La storia dell’Intellivision diventa quasi una storia familiare, poichè è una delle prime console con cui abbia giocato.
Essendo uscita nel 1979 era già più che obsoleta quando sono nato; nei primi anni ’90 un esemplare era ancora conservato nella proverbiale soffitta di mio zio.
Tra l’altro l’aveva ricevuta nel Natale del 1983, così recitava una scritta a pennarello sulla confezione (orrore!), quando tutti desideravano trovare sotto l’albero lo ZX Spectrum, se già non l’avevano. Fu quindi una vera e propria delusione ricevere una macchina che, già in quel giorno gioioso, aveva affrontato un inesorabile declino.
In occasione del 40 anniversario dalla sua uscita, è il momento di soffiar via la polvere dall’Intellivision e analizzarla con un occhio più critico possibile.
All’epoca della sua uscita, la console Mattel aveva un avversario molto temibile; vero è che non c’era una grandissima concorrenza, ma l’Atari VCS fu una macchina molto apprezzata, che segnò in lungo e in largo il mondo dei videogame. Fu la prima piattaforma a rivoluzionare effettivamente il mondo del gaming casalingo, tuttavia non intimorì altri produttori uno dei quali era un veterano dell’industria dei giocattoli, per l’appunto Mattel.
Mattel, il cui nome nasce dalla fusione dei due fondatori, Harold Matson e Elliot Handler, fu fondata nel 1945 e, in un epoca volenterosa di dimenticare gli orrori della seconda guerra mondiale, ebbe un gran successo, specialmente con la sua Barbie. A metà degli anni ’70, i dirigenti più giovani della Mattel spingevano affinchè la compagnia entrasse anche nel business dei giochi elettronici, inizialmente con semplici handheld a LED, come Auto Race o Baseball.
Questi primi tentativi ebbero alterne fortune, ma nel 1978 venne avviato lo sviluppo di un sistema a cartucce intercambiabili. Con il capo del design e sviluppo di Mattel, Richard Chang, a sovrintendere al progetto, APh Technology venne impiegata per progettare il sistema operativo mentre Dave Chandler di Mattel guidò un team per modellare la macchina stessa. All’interno di APh, Dave Rolfe si occupò sia di programmare il sistema operativo della macchina che di svilupparne uno dei primi giochi, Baseball.
Con il VCS rilasciato l’anno prima, Mattel poteva avere una precisa idea dell’avversario e di quali migliorie avrebbero potuto apportare alla console Atari: grafiche migliori, il già menzionato sistema operativo e un controller più complesso che consentisse di sviluppare giochi più complessi.
L’idea principale era quella di inserire una ROM grafica contenente una serie di immagini standard, come il famoso omino in corsa, che potessero essere utilizzate nei giochi in modo tale da risparmiare quanta più memoria possibile all’interno della cartuccia, una battaglia centrale per questo tipo di formato, parzialmente vinta solo in tempi recenti da Nintendo.
Il famoso look della console, parzialmente ispirato all’Atari 2600 (che gli americani chiamavano “Woody”, cioè legnoso), includeva una striscia in finto legno e un supporto per i controller integrati; prese d’aria e di corrente, più uno slot laterale per le cartucce, completavano il design prima della sua uscita nel 1979, in un test limitato alla California, volto a verificare se l’Intellivision potesse avere abbastanza successo da arrivare a un lancio ufficiale durante l’anno successivo.
Fu così che ebbe inizio la battaglia, anche se il conflitto si combattè principalmente nei dipartimenti marketing di Atari e Mattel. Una famosa pubblicità, con il famoso scrittore sportivo George Plimpton, metteva a paragone i titoli dedicati al baseball di Atari e Intellivision con il claim “Due parole valgono più di mille parole”, ancora oggi lo slogan è efficace e la differenza tra i due titoli è evidente. Il prezzo al lancio abbastanza pesante di 299$, l’Intellivision (il cui nome è una sintesi delle parole intelligent e television) unitamente alla mancanza di titoli immediatamente riconoscibili non ebbe il successo che in Mattel si aspettavano.