Innegabilmente, l’ultimo decennio videoludico ha visto tra le sue più grandi influenze le opere a cura di FromSoftware. La software house nipponica con il genere soulslike e la sua trilogia di Dark Souls ha senza dubbio riscritto il mondo del gaming per come lo conoscevamo, e parecchi sviluppatori, con fortune alterne, ne hanno seguito l’esempio proponendo (o tentando di proporre) la loro visione di questo nuovo genere: Nioh, The Surge, Mortal Shell, Code Vein e chi più ne ha più ne metta.
Ciò che si rivela senza dubbio più interessante è il fatto che non solo i Souls abbiano fatto scuola, ma anche gli altri esperimenti della casa di Miyazaki stiano iniziando ad avere i propri eredi spirituali. Quel capolavoro di gameplay che è Sekiro: Shadows die twice ha subito lasciato la propria inconfondibile impronta in Star Wars: Jedi Fallen Order, e di recente l’ha rifatto con Wo Long: Fallen Dynasty, dando vita al vero e proprio sottogenere del sekirolike.
Ed è impossibile dimenticare Bloodborne, che tra i suoi emuli conta Salt and Sanctuary e il suo sequel Salt and Sacrifice, il recente Thymesia (puoi leggere qui un approfondimento sulle ispirazioni del gioco), nonché l’oggetto di questa recensione: Hunt the Night, un titolo che almeno nelle intenzioni e nello stile si è rivelato essere una vera e propria lettera d’amore nei confronti del gioco che toglie il sonno ai Cacciatori di tutto il mondo fin dal 2015.
Hunt the Night affascina e cattura soprattutto grazie a un’ottima reinterpretazione delle influenze da cui prende le mosse (non solo Bloodborne, anche i riferimenti a Berserk non si contano!), ma il titolo a cura di Moonlight Games purtroppo soffre anche di qualche ingenuità, analizziamolo nel dettaglio!
Temi il sangue ant… no! Temi la notte!
La trama di Hunt the Night si è rivelata indubbiamente abbastanza classica e basata su cliché del genere parecchio utilizzati nel corso degli anni, non per questo però è risultata meno affascinante, anzi, basandosi proprio su tante situazione già viste, alcuni momenti inaspettati in cui la sceneggiatura ha dei guizzi di originalità non da poco colpiscono con molta più efficacia.
Ambientato in un classico setting dark fantasy medievale, il mondo di Medhram è letteralmente spaccato a metà: se durante il giorno la gente può vivere liberamente, la notte invece è ormai diventata il dominio di creature mostruose che danno la caccia agli esseri umani. L’ultimo baluardo di difesa sono gli Stalkers, un gruppo di cacciatori di mostri di cui la nostra protagonista Vesper fa parte, ma tra i ranghi di questo sacro ordine la nostra risulta essere, per motivi inizialmente non noti al giocatore, una reietta.
Allontanata dagli altri Stalkers, Vesper (palesemente ispirata nel design e nell’abbigliamento alla letale Lady Maria di Bloodborne) si ritrova ad affrontare da sola le mostruosità notturne in un mondo ormai sull’orlo del collasso. Ben presto però ci renderemo conto che la nostra missione assumerà un’importanza fondamentale a causa di alcune macchinazioni che ci faranno scoprire il lato più oscuro dell’ordine, e non solo.
Anche la nostra Vesper infatti possiede un lato oscuro: Umbra. Le due sembrano essere legate da un rapporto conflittuale e da un passato tormentato, ma allo stesso tempo non possono fare a meno l’una dell’altra, un aspetto di questa linea narrativa che (un po’ come in Soulstice) si rifletterà anche sul gameplay, rendendo indispensabile la collaborazione tra Vesper e Umbra.
Per quanto la trama, non innovativa come anticipato, mi abbia affascinato, va detto che non viene narrata nel migliore dei modi: Hunt the Night è verboso, tanto, troppo. La maggior parte dei personaggi che incontreremo, specialmente nei momenti più rilassati della narrazione, spezzando quindi irrimediabilmente il ritmo generale, avranno davvero troppo da dire e spesso ci ritroveremo davanti a muri di testo indispensabili da leggere se vorremo avere una comprensione coerente e totale del mondo di gioco. Capisco il non voler abbandonare tutto alla narrazione silenziosa tipica di FromSoftware, ma alcuni dialoghi e storyline non così interessanti potevano indubbiamente essere “asciugati” non poco.
