Probabilmente, guardando il calendario, sarai confuso come i simpsoniani alieni Kang e Kodos all’inizio de La Paura Fa Novanta XIV: siamo sotto Natale, e abbiamo a che fare con un titolo a tema Halloween? Non è tardi? Il gioco è intitolato Haunted Halloween ’86, quindi siamo in ritardo di un mese, quasi due settimane e trentatré anni.
Abbiamo già parlato di Sydney Hunter and the Curse Of The Mayan, ottimo platformer dall’indubbio sapore retrò che abbiamo premiato con un bell’otto. D’altronde, raramente con il genere dei platformer si può sbagliare: la gioia di saltellare da una parte all’altra è praticamente un sinonimo del concetto stesso di videogioco, ed è così dall’alba dei tempi. Specialmente all’alba dei tempi.
Il fatto è che il genere dei platformer è stato bistrattato, ad eccezione (o proprio “a causa”, a seconda delle opinioni) forse di Sonic che l’ha tenuto vivo su tutte le piattaforme, e nessuno si è preso la briga di “sporcarsi le mani” con qualcosa di meno lucrativo di uno sparatutto per buona parte degli anni duemila. Per sbrogliare la matassa c’è voluto Shovel Knight, che dissotterrando (non ho resistito) il suo stesso genere ha trovato l’oro.
Dopo il successo di Shovel Knight, sembra essersi aperta una diga: una vagonata di indie ha pensato bene di costruire un intero genere intorno alla formula messa in piedi da Yacht Club Games, quello del “gioco per NES fuori tempo massimo”: un po’ di difficoltà di qui, un po’ di pixel di là, condiamo tutto con un po’ di chiptune e il nuovo esponente del filone è subito pronto per essere giocato. Haunted Halloween ’86 decide di evitare in toto di essere sottile, sfoggiando come icona direttamente un cartuccione del NES. Con un po’ di paura, e non necessariamente per il titolo del gioco, decidiamo di avviarlo.
“Danger” Things
Non si può proprio negare che Haunted Halloween ’86 voglia riportarci indietro nel tempo come il buon vecchio Doc di Ritorno al Futuro, partendo subito da un glorioso formato in quattro terzi (e dall’inglese come unica lingua). La trama ci viene presentata solo dopo il tutorial, quindi per un momento tralasciamo il gameplay.
Siamo in un’atmosfera anni ‘80 volutamente ispirata a I Goonies e a Stranger Things, dove i nostri due protagonisti Donny e Tami si apprestano ad andare a fare dolcetto o scherzetto. Scherniti dai loro amici e spinti da un altro ragazzino, soprannominato LP, i due si avventurano nella casa abbandonata del paese dove finiscono giù per una buca, ritrovandosi in un dungeon degli orrori dal quale dovranno scappare facendosi strada a forza di legnate.
River City ЯƎⱭЯUM
Sul gameplay di cose da dire ce ne sarebbero diverse, nel bene e nel male. Il gioco è un ibrido tra platformer e picchiaduro: l’ottimismo ci porterebbe a pensare a un’avventura sulla falsariga di Kirby Super Star, ma in realtà siamo più sui toni di River City Ransom.
Il tutorial, che ci viene proposto di saltare per motivi che diventeranno dolorosamente palesi in seguito, mostra un sistema di combattimento a conti fatti molto complesso: seppur usando solo i tasti A e B, è possibile effettuare montanti, pugni, scivolate, colpi in picchiata, eccetera.
Inoltre, in un elemento di gameplay decisamente estraneo all’epoca in cui è ambientato il gioco, è possibile alternare a piacimento i due protagonisti del gioco. Dati i loro moveset praticamente identici, questo equivale ad avere il doppio dei punti vita se si alternano Donny e Tami al momento giusto, ma apprezziamo comunque l’inventiva.
Dopo il tutorial, un primo livello introduttivo ci fa entrare nel vivo del gioco alternando i dialoghi accennati nella precedente sezione a fasi di platforming in cui non dobbiamo far altro che attraversare la strada. Purtroppo, al di là dell’impossibilità di tornare sui nostri passi tipica del primo Super Mario Bros., è qui che emerge il primo dei problemi del gioco: tutto il moveset che abbiamo avuto modo di gustare durante il tutorial viene ridotto alla mera possibilità di saltare e calciare.
Ad ogni modo, una volta raggiunta la casa abbandonata di Possum Hollow (una palese citazione alla Raccoon City di Resident Evil, nel caso non fosse chiaro), con l’introduzione di nemici veri e propri la curva di difficoltà impenna rapidamente. Il secondo elemento di gameplay “moderno” è il pezzo della mappa che riceviamo prima di sprofondare nel sottosuolo.
