L’Ex ministro, infatti, ha incolpato i videogiochi di essere ostacolo alla lettura, al gioco ed al ragionamento. In conseguenza del post, innumerevoli polemiche ed insulti hanno fatto seguito. Ma è giusto quello che ha detto Calenda?
Innanzitutto va spiegato perché i videogiocatori hanno reagito in modo così violento: questo è l’ennesimo post che attacca il medium ed, indirettamente, i suoi fruitori.
Sarà forte ma io considero i giochi elettronici una delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamento. In casa mia non entrano. https://t.co/ZC74SNSFCq
— Carlo Calenda (@CarloCalenda) 3 novembre 2018
Ho letto di persone esterne al mondo videoludico, sorprese dall’estesa reazione dei giocatori. Eppure, per quanto sbagliata, e comprensibile.
Sentirsi dire che la propria passione è una perdita di tempo o addirittura un danno equivale ad un’aggressione psicologica. La nostra innata e costante ricerca di approvazione sociale ci fa inconsciamente soffrire quando sentiamo una critica così pesante ad una nostra scelta personale. Pertanto, dopo anni di campagne mediatiche che demonizzano medium ed utenza, non c’è da sorprendersi che la reazione sia stata questa.
Calenda stesso ha risposto alle obiezioni, affermando di aver espresso una scelta individuale di educazione dei suoi figli, senza vietare a nessuno di fruire dei videogiochi. Per questo motivo, non trova giuste critiche ed insulti.
Vorrei, invece, far notare che i giocatori non hanno criticato la sua personalissima scelta educativa, ma l’affermazione assoluta secondo cui i videogiochi siano causa di danni ed ostacoli mentali.
È evidente che Calenda sia libero di educare i propri figli in modo autonomo e personale, scegliendo cosa consentire e cosa negare. Fin qui, nessuna obiezione. Tuttavia, è altrettanto evidente che le affermazioni del post riguardano una presunta verità sul medium, non scientifica, che lui ha deciso di veicolare pubblicamente.
Considerando, quindi, l’assoluto pronunciato da Carlo Calenda ed i continui attacchi che i videogiocatori subiscono, penso che la reazione al post sia naturale e, se posso dirlo, scontata.
Per citare la biografia del profilo dell’Ex ministro: “solo un sith vive di assoluti”. Quindi, se posso permettermi una domanda: perché abbracciare questa citazione, se poi la contraddice con le sue azioni?
Quindi, i videogiochi fanno bene?
Come ho scritto poco fa: solo un sith vive di assoluti. Anche la risposta a questa domanda, per essere giusta, non può essere assoluta.
Di fatto, non c’è una risposta semplice. Affermare che “fanno bene. Punto.” significherebbe essere inesatti tanto quanto coloro che affermano “fanno male. Punto.”. Occorre, invece, contestualizzare tutto, per spiegare i possibili benefici ed anche i possibili danni.
Dal loro esordio i giochi elettronici si sono evoluti in modo rapidissimo, presentando mondi complessi che possono comunicare emozioni, critiche sociali, storie e persino nuove prospettive. Ciò che rende i videogiochi unici è l’inedita comunicazione uomo-macchina. Infatti, attraverso l’avatar virtuale, ogni giocatore interagisce con il mondo di gioco, il quale reagisce in modo dinamico alle sue azioni.
Il filosofo Ricoeur nel suo libro “Percorsi del Riconoscimento” afferma che ogni soggettività è un continuo divenire. L’identità di un soggetto, quindi, è delineata continuamente dai “testi” di cui esso fruisce. Per “testi” non intendiamo soltanto le opere scritte, ma qualsiasi media in grado di comunicare qualcosa alla nostra percezione.
Di fatto, anche i videogiochi sono testi. Secondo il filosofo francese, ogni testo permette al soggetto di confrontarsi con altre soggettività (seppur fittizie), per confrontare i propri valori e la propria etica con quelli dei personaggi e degli accadimenti che si vedono nell’opera in questione. Nel caso dei videogiochi, questo è ancora più “potente” dato che non c’è un semplice confronto passivo, ma una vera e propria presenza attiva dell’utente nella simulazione. Nei giochi di ruolo, il giocatore può addirittura modificare gli eventi basandosi sulla propria etica.
