Può un titolo imperfetto, spigoloso e con svariati difetti strutturali essere considerato un capolavoro, anche negli anni a venire? La risposta è sì, soprattutto se parliamo di Fumito Ueda e delle sue creazioni.
Lo sviluppatore nipponico dopo aver progettato Enemy Zero, un discreto survival horror pubblicato nel 1996 in origine su Sega Saturn, subentra in Sony verso la fine degli anni ’90 ed è proprio in questi anni PlayStation che una fetta di videogiocatori, sempre crescente, cominciò ad ammirare e apprezzare il suo estro nel creare titoli iconici, con un forte impatto emozionale e basati quasi esclusivamente sul gameplay a discapito della narrazione, come un buon videogioco tutto sommato dovrebbe essere.
Una luce nel buio
Nei 15 anni di collaborazione tra Ueda e Sony, il frutto delle ispirazioni di Fumito Ueda vanno ritrovate in Ico, Shadow of the Colossus e The Last Guardian, tre progetti ovviamente diversi ma con dei comuni denominatori che li rendono assolutamente riconducibli al talentuoso sviluppatore giapponese.
Ico debutta nel 2001 su PlayStation 2 e onestamente ci mise poco per lasciare il segno nel cuore di molti videogiocatori. Ico è un’avventura a suo modo praticamente perfetta ed empaticamente eccellente. Lo scopo del gioco è quello di accompagnare per mano (letteralmente) una misteriosa ragazza intrappolata in un castello. Tramite il nostro alter ego che dà anche il nome al gioco stesso, il giocatore è chiamato a collaborare con la ragazza vestita di bianco per fronteggiare i vari enigmi ambientali al fine di fuggire dal castello, stando anche attenti a non farsi risucchiare da alcune misteriose ombre che per qualche ragione vogliono inghiottire Yorda.
L’aspetto più sorprendente dell’opera stava proprio nella cooperazione tra i due giovani protagonisti, sovente necessaria per scappare dal labirintico castello che fa da splendida cornice a un’avventura con pochi fronzoli. Dialoghi ridotti all’osso, indicatori praticamente assenti e in generale pochissime interruzioni. Ico fu uno dei primissimi giochi in assoluto dove la cooperazione tra due personaggi era quanto mai essenziale per venire a capo dei vari enigmi ambientali o situazioni scabrose per garantire la sopravvivenza e relativa fuga dei due sfortunati protagonisti. Nonostante qualche difettuccio nel sistema di comunicazione tra Ico e Yorda, il titolo di Fumito Ueda è ricordato ancora oggi come un’eccellenza assoluta per quanto concerne la seconda generazione PlayStation, per via di alcune meccaniche perfettamente incastonate e un impatto emozionale che la storia di Ico e Yorda riuscì a scatenare in molti videogiocatori anche negli anni a venire, anche grazie alle ambientazioni evocative eppure claustrofobiche al tempo stesso, giacché apparentemente senza una chiara via di fuga.
Un felino troppo cresciuto
L’elemento di cooperazione nel gameplay viene espanso e probabilmente persino migliorato in The Last Guardian, pubblicato a fine 2016 su PlayStation 4 dopo uno sviluppo che definire “travagliato” è poco. The Last Guardian è incentrato sulla storia (sotto forma di flashback) di un ragazzo proveniente da un villaggio sperduto che si ritrova in una sorta vallata dalla quale è apparentemente impossibile fuggire. Al momento del risveglio si ritroverà in compagnia di una strana creatura, che a prima vista sembra un felino gigantesco. Esattamente come in Ico, la trama è estremamente criptica e pare quasi un impiccio al gameplay. Ancora una volta dunque sarà fondamentale la collaborazione tra il ragazzo e la misteriosa creatura di nome Trico. Il protagonista può muoversi agilmente negli spazi angusti o scalare edifici, per poi salire in groppa a Trico per balzare verso punti molto distanti o difendersi dai pericolose statue animate che cercheranno di abbattere la povera creatura.
