Gwent: Rogue Mage è arrivato come un fulmine a ciel sereno, presentandosi come un’esperienza single player di Gwent e, quindi, dedicata principalmente a coloro alla ricerca di qualcosa di diverso dal tipico PvP che ormai è diventato discretamente famoso. Questo, chiaramente, vuol dire trovarsi davanti a bilanciamenti diversi, meccaniche modificate e in generale a un’esperienza di gioco per certi versi unica.
Come si può intuire anche dal nome, poi, Gwent: Rogue Mage prende a piene mani dalle meccaniche roguelite di titoli come Slay the Spyre, dove le meccaniche da deckbuilding sono inserite in una più vasta formula di gioco, in cui esplorare dungeon e sopravvivere in diverse partite dalla durata non troppo estesa. Vediamo quindi in questa recensione se vale la pena tornare nel mondo di The Witcher.
Una storia tra le partite di Gwent
Gwent: Rogue Mage non è tutto incentrato sul gameplay ma, come nella precedente espansione per giocatore singolo, siamo davanti a una vera e propria storia, narrata attraverso brevi cut scene non troppo elaborate, dove disegni, piccole animazioni e descrizioni la fanno da padrone. Nonostante la semplicità di questa estetica, però, il titolo riesce comunque a raccontare in modo convincente e soddisfacente, anche grazie alla ottima qualità di scrittura.
La trama in questione vede come protagonisti due maghi, vissuti molti secoli prima delle vicende che coinvolgono Geralt, quando il mondo era ancora fin troppo pieno di mostri e creature feroci. Proprio per contrastare questa minaccia, i due maghi hanno iniziato una ricerca sui mutageni, tentando di potenziare gli esseri umani per renderli più forti, resistenti e veloci. Questa ricerca, come avrai intuito, ha portato alla creazione dei primi Witcher, che poi hanno cominciato a rendere il mondo più vivibile.
La trama non ha particolari colpi di scena e resta prevedibile e lineare. Nonostante tutto, però, si dimostra un piacevole intermezzo tra le varie partite e, anche grazie ai dialoghi, riesce a essere interessante fino alla fine.
Gwent: Rogue Mage non è un nuovo Slay the Spire
Il gameplay di Gwent: Rogue Mage parte dal classico loop del genere a cui ormai siamo più che abituati: si inizia da un hub centrale e si parte per una missione, tentando di arrivare alla fine. Morire significa ricominciare la partita da zero (in questo caso con un deck base) e la morte è permanente.
In questo caso, poi, Gwent: Rogue Mage non vanta una metaprogressione troppo marcata, presentando all’utente pochissimi oggetti da sbloccare tra le varie partite. Questo vuol dire che ogni partita ci vede iniziare con un deck base da rimpolpare via facendo, in modo da ritrovarsi con una solida strategia una volta arrivati al boss di fine run.
La parte da deckbuilding di Gwent: Rogue Mage viene infatti utilizzata come sistema di combattimento in una formula molto simile a quanto visto in Slay the Spire o FTL. Siamo quindi di fronte a una mappa divisa in nodi, dove trovare combattimenti, eventi casuali, luoghi per potenziarsi e così via. Questa mappa “ad albero” consente di scegliere come progredire nelle varie run, calcolando costi e benefici di ogni scelta.
In pratica, Gwent: Rogue Mage non propone nulla di davvero originale, ma si poggia su una formula fortemente derivativa, dove l’esplorazione è ridotta all’osso e le meccaniche da Gwent la fanno da padrone. Ma andiamo con ordine.
Incontrando un nemico inizia una partita di Gwent, che però si presenta in modo leggermente diverso a come siamo abituati. Siamo infatti davanti a un solo round e, in generale, a una maggiore libertà nel posizionamento delle varie carte. Inoltre, dato che siamo di fronte a un giocatore singolo, il team di sviluppo ha potuto inserire carte e meccaniche non presenti nella versione PvP per ovvi motivi di bilanciamento.
In generale, le carte possono essere posizionate nelle retrovie o in prima linea, ottenendo spesso effetti diversi. Come sempre, molte carte possono poi dar vita a combo uniche, per esempio potenziando unità alleate adiacenti, che a loro volta danneggiano unità nemiche quando vengono potenziate.
Ogni unità posizionata in campo, poi, ha un certo valore, che va a sommarsi a un numero di forza totale del nostro piccolo esercito. A fine round, il giocatore con il punteggio più alto vince la partita. L’obiettivo di ogni partita non è quindi quello di attaccare l’avversario, ma in generale di avere un punteggio più alto alla fine. Potenziare o distruggere le unità è quindi relativo a questa condizione di vittoria.
Delle basi semplici e immediate quindi, che però nascondono una complessità invidiabile, ottenuta anche grazie al buon numero di carte con cui è possibile costruire i propri mazzi. Questi partono da archetipi ben precisi, che poi possono essere migliorati via facendo con le carte raccolte. Ed ecco che entra in gioco la parte esplorativa.
La mappa di gioco che divide i vari combattimenti è sempre stato un punto centrale del genere roguelike e non può essere una meccanica semplicemente secondaria. Tristemente, questo è quello che accade in Gwent: Rogue Mage. L’esplorazione è infatti ridotta a mero contorno, dove una generale mancanza di varietà rende le scelte troppo poco impattanti nel gameplay in end game.
Da un lato troviamo pochi eventi casuali e, in generale, poche attività che possano alternarsi ai combattimenti. Dall’altra parte troviamo invece pochissima varietà di deck nemici. Dopo poche partite, infatti, si cominciano a vedere sempre gli stessi nemici, gli stessi eventi e le stesse carte.
Tutto questo rende l’esplorazione quasi un contorno, visto che il giocatore non è costretto a ragionare sull’imprevedibilità della generazione casuale, ma si trova davanti a dei pattern che riesce a riconoscere e che ormai ha capito fin troppo bene come contrastare. A questo si aggiunge un’IA non troppo elaborata, che a volte sembra giocare le carte senza una strategia ben precisa Per fortuna, questo è bilanciato dalla discreta varietà di carte nelle mani del giocatore.
Nel complesso, però, Gwent: Rogue Mage non riesce a proporre delle meccaniche da roguelike abbastanza profonde da garantire varietà e divertimento anche dopo diverse partite, diventando quindi ben presto monotono e ripetitivo. Ci sono però anche delle ottime idee, che riescono a risollevare in parte il titolo.
Tanto per cominciare, la formula generale funziona bene, soprattutto per partite non troppo lunghe. Ci sono poi elementi come gli incantesimi del nostro personaggio (che danno preziosi bonus in battaglia) che però devono necessariamente fare i conti con un mana limitato, da gestire nel corso dell’intera run. Infine, gli eventi casuali e le meccaniche da deckbuilding sono convincenti, e hanno solo bisogno di una maggiore varietà.
Bello da vedere
Gwent: Rogue Mage propone un comparto tecnico non troppo elaborato, ma comunque piacevole da vedere. Le partite si svolgono su tavoli che hanno l’aspetto di veri e propri campi di battaglia e sono accompagnate da animazioni ed effetti visivi convincenti e belli da vedere.
Il comparto artistico si conferma invece eccellente, proprio come siamo stati abituati dalle altre iterazioni del Gwent. Dialoghi, disegni e descrizioni creano un’atmosfera ricca di fascino, che porta gli appassionati di The Witcher subito a casa.
Infine, il comparto sonoro è eccellente, grazie a un doppiaggio convincente e a musiche ed effetti sempre adatti alle varie occasioni.