Alla luce di questo, possiamo affermare che i videogiochi siano potenti strumenti comunicativi; pertanto, vederli semplicemente in ottica limitata di “danno” è semplicemente anacronistico, dato che non si considerano tutte le loro potenzialità.
Ci sono diversi studi, infatti, che dimostrano le caratteristiche positive del medium sull’utente. Quindi, perchè ignorarli?
- Uno studio avvenuto all’università di Rochester ha dimostrato che giocare a videogiochi d’azione o dalle dinamiche veloci porta gli utenti a prendere decisioni più velocemente nella vita reale. Questo perchè il cervello si abitua a ragionare su più informazioni contemporaneamente. Prendiamo, per esempio, Call of Duty. Il gameplay non è particolarmente complesso, eppure, persino nella sua semplicità mette il giocatore in condizioni di riflettere velocemente su: ambiente circostante, minimappa, munizioni, arma da utilizzare, ripari e minacce. Un bel pò di cose tutte insieme. Per questo motivo, affermare che i giochi d’azione abbiano l’unico effetto di “far sembrare più lento e noioso tutto il resto” è semplicemente inesatto.
- Altre ricerche, raccolte dalla CBS, portano alla luce importanti statistiche sulla relazione tra videogiochi e bambini. Oggi quasi tutti i bambini Americani fruiscono, almeno saltuariamente, di videogiochi. La maggior parte di essi, lo fa in compagnia di altri, attraverso competizioni casalinghe o semplicemente giocando “a turno” mentre si parla. Inoltre, quasi tutti parlano delle loro esperienze virtuali a scuola, rendendo i giochi un ottimo strumento di socializzazione. Io stesso alle scuole elementari giocavo a Robin Hood su PC, insieme ad un mio amico. Il giorno dopo confrontavamo le nostre imprese ridendo e scherzando. Ancora una volta, se giocare non è visto come uno stigma, può diventare un ottimo trampolino di lancio per nuove amicizie reali.
- Un altro studio, condotto dalla University of California ha dimostrato come i videogiochi possano essere un modo perfetto per ridurre depressione subclinica negli anziani. Nello studio, i pazienti giocavano per 35 minuti, tre giorni a settimana, ad un gioco per Nintendo Wii. Oltre un terzo di essi ha registrato un aumento di performance cognitive, miglioramento della qualitò di vita e di salute. Inoltre, che dire di Shirley Curry? Anziana signora residente in Virginia, che gioca a Skyrim nonostante sia ultra ottantenne. Una volta la nonnina ha dichiarato di aver iniziato a giocare grazie a suo nipote, che le ha fatto scoprire il titolo. Ha amato il fatto di poter vivere nuove esperienze ed esplorare un mondo vasto, pur restando in casa; inoltre, ha aggiunto che questa possibilità la rendeva felice, dato che le dava anche modo di riempire le sue giornate.
Devo continuare? Ci sono innumerevoli altri studi che parlano dei benefici derivanti una fruizione costante di videogiochi e tutti convergono sui benefici che essi hanno sul cervello dei giocatori. Come ho detto in origine, però, non ci sono soltanto dati rosei. Infatti, altri studi dimostrano una possibile correlazione tra aggressività e videogiochi.
- Una ricerca della State University di Ames riferisce che i giochi violenti possono, potenzialmente, aumentare l’aggressività di alcuni soggetti. Se stai già pensando “ma io gioco e non ho mai schiacciato un insetto”, la risposta è presto detta: il soggetto in questione deve essere già a rischi0 per altri fattori nella sua vita che stimolino l’aggressività. Questo vuol dire che i videogiochi possono portare potenzialmente alla violenza, ma non possono essere additati come causa determinante, data la necessaria presenza di altre componenti.
