanza di studiare l’ambiente circostante con un occhio di riguardo alla tua sanità mentale; sono cose preziose per chi cerca un survival puro che lo prenda a sberle come farebbe l’Amazzonia, ma il peso di queste meccaniche è tutt’altro che indifferente e il loro bilanciamento – per quanto ricercato – non rientra fra le virtù possedute da Green Hell.
Il principale sintomo di questa evidenza è da ricercarsi nei ritmi di gioco che presentati come lenti e distanti da un’esperienza improntata all’azione, cosa scontata per un survival specie durante le prime ore insieme, portano i giocatori a non sentirsi liberi di esplorare l’inferno verde perché impegnati a ripetere sempre la stessa routine comportamentale: procaccia, cucina, mangia, liberati continuamente delle sanguisughe, riposa e ripeti.
Eppure il fascino non si discute
In questa sorta di solido ciclo che (concedimi l’azzardo) se preso in disparte richiamerebbe un roguelite, Green Hell inserisce altre idee interessanti che non posso ignorare: un abbozzato sistema di sviluppo che compensa l’eventuale tempo perso crepando, un clima mutevole che rende la mappa dinamica a seconda delle frequenti precipitazioni, la possibilità di analizzare gli arti di Jake per una diagnosi affrettata e quella ancor più importante di giocare il titolo in compagnia di tre amici.
Multiplayer a parte, nessuna di queste basterebbe forse a cambiare il giudizio di chi non brama una sfida ma considerando che si parla di un gioco messo in piedi da poche persone (meno di 20), è giusto riconoscere a Green Hell un potenziale ragguardevole. Anche il sistema di crafting e le numerose combinazioni poste in mano ai giocatori volenterosi: tra armi, costruzioni, strumenti di difesa e molto altro, riflettono uno spessore che tiene testa ad alcuni tra gli esponenti più apprezzati del genere.
È per questo motivo che basterebbe ricalibrare le proporzioni del gioco, andare ad agire sul bisogno di cibo o sulla frequenza con cui riposare, rendendo il realismo più verosimile e non un ostacolo martellante. Piccoli accorgimenti insomma, che potrebbero però far apprezzare l’opera a più persone senza che si sentano inadeguate pur selezionando una difficoltà mediana.
Tecnicamente claudicante
I limiti più evidenti di Green Hell rimangono però sul fronte tecnico e senza puntare alla Croce Rossa parlandoti di animazioni lignee, feedback dei colpi inesistenti e texture lampeggianti, posso dire che gli sforzi fatti sfruttando Unity non riescono a nascondere la sua resa grafica non pulita. L’ambiente ricco di vegetazione in cui vive una fauna variegata, invece, riesce a essere più efficace grazie alla visuale in soggettiva che permette un’immersione altrimenti impensabile.
Anche colonna ed effetti sonori, malgrado si potesse fare di più, aiutano nel sentirsi in mezzo a tutto quel verde ma ci tengo che gli ultimi caratteri di questa mia recensione vadano a esporre un altro difetto riscontrabile in Green Hell: la mappatura e gestione dei comandi. Poco importa che dalle opzioni sia possibile scegliere fra più alternative, il problema rimane ed è quello di un videogioco studiato per PC e arrivato sulle console in una veste malagevole.
La presenza di un menù radiale non è infatti sufficiente a facilitare azioni come l’amministrazione dello zaino, che vista la presenza di un limite al peso trasportabile appare importante come il raccogliere cose utili da terra. L’utilizzo di un puntatore identico a quello di un classico mouse, denudato per ovvie ragioni della sua precisione chirurgica, non migliora una situazione già di per sé ostica. Fortunatamente, ci si abitua a tutto.