Hunt the Night: gameplay severo, ma giusto!
Hunt the Night non riprende gli stilemi di Bloodborne solo nelle ambientazioni gotiche, ma anche nel gameplay alquanto punitivo e nel combat system che combina sapientemente attacchi corpo a corpo e colpi d’arma da fuoco, anche se per forza di cose questa trasposizione risulta meno fluida e feroce del titolo da cui ha origine.
Nello specifico infatti, Hunt the Night presenta una visuale isometrica nel quale ci ritroveremo ad affrontare sia enigmi ambientali che ci consentiranno di avanzare nelle varie ambientazioni che combattimenti contro abomini di ogni genere. Partiremo armati esclusivamente di spada a una mano e pistola, ma proseguendo potremo sbloccare sempre più armi bianche e bocche da fuoco e scegliere lo stile di combattimento più adatto a noi.
Devo ammettere che gli sviluppatori hanno introdotto una buona varietà nel gioco sotto questo punto di vista: per alternare lo stile di gioco (e adattarci anche a boss e aree che richiederanno strategie particolari) avremo infatti a nostra disposizione spadoni pesanti, fruste, artigli, balestre, fucili e tanto altro, peccato però che il potenziamento delle armi non sia particolarmente profondo. Presso l’hub centrale di gioco infatti troveremo un’alchimista che potrà sbloccare nuove munizioni sempre più letali e poco altro, andando così a rendere il senso di progressione estremamente lineare.
Oltre alle armi avremo a disposizione anche un incantesimo che varierà in base alla pietra che andremo a equipaggiare: ogni incantesimo infatti è racchiuso in una pietra magica con inciso un glifo sopra, cambiando questa pietra nell’inventario potremo anche variare l’incantesimo equipaggiato che cambierà per effetto e tempo di cooldown. A completare il nostro armamentario poi ci saranno delle pozioni che si ripristineranno ai checkpoint e delle bombe velenose la cui esplosione avrà effetto ad area in base a dove verranno lanciate.
Come anticipato, oltre al combattimento ci saranno anche delle fasi che prevedono enigmi ambientali, e dopo poco meno della prima ora di gioco la protagonista di queste fasi diventerà Umbra. La nostra “ospite” sarà una sorta di proiezione astrale che ci permetterà (tenendo sempre d’occhio la barra della stamina) di raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili.
Ho apprezzato davvero molto gli enigmi ambientali dal momento che non si limiteranno a raggiungere determinati luoghi o trovare il nesso dei meccanismi di stanze particolari, ma di tanto in tanto verranno anche chiamati ad attivare la mente e risolvere secondo logica indovinelli non da poco, che ci permettono anche di dare uno sguardo alla lore del mondo di gioco. Insomma, se la narrazione presenta dei cali di ritmo vertiginosi in determinate fasi, non si può dire lo stesso per il gameplay, sempre interessante e coi cambi di marcia giusti al momento giusto.
Comparto tecnico: con la pixel art vinci sempre facile!
Il comparto tecnico di Hunt the Night si è rivelato perfettamente in linea con la produzione: senza troppe pretese, eppure estremamente coinvolgente. Graficamente il gioco propone, come anticipato, una visuale isometrica realizzata con una pixel art particolarmente ricca di dettagli: basti pensare soltanto alla prima area di gioco, un castello decadente infestato da un immondo putridume pieno di occhi che ci seguiranno con lo sguardo ovunque, decisamente classico, ma davvero suggestivo!
Anche la colonna sonora è soddisfacente, non parliamo ovviamente di tracce altisonanti come quelle viste nei titoli da cui trae ispirazione, ma devo ammettere che le melodie accompagnano sempre molto bene le boss fight (davvero molto ispirate in generale, per quanto derivative), quanto le fasi di esplorazione, sostituendo a tracce ricche di suoni, intere sezioni dominate da silenzi e note sporadiche: un’ottima intuizione!
In definitiva, Hunt the Night si è rivelato un titolo davvero piacevole, farà la gioia di tutti coloro che attendono un sequel di Bloodborne indubbiamente, ma attenzione a non crearsi aspettative troppo alte, in quanto si è rivelata comunque un’esperienza senza troppe pretese, e anche se i pochi mezzi a disposizione degli sviluppatori sono stati sfruttati nel migliore dei modi siamo pur sempre di fronte a una produzione indie.