Hades è stato uno dei titoli che ha sorpreso maggiormente i giocatori durante lo scorso anno, rivelandosi un’esperienza di qualità decisamente oltre le aspettative. A dirla tutta, gli sviluppatori avevano già dimostrato di saper sfornare ottimi videogiochi, con piccole gemme come Transistor.
In questo caso, però, siamo di fronte a un titolo che ha rivaleggiato (e persino superato in alcune classifiche) con i nomi più blasonati e imponenti dello scorso anno videoludico. Ancora più sorprendente è il fatto che Hades sia un roguelite, un genere che difficilmente arriva a questo livello di considerazione.
Ecco che dopo l’uscita su Nintendo Switch e PC, l’ultima fatica di Supergiant Games arriva anche su PlayStation 4 e Xbox One, con un porting che riesce a essere all’altezza di quanto visto fin’ora, rendendo finalmente accessibile a più utenti la fuga di Zagreus dalle grinfie di suo padre.
Una storia tra una stanza e l’altra
Sorprendentemente, per il genere di riferimento, Hades propone un comparto narrativo di tutto rispetto, con una storia che si sviluppa poco alla volta in molti modi diversi e, in alcuni casi, persino sorprendenti.
Nel gioco impersoneremo Zagreus, il giovane figlio di Ade determinato a scappare dal cupo regno dell’oltretomba e dalle poco amichevoli grinfie di suo padre. Per quest’impresa riceverà l’aiuto degli dei dell’Olimpo, ben disposti a concedere i loro poteri a una giovane divinità che potrebbe unirsi presto alle loro fila.
Fin da subito, Hades mostra il suo peculiare modo di narrare: il gioco ci butta infatti nel vivo dell’azione e, solo dopo la prima morte, ci troviamo per la prima volta nella dimora di Ade per parlare con lo scorbutico Dio e con i vari personaggi sparsi per le sue sale. Proprio questi sono la parte più interessante del comparto narrativo.
I vari comprimari incontrati da Zagreus, infatti, reagiranno sempre in base al contesto in cui avviene la conversazione e non saranno dei semplici PNG dai dialoghi lineari. Per esempio, faranno battute diverse in base al nemico che ha ucciso il protagonista nell’ultima partita. Oppure, durante una run, Afrodite potrebbe alludere alla benedizione di Dioniso prima di concederci la sua. In un certo senso, siamo di fronte a dialoghi interattivi, ma senza scelte multiple.
Tutto questo, però, non è un mero contorno e contribuisce a delineare poco alla volta il mondo di gioco, le relazioni tra i personaggi e una sorta di “lore” di fondo: pochi, semplici dialoghi ci fanno intuire che Zagreus e Megera si conoscono da tempo, ci fanno capire il carattere degli dei, oppure possono darci preziose informazioni sul rapporto padre-figlio tra il protagonista e Ade.
Troviamo poi dei flashback che narrano in modo più convenzionale, grazie a brevi sezioni dedicate alla trama, accompagnate da un narratore che ci dice qualcosa in più su quello che accade (praticamente un marchio di fabbrica di Supergiant Games). Quest’ultimo, poi, farà la sua comparsa anche durante le partite comuni, dicendoci qualcosa in più sul mondo; totalmente ispirato alla mitologa greca, dai luoghi, ai personaggi.
In poche parole, la storia di Hades non è un semplice elemento di contorno ma, al contrario, è interessante e misteriosa, e diventa un elemento che invoglia a giocare insieme ai potenziamenti di gameplay: i personaggi caratterizzati in modo certosino, piccoli colpi di scena e un’atmosfera ricca di fascino, semplicemente non stancano mai.
Benventuto all’inferno
Il gameplay di Hades è strutturato nel classico loop che ormai abbiamo imparato ad amare nei roguelike: gioca, muori, ripeti. Ogni partita si svolge in dungeon generati proceduralmente, composti da varie stanze dove ci aspettano mostri e ostacoli vari. Uccidendo tutti i nemici presenti si può passare nella stanza successiva. Dopo un certo numero di stanze ci troviamo al cospetto di un boss e, una volta sconfitto, possiamo passare al reame successivo.
In tutto questo, il gameplay di base è molto semplice: all’inizio di ogni partita possiamo scegliere l’arma da impugnare, che determinerà il nostro approccio ai combattimenti. Ogni strumento di morte ha un moveset specifico, diverso dagli altri e che privilegia un determinato stile di gioco.
Nonostante le armi siano (relativamente) poche, sono tutte bilanciate tra loro e, di conseguenza, la loro scelta dipende esclusivamente dal giocatore e dalle sue preferenze. Inizialmente le poche mosse a disposizione per ogni arma possono sembrare banali ma, esplorando i vari dungeon, tutto si fa più interessante.
Proprio qui arriva il bello di Hades. Durante l’esplorazione, abbiamo la possibilità di scegliere verso quale stanza proseguire, selezionando di fatto le ricompense ottenute alla fine degli scontri. Queste variano da chiavi per sbloccare armi, monete, potenziamenti e benedizioni.
