Il clamore per l’annuncio di Leggende Pokémon: Z-A non si è ancora sopito. Il nuovo titolo sviluppato da Game Freak, annunciato lo scorso 27 febbraio durante il Pokémon Day, promette di proseguire quel percorso di innovazione e rinnovamento della serie intrapreso nel 2021 con Leggende Pokémon: Arceus, con l’obiettivo di portarla verso nuovi orizzonti.
Proprio per celebrare il Pokémon Day e l’annuncio del nuovo gioco della saga, la scorsa settimana abbiamo realizzato per te la classifica dei 5 migliori giochi della serie e che, a nostro parere, hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del franchise.
Il mondo dei Pokémon, però, non è costituito solamente da successi e capolavori. Oggi, infatti, ti proponiamo una nuova graduatoria, dove esploreremo i cinque peggiori giochi dedicati ai simpatici mostriciattoli. Vediamo la classifica.
5. Pokémon Scarlatto & Violetto (2022): l’open world non basta
Scarlatto e Violetto sono gli ultimi capitoli della saga, ma per noi già meritano una posizione in questa classifica. I due titoli pubblicati nel 2022 sono i primi della serie a essere open world, mettendo in luce la volontà di Game Freak di proseguire quel cammino di rinnovamento a cui abbiamo accennato in apertura. Ma come è stato sfruttato questo mondo aperto? Non certo nel migliore dei modi.
La regione di Paldea, infatti, risulta estremamente spoglia, caratterizzata da una morfologia piatta e anonima e da un’interazione ambientale molto scarsa. La possibilità di esplorare liberamente questo mondo, poi, ha portato gli sviluppatori a effettuare drastiche riduzioni dal punto di vista delle relazioni con i personaggi secondari.
In Scarlatto e Violetto mancano anche alcune delle opzioni di gioco più classiche e rappresentative della serie, come la possibilità di entrare nelle case e nei negozi. Le abitazioni, infatti, sono praticamente sempre chiuse, mentre se si vogliono fare acquisti si aprirà una lista all’esterno dell’edificio in cui si sceglie l’oggetto da comprare. Lo stesso accade quando si vuole compiere un’attività extra: anche in questo caso comparirà una schermata di testo che racconterà ciò che sta succedendo.
Le limitazioni non terminano qui: anche la possibilità di dialogare con le persone è strettamente limitata rispetto al passato, a tal punto che nei giochi è del tutto assente qualsiasi tipo di missione secondaria. Ciò si lega, peraltro, a una narrazione principale superficiale e poco interessante.
Ma quello che probabilmente è il difetto più grande del gioco è il versante tecnico, a dir poco disastroso. Tra vistosi e frequenti cali di frame-rate, pop-in vistosi, animazioni problematiche e bassissima qualità di asset e texture, gli specialisti di analisi tecniche relative ai videogiochi di Digital Foundry hanno paragonato la grafica dei due titoli ai giochi della PlayStation 3.
4. Pokémon Rumble U (2013): la noia
Con Rumble U, terzo capitolo della saga Rumble e realizzato per Nintendo Wii U nel 2013 da Ambrella, gli sviluppatori hanno cercato di riproporre le caratteristiche proprie della serie in maniera migliorata rispetto ai due episodi precedente. A caratterizzare questa serie di spin-off sono, infatti, le meccaniche di gioco, che catalogano i titoli nel genere dei beat ’em up.
La trama è estremamente banale. Nelle sequenze iniziali, il gioco mostra la commessa di un negozio di giocattoli scivolare e perdere il contenuto di numerosi scatoloni contenenti Poké-Toys, che vengono trascinati lungo un fiume. Il giocatore, prendendo il controllo di una squadra di quattro Pokémon, dovrà quindi trovare il modo di tornare al negozio, radunando le creature giocattolo disperse e riaccompagnandole da dove sono partite. Il viaggio, però, si rivela estremamente tortuoso. Dopo aver scelto il tuo team, vieni gettato in un’arena dove ondate di Pokémon tentano di sconfiggerti.
L’azione è frenetica a tal punto che spesso si finisce col perdere l’orientamento sull’unica creatura che stai controllando. Ma visto che i comandi di giochi sono limitati a solo una o due mosse di attacco, per farsi strada attraverso i nemici basta premere i pochi pulsanti necessari. In Pokémon Rumble U, infatti, c’è ben poca strategia. Oltre al numero minimo di azioni offensive, inoltre, basta scegliere una squadra di Pokémon dell’elemento che risulta efficace contro il boss finale del livello per emergere vittoriosi.