L’aspetto forse più emozionante è che Trico si comporta esattamente come un animale domestico che entra da poco tempo in famiglia; la sua fiducia va conquistata col tempo e con le giuste attenzioni. L’empatia tra il ragazzo e la creatura migliorano col tempo e di conseguenza tutto il gameplay ne guadagna di immediatezza. Cibatelo, rincuoratelo dopo una battaglia con le statue e vedrete che Trico risponderà in maniera sempre più efficace ai comandi, elargendo un senso di soddisfazione e realismo empatico semplicemente sorprendente. Nel corso dell’avventura sarà inevitabile affezionarsi a Trico per via dei suoi comportamenti da animale sì grosso ma all’apparenza indifeso e bisognoso di attenzioni e coccole come un qualunque animale domestico. The Last Guardian è un titolo parecchio imperfetto e farraginoso, ma al netto di questo è forse l’opera che più rispecchia le idee di gameplay di Fumito Ueda, anche su ammissione dello sviluppatore stesso.
Colossi e lande sconfinate
Shadow of the Colossus è senza dubbio la creatura maggiormente differente della “trilogia” di Ueda dedicata a PlayStation. Uscì in origine nel 2005 anch’esso su PlayStation 2 (poi riproposto sottoforma di ottimo remake lo scorso anno su PlayStation 4) e le aspettative furono sicuramente alte per via del successo di critica e pubblico ottenuto da Ico, tanto da considerarlo una sorta di “seguito spirituale”, sebbene in realtà fu un titolo decisamente diverso.
Il protagonista è Wander il quale a cavallo del suo fido destriero Agro, porta con sé una fanciulla esanime e avvolta in un manto. Wander è venuto a conoscenza della possibilità di riportarla in vita ma a seguito di un sacrificio importante; riportare in vita 16 idoli contenuti in una sorta di tempio abbattendo gli altrettanti 16 Colossi che occupano le lande circostanti. Lo scopo del gioco è dunque quello di abbattere i 16 Colossi e riportare in vita la fanciulla.
Come da tradizione dei titoli di Fumito Ueda, anche in Shadow of the Colossus è assente ogni tipo di indicatore. Per scovare il successivo Colosso da abbattere, Wander dovrà alzare la spada al cielo e seguire il fascio di luce nella direzione corrispondente. Una volta giunti nel luogo dove si nasconde la bestia da abbattere, parte la vera esperienza del gioco. Di fatto in Shadow of the Colossus sarà l’unica cosa che il giocatore dovrà fare, ovvero battere i Colossi in modi ovviamente sempre diversificati e nella maggior parte dei casi molto impegnativi. Per fare ciò è fondamentale cercare i punti deboli del boss che si sta affrontando sempre grazie alla spada che marca i punti deboli del Colosso sempre tramite il fascio di luce che ne fuoriesce.
Le battaglie con i Colossi sono spesso impegnative e a volte anche molto lunghe, rendendo Shadow of the Colossus il titolo di Ueda quello più “action” e cruento rispetto agli altri. Eppure, anche qui ci si riesce ad emozionare e quasi persino a dispiacersi quando si infligge l’ultimo e decisivo colpo al boss segnando la sua dipartita, il tutto volutamente sottolineato con inquadrature zoomate e musiche di intensità crescente per sottolineare l’evento. Vedere cascare la carcassa del Colosso ormai inerme riesce a incutere una strana sensazione di malinconia e tristezza persino stranianti.
Rimanere indifferenti alle opere di Fumito Ueda è praticamente impossibile se si entra in piena empatica con i personaggi e gli eventi apparsi su schermo. Titoli come questi elevano l’hobby del videogioco a qualcosa in più del semplice smanettamento sul joypad e da questo punto di vista Ueda ha dimostrato capacità al di sopra della media. Si vocifera che sia a lavoro su un nuovo progetto, chi vi scrive non può che essere felice e speranzoso della notizia.