Il geniale quanto folle Game Designer tiene l’intera industry videoludica sul filo di un rasoio. Dovremmo fidarci o ci sta fregando tutti?
Sono circa le 4:00 di Martedì 12 giugno. La conferenza Sony sta andando alla grande, sono stati mostrati pochi giochi ma di grande spessore: The Last Of Us II ha un comparto tecnico incredibile e Ghost of Tsushima una palette cromatica che tutt’ora rivedo nitidamente nella mia mente. Poche sorprese, certo, ma oramai è così che va l’E3, ci dovremo abituare. Dovrei essere contento, ma ho un senso di ansia difficile da scacciare. I giochi mostrati sono tutti tecnologicamente avanzatissimi e intriganti ma c’è ancora un grande assente : Death Stranding.
Tra me e me penso che con i titoli di Hideo Kojima ho sempre avuto un rapporto complesso: li trovo come dei veri e propri manuali di Game Design. Ogni suo gioco contiene delle idee e un modo di vedere il medium videoludico unico, coraggioso e a volte completamente folle. Detto ciò però, pad alla mano, ho sempre trovato i suoi prodotti molto macchinosi e pieni di una complessità quasi ostentata.
Mentre rifletto lo schermo diventa nero. Sono all’interno di un corpo umano, il video ci mostra qualcosa che inizialmente non riconosco: è un neonato. La piccola creatura si rigira su se stessa, fissa lo spettatore, lo indica. Un brivido mi corre lungo la schiena, è il momento di Death Stranding. Nella grande sala conferenze di Los Angeles cala il silenzio: d’altronde stiamo guardando l’ultima opera del Da Vinci dei videogiochi. Davanti ai miei occhi passano 8 minuti di immagini incomprensibili quanto ipnotiche.
Finita la conferenza vado a dormire confuso e amareggiato: cosa sta cercando di dirci Kojima?
Stiamo ancora parlando di “Videogiochi”?
Fenomeni come quello di Death Stranding mi fanno riflettere su una domanda. E’ giusto parlare ancora solamente di “Videogiochi”? Il medium videoludico è in continua evoluzione tecnica e narrativa, si sta avvicinando sempre di più al cinema puntando ad un’immersione totale del giocatore nei mondi creati dagli sviluppatori. E’ giusto richiedere ad uno sviluppatore di mostrare meccaniche di gioco e sequenze di storia prima che il prodotto venga rilasciato? Il non farlo può essere ritenuto una mancanza di rispetto nei confronti dei giocatori? Io credo di no.
Negli anni siamo stati abituati a sapere ogni cosa di ogni videogioco prima che questi venissero rilasciati. Ancora peggio: ultimamente sta diventando sempre più frequente l’abitudine di annunciare i giochi alcuni giorni prima delle conferenze ufficiali, in modo da toglierci anche quest’ultima sorpresa. Se ci pensate, agiamo in questo modo solo con i videogiochi: se prendiamo in considerazione ogni altro prodotto artistico o di intrattenimento, infatti, non pretendiamo delle presentazioni ma anzi le evitiamo come la peste.
Death Stranding, Death Stranding, perché sei tu Death Stranding?
Tornando a parlare di Death Stranding, non posso nascondervi l’amarezza che ho provato subito dopo aver visto il trailer, non perché fosse brutto – sia chiaro – ma ne volevo di più, volevo capire, volevo poter inserire il gioco nella mia console e vivere il delirante sogno di Kojima. Il gameplay mostrato era quasi provocatorio: compariva un fucile ma nessun combattimento e i personaggi parlavano fra di loro in modo che nessuno in sala potesse comprenderli appieno.
Più pensavo al gioco però e più volevo conoscerne i suoi misteri, scoprivo nuove teorie dei fan e mi appassionavo ai volti dei protagonisti, alle loro strane tute e a quell’aura di attraente mistero emanata.
Death Stranding sarà un capolavoro? Questo non possiamo saperlo, certo è che Kojima merita la nostra attenzione e la nostra pazienza. Non rovinatevi il viaggio fissandovi solamente sulla meta.