Hikikomori: quante volte ne avrai sentito parlare negli ultimi due anni? A causa della pandemia da Covid-19, questo fenomeno ha preso sempre più piede, specialmente tra i giovani. Cosa vuol dire essere un hikikomori? Si tratta di un termine giapponese che ha molteplici risposte, primo fra tutti “stare in disparte”; solitamente viene considerato un hikikomori quella persona che sente la spinta (hiku) a fuggire (komoru) da un mondo pieno di persone, dalla socialità della vita stessa. Preferisce stare chiuso in casa (tanto da avere uno psicologo a “distanza”, attraverso uno schermo), preferisce non parlare con nessuno, né fare granché.
Molto spesso, una persona hikikomori, abbandona anche le proprie passioni per mancanza di interesse o semplicemente perché non trova più motivo di seguire quell’hobby che prima amava tanto. Un po’ come succede al protagonista del libro di Michele Cocchi, scrittore e psicoterapeuta, che tratta questo argomento con delicatezza e, al tempo stesso, come un pugno diretto allo stomaco.
Ti starai chiedendo il filo logico che ci sta portando a parlare del suo nuovo libro chiamato “Us”; ebbene, non parliamo solo di un fenomeno ben conosciuto tra i giocatori di tutto il mondo, ma anche di videogiochi. Perché sì: i videogiochi aiuteranno il protagonista e sono la “chiave” per poter affrontare un evento come questo.
Hikikomori, videogiochi e Salone Internazionale del Libro
Abbiamo avuto il piacere di poter assistere a un’intervista mossa dal Gruppo Letterario del Liceo Gregoletti di Pordenone al Salone Internazionale del Libro e possiamo affermare che sentir parlare di hikikomori, di videogiochi e dei due elementi intersecati fra loro ci ha fatto molto piacere. Molto spesso, i giocatori, vengono additati malevolmente come facenti parte di questa piccola, grande, palla al piede e spesso erroneamente.
Parlarne a un evento così grande, vuol dire che l’industria videoludica si sta finalmente facendo spazio tra le file di questi anni 2000 (forse siamo già troppo in là per continuare a chiamarli così). Effettivamente ne avevamo già parlato in diversi articoli, portando attenzione al fatto che Torino è ormai diventata la capitale videoludica per eccellenza e come il mercato italiano si stia concentrando sempre di più nella produzione dei videogiochi. Basti pensare al decreto emanato e firmato dal Ministro Franceschini durante i primi mesi di quest’anno.
Si trattavano, però, tutte di informazioni lontane e che hanno semplicemente fatto un grande piacere. Solo a incontri del genere riesci, in prima persona, a sentire che tutto si sta concretizzando; come abbiamo scritto nel paragrafo precedente, Michele Cocchi è uno scrittore italiano e, soprattutto, uno psicoterapeuta che si occupa di infanzia e adolescenza. Grazie al Salone Internazionale del Libro tenutosi a Torino, ha potuto inaugurare “Us” e la collana Weird Young di Fandango. In “Us” incontriamo Tommaso, vittima del fenomeno hikikomori e che proprio per questo non esce di casa da più di un anno.
Us (nome sia del libro che del gioco descritto all’interno) sarà il videogioco che gli permetterà non solo di iniziare un percorso terapeutico, ma anche di instaurare amicizie o, quantomeno, riuscire a parlare quasi obbligatoriamente con altri giocatori. Il videogioco in questione presenta varie missioni da affrontare insieme ad altri utenti e, se non parli con nessuno di loro, la sconfitta è pressoché assicurata.
Molto spesso, chi cade nel fenomeno dell’hikikomori è perché non sente di essere accettato dalla società, che può essere intesa come genitori, parenti, amici o perfetti sconosciuti. Quindi, perché questi ragazzi si rifugiano all’interno dei videogiochi? Il motivo è molto semplice: sentono che, in un mondo virtuale come quello, non vengono giudicati. Anzi, non possono essere giudicati! Questo porta il protagonista a farsi un nickname, ad aprirsi di più con quelli che poi diventeranno i suoi amici. Ed è anche il percorso che uno psicoterapeuta cerca di far intraprendere al proprio paziente.
Us: vinci le sfide e ricevi il premio!
Il videogioco creato di sana pianta da Michele Cocchi è ispirato a Call of Duty: Modern Warfare, ma non solo; lo stesso scrittore ha ammesso di aver iniziato a giocare diversi titoli, anche abbastanza conosciuti, per poter capire appieno le meccaniche di un videogioco e come potersi rapportare sia a loro che ai ragazzi. In Us, il giocatore dovrà affrontare varie missioni: vincendole tutte, avanzando fino all’obiettivo, la squadra riceverà un premio in denaro.
Un ottimo motivo per giocarci, no? Tommaso, alias Logan (derivato da Wolverine) all’interno del videogioco, non è da meno e si introduce in Us a passo felpato dove incontra gli altri due compagni di squadra: Hud e Rin. Non ti raccontiamo oltre, in quanto saranno i nostri colleghi del settore iCrewPlay Libri ad approfondire l’argomento sull’opera. Magari nella speranza di poterlo recensire nel breve periodo.