Queste ultime sono ciò che rendono Hades così interessante. In maniera del tutto casuale, durante le partite troveremo la benedizione di uno degli Dei dell’Olimpo. Ogni divinità propone potenziamenti unici, in linea con i suoi poteri, e a ogni benedizione possiamo scegliere fra tre opzioni diverse. Ad esempio, potremmo imbatterci nella benedizione di Zeus, che ci offre la possibilità di rendere i nostri attacchi elettrificati, oppure di sprigionare fulmini schivando, o ancora, di creare un fulmine a catena con il nostro attacco a distanza.
I potenziamenti disponibili sono davvero tanti e molto vari, dato che comprendono buona parte del pantheon degli Dei Olimpici. Potremmo ottenere l’aiuto di Afrodite, che permetterà di indebolire i nemici colpiti, di Ermes, che potrebbe darci un potenziamento allo scatto o al movimento, oppure Poseidone, che sprigionerà le sue maree per creare potenti onde d’urto. Troviamo persino il Caos primordiale, un’entità che donerà aumenti consistenti alle statistiche solo dopo averci dato una maledizione per un certo numero di stanze.
Tutto questo viene trovato casualmente a ogni partita, obbligando il giocatore a creare build con quello che può utilizzare sul momento, migliorando i vari attacchi con potenti effetti passivi sempre diversi, combinati tra loro in modi spesso sorprendenti e inizialmente imprevedibili.
Tutte le benedizioni divine, però, vengono perse alla morte di Zagreus e non sono permanenti. Nella nuova partita, infatti, viene generato tutto casualmente, obbligando il giocatore ad adattarsi alle nuove possibilità e portando a nuove situazioni che magari non si erano mai delineate prima d’ora. Chiaramente, i bivi nei dungeon permettono un minimo di controllo sui potenziamenti, dato che si conosce la ricompensa delle stanze, ma le opzioni a disposizione sono sempre casuali.
A questa parte legata alle partite, si aggiunge poi una metaprogressione che permette di potenziare Zagreus, mantenendo alcuni elementi che non vengono mai persi. Durante le varie esplorazioni è infatti possibile ottenere Oscurità, una valuta in grado di migliorare le statistiche base, come la salute, gli scatti e così via.
Si aggiungono poi le Chiavi, che permettono di ottenere nuove armi da scegliere per l’esplorazione e il Nettare, un oggetto da donare ai vari comprimari o agli dei per ottenere preziosi pezzi di equipaggiamento che donano bonus passivi permanenti.
Tutto questo crea un grande ecosistema perfettamente bilanciato, dove ogni partita permette di creare build uniche, combinando il moveset dell’arma equipaggiata con i potenziamenti passivi offerti dalle divinità. Di partita in partita, poi, si sbloccano dei potenziamenti permanenti che non diventano mai così importanti da costringere a farmare per poter fare qualche progresso (Rogue Legacy, sto guardando proprio te) e non sostituiscono mai l’abilità del giocatore.
In tutto questo, poi, la trama viene narrata in piccole dosi, unendosi al gameplay grazie ai dialoghi dinamici tra Zagreus e i comprimari. In pratica, siamo davanti a un roguelite ben strutturato, che ha il suo unico difetto nella mancanza di varietà delle stanze dei dungeon che, soprattutto nel primo regno, potrebbero essere più diversificate, non solo esteticamente, ma soprattutto per la loro importanza a livello di gameplay. Avere più arene che compongono il dungeon non guasta mai.
I quadri in movimento di Hades
Il comparto tecnico di Hades si conferma ottimo anche sul grande schermo di PlayStation 4 e, a dirla tutta, resta sostanzialmente invariato. Siamo quindi davanti a un’esperienza fluida e stabile, anche in molte delle situazioni più concitate. Allo stesso modo, l’immagine risulta nitida e definita, grazie a un aumento di risoluzione che su home console era decisamente necessario.
L’unica nota dolente va a dei leggeri cali di FPS in alcune situazioni particolari, dove ci sono troppi elementi su schermo. Nella fase finale dello scontro contro l’idra, ad esempio, l’insieme di onde d’urto, esplosioni e magie ha portato a diversi cali di frame che, presumibilmente, verranno risolti con future patch.
Il comparto artistico, in un certo senso, parla da solo. Hades è uno spettacolo per gli occhi, grazie a un’estetica semplicemente stupenda, che rende ogni ambiente un vero e proprio disegno in movimento: scenari, personaggi ed effetti sembrano quasi usciti da un fumetto.
Non solo. La trasposizione di tutte le divinità greche è semplicemente perfetta, dato che ognuna è rappresentata in pose particolari, che richiamano i loro poteri e il loro carattere. A questo contribuisce poi il doppiaggio, davvero eccellente, che aiuta a caratterizzare a dovere ogni personaggio.
Ancora una volta, quindi, Supergiant Games mostra la sua maestria artistica, già vista in Bastion e in Transistor, portando lo stile artistico e narrativo che rende unici i loro titoli a nuove vette qualitative.
Infine, il comparto audio si riconferma eccellente, grazie al già citato doppiaggio, unito a effetti sonori che fanno sentire tutta la potenza delle armi e dei poteri branditi, affiancati poi da una colonna sonora davvero splendida.