- Per completezza, non posso ignorare la “gaming addiction”. Di fatto, la dipendenza dai videogiochi è una malattia riconosciuta dall’organizzazione mondiale della sanità. Va precisato, anche in questo caso, che parliamo di un uso compulsivo di videogiochi; ovvero di un utilizzo costante e ripetuto, con pochissime pause. Inoltre, i comportamenti devono manifestarsi per un anno, prima di essere diagnosticati come tali; salvo alcune eccezioni. Questo non significa che i videogiochi siano causa di dipendeza e rischio appena si accende una console. Significa solo, anche in questo caso, che alcuni soggetti a rischio possono cadere in questo disordine mentale.
Potrei spendere tante altre parole per parlare del fenomeno E-Sport, dei raduni di Pokémon Go e tanti altri eventi che vedono i videogiochi associati alla socializzazione od a caratteristiche positive o negative. Tuttavia questo non è un saggio e per amor di brevità mi fermerò qui. Se sei interessato ad avere una visione esaustiva e completa in proposito, basta un pomeriggio su internet (con particolare riguardo per le fonti) oppure il libro “Psicologia dei Videogiochi” di Stefano Triberti e Luca Argenton, che fornisce una visione esaustiva di benefici e rischi di questo mondo. Lo segnalo perchè lo trovo completo non per una collaborazione o altro.
Conclusioni?
I videogiochi sono un medium giovane, pertanto è normalissimo che non ci sia un’opinione unanime sull’argomento. Tuttavia, data la presenza di studi, i quali dimostrano sia lati positivi che negativi, perchè concentrarsi solo su questi ultimi? Perchè non vedere anche il lato positivo del medium? Perchè non vederne la maturazione, che consente ai videogiochi di essere veicolo di messaggi e critiche sociali?
Ci sono dipendenze anche da Internet e dalla TV, ma non per questo si distruggono tutti i pc e le televisioni con un maglio da muratore. Il fatto che un medium abbia una potenziale connotazione negativa, non significa che sia lecito eclissarne quella positiva. Inoltre, se posso permettermi, le ricerche dimostrano che fruizioni brevi e costanti corrispondono già a risultati estremamente positivi per il soggetto. Dall’altra parte, le conseguenze negative sono “potenziali”. Il che significa che potrebbero manifestarsi, ma non è detto. Dipende dall’utente che ne fruisce e non dal gioco in sè.
Oggi i videogiochi fanno parte della cultura, al pari di altri media. Ogni gioco è la proiezione della nostra società e può, a sua volta, proiettare qualcosa di concreto nei contesti sociali in cui viene fruito. Peraltro, proprio questa è la risposta di un professore dell’università “Tor Vergata”, di Roma.
@CarloCalenda credo che lei, in buona fede, non conosca la reale identità di ciò che chiama “giochi elettronici”, e che sono opere interattive dal valore culturale e artistico, nel solco di letteratura, teatro, cinema o fumetto. Lo insegno da 10 anni all’Università “Tor Vergata”.
— Metalmark (@Metalmark) 3 novembre 2018
Oggi i videogiochi sono una vera e propria espressione artistica. All’interno di un singolo prodotto ci sono disegnatori, designer, artisti, programmatori e scrittori. Soprattutto, dietro ogni opera ci sono persone con i loro sogni e con la loro passione. Spesso, questi sviluppatori lavorano anni interi ad un progetto, prima che quest’ultimo arrivi sugli scaffali.
A volte, alcune di queste opere riescono a divertire ed emozionare, altre volte posso persino ispirare. Lo stesso Hideo Kojima ha affermato che la conquista più grande per l’autore di un’opera risiede nell’ispirare una persona che ne fruisce a creare qualcosa di proprio. Moltissimi giocatori confermano che questo sia possibile. Io stesso non starei scrivendo qui se non fossi stato ispirato dai videogiochi. (Che peraltro, mi hanno dato gratificazione persino negli anni più bui della mia vita).
Questo accade perchè, come dice il famoso critico Egò di Ratatouille, in un monologo che apprezzo particolarmente: “…nel grande disegno delle cose anche l’opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale…”