Gli stralci di mappa che vanno raccolti nel corso del gioco, infatti, ci consentono di sbloccare una alla volta le varie mosse che abbiamo avuto modo di apprezzare nel corso del tutorial. In pratica, è una sorta di incrocio tra un albero delle abilità visto in tanti giochi contemporanei e i power-up ottenuti dai boss nella serie Mega Man, e come nel caso di quest’ultimo dovremo sapere subito a quali mosse dare la priorità.
Una volta subito il primo, inevitabile colpo di grazia, la schermata di morte ci ricorda che abbiamo ancora quattro “Serum Soda”. Il gioco non lo dice espressamente, ma si tratta di vite. Prima di accorgerci che avevamo a che fare con un contatore di vite, c’è voluto un Game Over, con il quale il problema più grande del gioco va a chiudere il cerchio.
Una volta persa ogni vita, veniamo rispediti al volo allo schermo del titolo; l’opzione “continue” ci chiede di inserire una password. Mettiamola così: dopo il NES, il concetto di password è diventato obsoleto già nella seconda metà del ciclo vitale del Game Boy, per poi diventare ufficialmente inutilizzato al secondo anno di vita del Game Boy Advance. L’eccesso di zelo nel ricreare un’esperienza NES “autentica” va a ledere ogni possibilità che ha il gioco di venire apprezzato anche da un pubblico più giovane della nicchia di “quelli che c’erano” nel gaming pre-anni ’90.
Spezzando una lancia in favore del gioco, va anche detto che Haunted Halloween ’86 non è penalizzato dal bisogno di essere online dei giochi NES inclusi nel servizio Nintendo Switch Online; purtroppo, d’altro canto, nemmeno l’utilissima funzione di “rewind” (vista anche in titoli estranei al servizio, vedi Mega Man Legacy Collection) è presente qui, dove sarebbe quanto mai gradita.
Se non altro, il gioco ha deciso di includere una scelta dei livelli di difficoltà alla voce “Options”, e il livello Easy almeno ci evita di sorbirci la demolizione del moveset, rendendo il gioco quantomeno gestibile anche da parte dei palati meno avvezzi al “nuota o affonda” dei tempi andati.
Infine, come simpatica variazione sul tema abbiamo una modalità di sopravvivenza (“Onslaughr”) ambientata nella stessa sala giochi del tutorial, dove i nemici continuano ad arrivare e bisogna tenere duro fino alla fine, stendendo quanti più mostri possibile.
“He’s gonna take you back to the past…”
Riconosciamo di essere stati eccessivamente cattivi nel citare la sigla dell’Angry Video Game Nerd prima di tirare le nostre conclusioni sul gioco, ma i toni dell’avventura ci ricordano fin troppo bene lo stile di James Rolfe. Partiamo dalle basi.
La grafica del gioco è fedele al NES in tutto e per tutto: non abbiamo a disposizione i colori vibranti e vivi di Shovel Knight, né quelli più smorzati – ma comunque gradevoli – di Sydney Hunter and the Curse Of The Mayan. Le limitazioni del NES, qui, sono presenti senza alcun compromesso, e mentre le strade di Possum Hollow sembrano piacevolmente dettagliate con animazioni che pervadono anche lo sfondo, il resto del gioco appare vuoto e tetro anche al di fuori del suo contesto di Halloween.
La musica, dal canto suo, presenta invece una situazione migliore. Non tutte le musiche del gioco sono esattamente memorabili, ma la descrizione eShop del titolo non mente: ogni melodia è stata composta in Famitracker, ed è chiaro che – almeno negli intenti – il traguardo era quello di sfruttare lo strumento di composizione ad otto bit al suo meglio.
La longevità cade nella stessa trappola di molti, troppi giochi retrò: puntare sulla difficoltà per ricavarne un senso di longevità effimero, illusorio, praticamente farlocco. Sette scenari, per quanto “lunghi” per chiunque non sia un vero veterano del gaming, sono troppo pochi, anche per un costo relativamente minuto di nove euro. Con uno sconto, però, lo si può ampiamente consigliare, se non altro come esempio della “fortuna” che abbiamo noi giocatori odierni, tra un DLC di qua e una microtransazione di là.
Nel suo farsi vanto di essere “#8BitLegit” nella propria descrizione eShop, Haunted Halloween ’86 dichiara con orgoglio di essere stato programmato espressamente entro i limiti dell’hardware originale, e la causa della sua incompatibilità con il backup su cloud dei dati di salvataggio è dichiarata essere l’assenza degli stessi. Ma nel suo appartenere ai generi “Azione/Arcade/Piattaforme”, il gioco vive nell’illusione secondo la quale il modo corretto per creare un gioco a 8 bit è quello di punire il giocatore. Purtroppo, per quanto riguarda i giochi a 8 bit costruiti ad hoc in un contesto contemporaneo, il modo corretto per farlo risponde ancora al nome di Shovel Knight.