Sviluppato da Exe-Create e pubblicato da Kemco, Heirs of the Kings è l’ennesimo gioco di ruolo dal forte stampo classico in 2D che, nato su sistemi mobile, viene trasportato su console. Dopo titoli come Dragon Prana, Crystal Ortha e Ghost Sync, come sarà andata questa nuova trasposizione?
Noi abbiamo vissuto le avventure di Grant e amici su Xbox One e questa è la nostra recensione!
Heirs of the Kings – un viaggio tra cliché
In Heirs of the Kings impersoniamo Grant, un giovane guerriero che, durante una caccia ai mostri, si trova ad assistere a un combattimento tra una creatura e due ragazze. Mosso da eroico coraggio, il giovane presta soccorso alle due donne ma ben presto sarà lui stesso a dover essere soccorso.
Ecco quindi che iniziamo subito a far conoscenza di quelle che saranno a conti fatti, le nostre comprimarie: la prima è Laura, una ragazza dai capelli celesti e dotata di potenti magie curative. La seconda, invece, è Serena, una potente strega dal carattere forte. Sconfitto il mostro, Grant propone alle ragazze di raggiungerlo al proprio villaggio in modo da potersi sdebitare. Una volta lì, si scopre che Grant è figlio del sindaco, tale Lucas, mentre Serena è figlia del Fire Ruler, ossia uno degli stregoni che hanno contribuito alla creazione della barriera per fermare le forze del male che provarono a invadere la terra anni prima.
Ma il segreto che più sconvolge tutti, riguarda Laura. La ragazza, infatti, come da cliché, non ha memoria. Si ricorda solo il suo nome e come utilizzare alcune delle sue abilità. Nient’altro. Peccato solo che sia ricercata e ben presto la situazione degenera dando vita a un viaggio abbastanza classico e dai risvolti quasi sempre prevedibili.
Heirs of the Kings non brilla narrativamente, forze del bene contro le forze del male, una ragazza senza memoria, un valoroso cavaliere un po’ impacciato e tanti altri personaggi dal carattere prevedibile e abbastanza standard, popolano una storia che intrattiene ma non osa mai, seguendo i binari classici del genere fino ai titoli di coda.
La formula di Kemco
Come per la narrazione, anche il gameplay di Heirs of the Kings si dimostra terribilmente ancorato agli standard del genere e non osa neanche nell’inserire qualche elemento in più come in Chrystal Ortha. Perfino i menù, decisamente ricchi in Dragon Prana, qui sono poveri di opzioni oltre che assolutamente familiari per chi ha giocato più di un titolo di Kemco.
Questo perché, come anticipato, anche Heirs of the Kings segue lo stesso processo degli altri titoli Kemco, riportando su console un titolo originariamente pensato per dispositivi mobile e nel caso di quest’ultimo titolo, lo si nota in modo molto evidente. Ma procediamo con ordine.
Heirs of the Kings è un gioco di ruolo di stampo classico con combattimenti a turni. A tua disposizione avrai un cast di personaggi dotati di abilità diverse dovute alla tipologia di armi (potenziabili) che possono equipaggiare e a eventuali poteri magici a loro disposizione (nulla di nuovo). Ogni personaggio ha una sua “mappa” in cui potrai sbloccare potenziamenti passivi (legate alle varie caratteristiche) e nuove abilità.
Durante i combattimenti potrai, infatti, optare per un attacco standard, l’utilizzo di una abilità, difenderti (per attutire eventuali danni) o utilizzare un oggetto. Non solo, come da tradizione Kemco, potrai velocizzare l’azione a schermo con un moltiplicatore visibile in alto a destra dello schermo e impostare l’autostart. Quest’ultimo, in pratica, farà combattere il team da solo.
La cronologia dei turni è dettata da una barra orizzontale in alto su cui scorrono gli avatar di amici e nemici, chi primo arriva in fondo a sinistra della suddetta barra, azionerà. Infine, è presente anche l’opzione per tentare di scappare dal combattimento. E se te lo stai chiedendo, sì, i combattimenti sono casuali e no, non vedrai i nemici in giro per la mappa.
E parlando di mappa, Heirs of the Kings è composto dal solito dualismo di “mappa centrale” con elementi in miniatura in cui sono sparpagliate città e dungeon di vario tipo con le loro rispettive mappe da esplorare. Entrambe le mappe sono spesso piene di nemici casuali (escluse, ovviamente, le città).
Fin qui nulla di nuovo ma, a differenza di altri titoli Kemco, Heirs of the Kings presta il fianco a diverse critiche tra cui un fastidioso effetto “scorrimento in verticale” quando si passeggia nelle mappa di dungeon e città. Tale effetto rende l’esperienza poco fluida e ben poco accattivante, soprattutto considerando il lato grafico del titolo già di suo molto povero.
Altro elemento che ci ricorda la sua appartenenza mobile, oltre alle già citate scorciatoie durante i combattimenti, è il sistema del menù dotato di grossi pulsanti dell’ormai immancabile possibilità di acquistare (con soldi reali) dei bonus passivi con cui rendere il gioco ancora più facile di quanto non lo sia già in realtà.
Ebbene sì, Heirs of the Kings non è un gioco difficile e anzi, qualsiasi sfida potrà essere superata con brevi sessioni di grinding qui molto facilitato grazie alla possibilità di velocizzare ogni lotta. Purtroppo la poca originalità di location, il carisma abbastanza sottotono dei nemici e una ripetitività di fondo tipica del genere, non aiutano l’opera Kemco a ritagliarsi uno spazio nel vasto catalogo dei giochi di ruolo.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Heirs of the Kings è sottotono rispetto alla media conquistata da Kemco. Molti elementi sono riciclati e anche le città risultano particolarmente spoglie. Non migliorano i nemici, abbastanza anonimi e classici, variando da un pulcione quasi obeso a demoni più o meno dettagliati.
Migliorano gli artwork dei personaggi (soprattutto i principali) e da evidenziare il fatto che perfino i comuni cittadini e mercanti hanno un proprio artwork seppur ripetuto all’infinito di città in città.
Il sonoro, invece, non brilla per originalità e non resta nella mente ma per fortuna non risulta mai fastidioso o invasivo. Buoni anche gli effetti sonori seppur standard e già sentiti in tanti altri titoli. Infine da segnalare il fatto che il titolo non ha i sottotitoli in italiano presentando comunque un livello d’inglese abbastanza semplice.