L’opinione pubblica è sempre stata molto divisa su questo tipo di argomento. Alcune persone intravedono nei videogiochi un rischio, un elemento dannoso capace di logorare non solo la socialità di un individuo spingendolo a isolarsi dinnanzi a uno schermo ma lo ritengono anche, una componente di distrazione che mina all’apprendimento e alle abilità cognitive della persona. Ma quanto è vero questo assunto?
Negli ultimi anni, diverse ricerche si sono occupate di questa delicata tematica, sottolineando come i videogiochi siano invece molto importanti per l’apprendimento cognitivo, per la memoria, e in generale per tutti i processi e le connessioni cognitive, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione perché smuovono dei meccanismi mentali di risposta rapida verso un “problema” che in un momento specifico il gioco pone. Una interessante ricerca svolta presso la University of Utah School of Medicine e la Chung-Ang University ha dimostrato che i videogiocatori hanno una coordinazione vista-udito più rapida e sviluppata dei non-giocatori e che sono più lesti a dare una risposta cognitiva adeguata. Bisogna anche dire che apprendere con i videogiochi è il modo più diretto e divertente, spesso proprio per sua natura, il videogioco rimane più impresso nella memoria rispetto a un libro didattico. Il videogioco spinge la mente a dare la risposta e/o la soluzione più giusta a una determinata circostanza nel minor tempo possibile, a volte quasi immediatamente; possiamo dedurre che ci sia un notevole allenamento cognitivo e non l’annullamento delle sinapsi come molte persone sono portate a pensare.
Il videogioco come mezzo di apprendimento
Ma possiamo davvero apprendere qualcosa dai videogames? In questo caso non c’è una risposta netta ma dobbiamo cominciare a pensare e analizzare il videogioco con un criterio a parte rispetto agli altri media narrativi perché siamo di fronte a qualcosa di diverso e particolare, un media “attivo”. L’utente interagisce attivamente con il mondo di gioco e crea un suo spazio di personalizzazione e alterazione della narrazione principale; questo lo aiuta a sviluppare delle realtà cognitive che non si riscontrano in nessun’altro modo. Tutto ciò che è passivo, spesso, viene rifiutato dalla mente, la quale fa resistenza a concetti e idee che non gli appartengono che non avverte come collegate a sé in nessun modo, ma solo imposte dall’esterno. Non è facile avvertire empatia per un libro scolastico e capirne profondamente le ragioni, ma quando siamo noi ad avere un mondo letteralmente nelle nostre mani e a doverlo gestire le cose cambiano notevolmente. La mente crea una risposta sorprendente ad alcune tematiche, sviluppa un pensiero critico molto forte e partecipa attivamente alle possibili conseguenze che quella determinata azione ha generato.
Esistono videogames che sono stati progettati con lo scopo principale di educare prima che intrattenere. Sono titoli studiati e ideati da menti tecniche e scientifiche e destinati all’apprendimento (Labyrinth, SeaGame ecc). Questa tipologia di videogiochi è detta “serious games” (giochi seri). In questo caso l’apprendimento è diretto perché riguarda gli elementi tecnici, la conoscenza narrativa e la gestione delle meccaniche di gioco. Abbiamo anche un’altra tipologia di videogames che si accompagna ad una altrettanta diversa tipologia di apprendimento, sto parlando degli “entertainment games” (giochi di intrattenimento). Questo forse, è il problema principale che vede i videogames al centro di una polemica che non ha mai avuto una fine, l’indubbia natura educativa dei giochi di intrattenimento. La tipologia di questi giochi non ha come scopo quello di educare ma di intrattenere e divertire l’utente ed è per questa ragione che spesso il videogioco viene giudicato come qualcosa di negativo. Quante volte abbiamo assistito direttamente o indirettamente a liti tra genitori e figli a causa di questo? Quante volte ci sono stati vietati?
L’apprendimento che deriva dagli “entertainment games” sicuramente non è tecnica. Non ci insegna la matematica, l’inglese o la storia. Allora di quale tipo di apprendimento si occupa questa tipologia di gioco? A questo proposito si parla di apprendimento “collaterale”, ovvero lo sviluppo di capacità e inclinazioni specifiche che nascono di pari passo al proseguimento ed evoluzione del gioco. In alcuni videogames, come nel caso di platform o giochi di strategia o MMORPG, sono richieste abilità cognitive di ragionamento, strategia e di logica per poter proseguire. In questo caso, l’utente non apprende delle vere e proprie nozioni ma allena la mente al ragionamento.
Entrambi questi processi di apprendimento sono validi. La mente umana apprende in diversi modi, non solo a livello nozionistico-scolastico ma anche in modi più logici e di ragionamento che nutrono in egual misura la nostra mente rendendoci capaci di discernere le situazioni e saperle gestire.
Il videogioco rimane un buon mezzo per veicolare queste connessioni e coordinamenti cognitivi e se equilibrato risulta un buon mezzo di apprendimento anche per i più giovani.
Conclusioni
Nonostante ci siano questi aspetti indubbiamente positivi, non possiamo esimerci dal riconoscere che un uso eccessivo dei videogiochi può condurre alla dipendenza, all’isolamento e ad altre alterazioni della personalità. Quello che però è necessario sottolineare è che qualunque cosa se fatta nel modo sbagliato e in modo eccessivo può diventare un’ossessione dalla quale non si riesce più a discernere ciò che giusto da ciò che è sbagliato. Non è il videogioco a dover essere demonizzato, ma l’uso che l’uomo ne fa. Le cose possono avere una doppia natura sta a noi stabilire come vogliamo utilizzarla e a quale scopo, come la scienza e la tecnologia che da sempre hanno sollevato e sollevano una serie di interrogativi morali e etici su cui, ancora oggi, si dibatte.