Le qualità che può avere un videogioco sono tante ed eterogenee, che siano una grafica mirabile e tecnicamente impeccabile, un gameplay frenetico e divertente o una trama appassionante e ben congegnata. Esiste tuttavia un pregio che supera tutti gli altri a livello d’importanza e che, in un mondo perfetto, ogni videogioco dovrebbe possedere: l’inventiva.
HighFleet, titolo partorito dalla mente degli sviluppatori russi Konstantin Koshutin e Maxim Kiselev e prodotto dalla riaffermata MicroProse Software, da quest’ultimo punto di vista batte la maggior parte dei titoli non tripla A usciti durante questo 2021, dando prova che c’è ancora posto per la sperimentalità anche per quanto riguarda videogiochi semplici (anche se, come vedremo, HighFleet di semplice ha ben poco).
HighFleet, una storia fantapolitica sui generis
La trama di questo titolo risente molto delle origini dei suoi creatori: tanto il background geopolitico conferito alla storia quanto l’estetica dei personaggi appare grandemente ispirata alle vicissitudini dell’Impero russo durante il suo ultimo cinquantennio di vita, nello specifico per quanto riguardava la situazione del Medio Oriente, da sempre guardato con occhio goloso dagli zar più tardi, che avevano solo un Caucaso a separarli da quella regione a tutt’oggi ricca di minerali preziosi.
A far da controparte al Paese summenzionato nel gioco troviamo l’Impero Romani (da non confondere né con la realmente esistente etnia romaní né con quei Romanov che furono gli imperatori di Russia, né tantomeno con gli antichi Romani), dominato dalla dinastia dei Sayadi, alla quale il nostro protagonista, un anonimo tarkhan (ossia un comandante della Flotta imperiale) è legato a doppio filo da vincoli di fedeltà ed anche di parentela (e che parentela!)
Questa vasta e potente nazione sta facendo i conti con un’agguerrita alleanza ribelle nota come l’Adunanza, capeggiata dal Lord governatore della città di Khiva, la quale da sette anni minaccia di portare alla secessione la desertica terra di Gerat, che costituirebbe un’enorme perdita in termini di superficie e risorse per l’Impero Romani.
Spetta proprio al nostro tarkhan l’arduo compito di condurre l’avanguardia Romani, costituita da una flotta di mastodontiche e arzigogolate aeronavi, verso Khiva e la riconquista di Gerat.
Per trionfare in questo conflitto non saranno sufficienti le abilità di comandante e stratega. Occorreranno infatti tanta oculatezza negli affari e una buona dose di diplomazia.
Un titolo, almeno quattro generi
Dire che HighFleet sia unico nel suo genere è inesatto tanto quanto dire il contrario, dato che, come più volte anticipato, questo gioco unisce e rende coerenti tra loro diverse tipologie di videogioco già esistenti ed ampiamente sperimentate da sviluppatori e gamer provenienti da tutto il mondo.
Parlare del titolo e del suo (o meglio, dei suoi) gameplay diviene più semplice se si compie l’operazione di isolare quelle caratteristiche che lo rendono ambiguo dal punto di vista della classificazione.
Partendo dal quadro generale, il gioco si presenta come un TBS non convenzionale: la grande mappa strategica che caratterizza questo tipo di giochi è sostituita dallo scarno radar della cabina di pilotaggio della nave principale della nostra flotta.
Proprio da questo ambiente si dirigono le manovre della flotta, spostandoci di città in città. Le città sono tappe fondamentali in quanto ogni nave dispone di scorte limitate di carburante, le quali possono essere ricolmate, per l’appunto, solo nei centri urbani.
Allo stesso tempo, battaglia dopo battaglia, l’approdo nelle città costituisce l’unica maniera per riparare eventuali danni riportati dalle navi (e ti assicuro che ce ne saranno di bulloni da riavvitare!)
Lo stesso arrivo in questi sancta sanctorum costituisce una sfida. Ogni atterraggio va infatti effettuato manualmente, un’aeronave alla volta. Una discesa troppo brusca può comportare dal minimo danno strutturare (e.g. un’ammaccatura alle corazze esterne) alla perdita di un intero motore, se non a guasti strutturali che causano irrimediabilmente la distruzione di un’intera nave.
Questi aspetti del gioco che coinvolgono in egual misura parsimonia e cautela portano ad isolare il secondo genere toccato da HighFleet: il survival.
Ed ora è arrivato il momento di passare all’azione, esplorando il versante più cadenzato (ma non per questo meno complesso) del gioco: il combat.
Se hai letto il nostro articolo su HighFleet di due settimane fa, sai già che le infuocate battaglie aeree previste in questo titolo non avrebbero contemplato la possibilità di spammare controlli di sorta. Ebbene, Koshutin e Kiselev non hanno disatteso i propri propositi: manovrare i bestioni metallici della nostra flotta è un’impresa titanica, e mandare a segno i colpi evitando di svuotare troppo in fretta il caricatore rende il tutto ancora più ricco di sfida.
Tutto questo al netto di un sistema di controllo abbastanza agevole sebbene da sfruttare con il miglior tempismo possibile (e occhio alla temperatura dei motori!)
Nella pratica, le battaglie trasformano HighFleet in uno shooter multidirezionale, durante le quali vengono ad influire parecchio anche le condizioni meteo (un temporale rende le manovre chiaramente molto meno precise).
La diplomazia, altra componente ereditata dal genere TBS, è in realtà più orientata verso l’RPG, con dialoghi a risposta multipla e conseguenti reazioni da parte dei nostri interlocutori (dignitari, principi, comandanti militari etc.)
Superfluo è dire che bisogna assolutamente giocare il Prologo, altrimenti è quasi impossibile comprendere il gioco, dalla storia fino alle meccaniche.
Anche l’occhio ha avuto la sua parte
Sia dal punto di vista estetico che tecnico, la grafica di HighFleet risulta impeccabile. Non c’è un solo momento in cui emergano bug o malfunzionamenti di sorta.
L’estetica dieselpunk rende il gioco apprezzabile anche al non gamer appassionato di arte pittorica di o di fumetto. Tanto il tratto quanto l’uso del colore ricordano molto quelli di un fumettista che è rimasto nel cuore di tanti amanti dei videogiochi grazie al suo sconfinamento in questo campo con molte avventure grafiche. Si tratta ovviamente del grande Benoît Sokal, maestro fumettista belga venuto a mancare poco meno di due mesi fa.
Le interfacce, malgrado qualche sgranatura di troppo che le rende difficili da decifrare, sono coerenti con lo stile estetico del gioco e nel complesso ben organizzate. Una nota negativa va alla gestione dell‘Officina, dove si personalizzano le aeronavi, vittima di un po’ di leggerezze dal punto di vista della chiarezza. Non si capisce quanto sia effettivamente necessario personalizzare le navi con armi e corazze, facendo correre al giocatore il rischio di spendere soldi inutilmente.
Non è da escludere che questo elemento gestionale sia stato vittima di qualche taglio dell’ultimo minuto, complice la vastità del gioco in termini di dimensione della (la mappa è una vera e propria ragnatela di città diverse l’una dall’altra).
Il sonoro di HighFleet è preciso e congegnato per far sentire il giocatore nel vivo della battaglia mentre la colonna sonora arabeggiante, per quanto non memorabile, è qualitativamente perfetta e ben adatta all’atmosfera del gioco.