Se a favore di questo spin-off troviamo il gran numero di creature disponibili (ben 649) e una componente grafica abbastanza notevole per l’epoca, i difetti superano ampiamente i pregi. Ciò è dovuto, prevalentemente, alla già anticipata trama banalissima, all’estrema linearità dei livelli e alle meccaniche di gioco ripetitive fino al midollo, che necessitano di utilizzare giusto un paio di pulsanti, rendendo il gioco fin troppo lineare e noioso dopo poco tempo.
La grande innovazione di Rumble U, inoltre, era rappresentata dalla tecnologia NFC (Near Field Communication). Infatti, posizionando una delle venti statuine rappresentante i Pokémon, realizzate proprio per l’uscita del titolo, sul Gamepad di Wii U, la creatura in questione avrebbe preso vita su schermo e avrebbe potuta essere utilizzata nel gioco, un po’ come oggi accade con gli amiibo. Tali versioni dei mostriciattoli erano potenziabili, e risultavano essere quindi ben più preziose dei normali alleati. Il problema? Le statuine sono state rilasciate solo negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Giappone, privando il resto del mondo (tra cui proprio l’Italia) di poter usufruire di quello che doveva essere un tratto distintivo e identitario di questo gioco.
3. Pokémon Dash (2005): una corsa a vuoto
Dash è stato il primo capitolo della serie a essere pubblicato per Nintendo DS, nell’aprile 2005. Il gioco è stato un tentativo di sfruttare le nuove funzionalità della console portatile, ma con risultati estremamente deludenti. Il titolo consiste, infatti, in un gioco di gare di corsa, in cui il giocatore utilizzava il pennino per guidare e manovrare Pikachu attraverso vari percorsi di gara.
Tuttavia, questo capitolo fuori dagli schemi presentava una lunga serie di criticità. Innanzitutto, in modalità giocatore singolo è possibile utilizzare solamente Pikachu, mentre in multiplayer la scelta si allarga. Il gameplay, inoltre, si presenta come originale, ma risulta dopo pochissimo tempo limitato e ripetitivo. Anche la durata del gioco lascia molto a desiderare, visto che si aggira attorno alle due ore, per non parlare di un comparto tecnico terribile e della mancanza di una trama che creasse una connessione con il mondo Pokémon: elemento caratteristico degli altri episodi della serie.
L’insieme di questi elementi ha fatto dissolvere molto rapidamente l’entusiasmo iniziale, rendendo Pokémon Dash un titolo senza sostanza e lasciando i giocatori con un’esperienza piatta e monotona.
2. Pokémon Dream Radar (2012): una delusione in realtà aumentata
Dream Radar è un’app rilasciata sull’eShop di Nintendo 3DS. I giocatori potevano utilizzare il giroscopio e le telecamere esterne del 3DS per combattere e catturare le creature selvatiche in realtà aumentata. I Pokémon raccolti potevano poi essere trasferiti in Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
L’idea che sta alla base dell’applicazione, che sulla carta poteva risultare anche interessante, è stata però realizzata in maniera pessima, con un gameplay eccessivamente ripetitivo e basilare. Il titolo, infatti, offre una sola meccanica di gioco: trovare i mostriciattoli attorno a noi, lanciare un raggio laser e catturarli. Niente di più.
Le creature disponibili, inoltre, sono solamente venti, di cui la stragrande maggioranza è composta da Pokémon molto comuni. Non è nemmeno possibile giocare ogni qual volta lo si desidera. Una volta completata una sessione, infatti, è necessario attendere un’ora prima che le nuvole rosa dalle quali fuoriescono i mostriciattoli si rigenerino, a meno che non si spendano le monete di gioco accumulate sulla console. In quel caso le nuvole si rigenerano immediatamente: anche questa opzione, però, è limitata, e può essere attivata solamente due volte al giorno.
1. My Pokémon Ranch (2008): una volta qui era tutta campagna
Questo capitolo, pubblicato nel 2008 su Nintendo Wii, aveva l’intento di essere una sorta di simulatore di vita più che un vero e proprio titolo giocabile secondo gli standard tradizionali della saga. Nel gioco, infatti, ti trovi improvvisamente in un ranch in cui la giovane proprietaria, Giulia, ti spiega che dovrai occuparti assieme a lei di rendere la fattoria un luogo pieno di Pokémon. Per fare ciò, il giocatore poteva trasferire dalle versioni di Diamante e Perla fino a un massimo di mille delle proprie creature, lasciandole così libere di girovagare per la struttura e potendo scattare loro fotografie.
Tutto qui. Non ci sono sfide da completare, non ci sono obiettivi da raggiungere. Non c’è niente, nemmeno la possibilità di far salire di livello i mostriciattoli: in questo “gioco” (se così si piò chiamare) il giocatore non poteva far altro che rimanere a guardare le proprie creature scorrazzare per il ranch. Uno spin-off senza alcun senso e senza alcun valore. E no, non era gratis, ma aveva un costo di addirittura 10 euro.