Parliamo di ciò che Michele Cocchi ha detto durante l’incontro e cioè che il videogioco non “può” essere considerato solo il male sceso sul pianeta Terra, ma è anche una terapia per il paziente hikikomori. Il videogioco, seppur possa essere violento o all’apparenza non portare alcun tipo di beneficio, può essere una grande soluzione per permettere ai ragazzi di uscire dal proprio guscio. Come? Un esempio è proprio Us, il videogioco creato dallo scrittore che permette a Tommaso di parlare con altri. Cosa che, nella vita di tutti i giorni, è praticamente impensabile.
Le parole di Michele Cocchi sul videogioco nelle scuole
“Prima parlavi di giochi educativi, pedagogici, dove dicevi: “Sì ci sono, ma sono noiosi; quindi gli adolescenti poi non ci giocano”. Invece, il concetto di demification porterebbe il concetto del gioco nella pedagogia anche nella scuola, tra l’altro, dove si potrebbe rendere molto più interessante molte materie che invece risultano molto noiose per come sono fatte. Questa è una cosa su cui hai riflettuto, in qualche modo?” ha chiesto Fabio Geda durante l’incontro.
“Non particolarmente, ma so che, per esempio, in Francia c’è tutta una serie di, soprattutto in ambito storico, giochi che sono stati creati per essere giocati a scuola, perché il coinvolgimento emotivo/affettivo dei ragazzi al suo interno (creare il personaggio, viverlo, etc), favorisce l’apprendimento. Ci sono tutta una serie di studi sull’argomento dove i giochi, in realtà, possono aiutare anche all’apprendimento nel senso sia creativo, di capacità di riflessione, ma anche nella capacità di organizzazione, e c’è un mondo che si sta attivando per questo.
Ci sono anche dei giochi che, in realtà, vengono creati semplicemente come divertimento, diciamo così, a scopo ludico; se quest’ultimi, invece, vengono riflettuti all’interno di una classe diventano molto interessanti. Mi viene in mente This War of Mine; si tratta di un gioco difficile, dove tu vivi la guerra non più dalla parte del soldato, ma dalla parte dei civili che si trovano in queste case dirottate in un paese bombardato, e di giorno contribuiscono alla costruzione di questi ambienti in cui loro vivono per difendersi. Costruire la cucina o una stufa per riscaldarsi, per esempio.
La notte vanno a saccheggiare posti e possono trovare delle situazioni molto difficoltose e complicate dal punto di vista del tema etico: “rubo o non rubo questo cibo di questo vecchio? Se glielo tolgo so che lo farò morire, però se non glielo tolgo rischio di far morire i miei compagni”. Allora il gioco ti mette di fronte, con una crudezza straordinaria, ma anche con una forte veridicità, a che cos’é la guerra. Realmente dal loro punto di vista. Ecco: poter discutere di questo in una classe, secondo me è fantastico.” ha spiegato lo scrittore.
I videogiochi non solo per ragazzi, ma anche per gli adulti
Come detto da Michele Cocchi, i videogiochi fanno parte di uno stereotipo, cioé: “se giochi, diventi scemo”. Anche tu hai sentito dire una frase del genere, vero? Questo perché, per molti anni, la stessa OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) dichiarava quanto un prodotto virtuale portasse danni cerebrali agli utenti che ne facevano uso. E, anni fa, era l’unica fonte di riferimento per coloro che attualmente sono adulti e con famiglia.
“Sono gli adulti che hanno pregiudizi, sono i genitori che si allarmano immediatamente e vedono la sofferenza mentale come essere pazzi, essere matti, essere diversi. In qualche maniera c’è la vergogna di qualcuno fuori che ti giudicherà. I ragazzi, questa vergogna, non ce l’hanno più ormai, anche grazie a internet.”
Questo pensiero è stato radicato nel profondo, talmente tanto che sono molte le persone che scappano dalla terapia appena viene nominata la parola videogioco. Ebbene, durante il 2020 l’OMS ha dichiarato che, durante la quarantena da Covid-19, il videogioco in sé ha aiutato tantissimi utenti tra donne, uomini e bambini ad affrontare la solitudine. Non solo, ma ha debellato tantissimi disturbi psicologici che una situazione del genere poteva portare. Un videogioco che ha fatto il suo dovere è stato proprio Animal Crossing: New Horizons.
“Il libro che io ho pensato, immaginato, poteva essere per i ragazzi perché, in fondo, aldilà della storia di Tommaso, è un’avventura. Un’avventura che ci concentra sul gioco, ma il gioco a un certo punto evolve, si trasforma, diventa qualcos’altro. […] L’ho pensato anche per tutte quelle persone che da una parte si occupano di ragazzi, che possono essere genitori, tutori, allenatori, insegnanti, o un adulto in generale.”
Dalle parole dello scrittore e psicoterapeuta, si può evincere che bisognerebbe fare molta più informazione e non per i ragazzi, ma più incentrati sugli adulti che purtroppo possono avere un pensiero quadrato sulla faccenda. Il libro Us potrebbe un inizio, ma ancor di più può essere d’aiuto avvicinarsi al ragazzo hikikomori che si chiude in questo mondo non solo a livello di terapia, ma giocando insieme.