Quando ci si trova tra appassionati, capita spesso di tirar fuori ricordi relativi ai videogiochi, collegandoli a momenti specifici della nostra vita, oppure di ricordare alcuni giochi con cui i programmatori hanno definito la loro visione del medium.
Una cosa è chiara: i videogiochi ci coinvolgono a livello personale, e possiamo analizzarne l’evoluzione e la rapida crescita dell’industria semplicemente guardandoli. Quello che è realmente interessante è che, guardando i videogiochi, è possibile rendersi conto dei cambiamenti della società o dell’essere umano, allo stesso modo in cui lo facciamo con tutti gli altri media.
Man mano che le persone crescono con i videogame, questo diventa semplicemente inevitabile: l’arte imita la vita, si suol dire, normale quindi che storie personali o temi diffusi ispirino i videogame.
Prendiamo Bury Me, My Love e Path Out, ad esempio. Entrambi i titoli raccontano storie completamente differenti, con eventi messi in moto dalla stessa causa scatenante, la guerra civile siriana.
In un ipotetico futuro in cui le persone non ricorderanno più niente di questo conflitto (a tratti un genocidio), questi giochi fungeranno da capsule del tempo per educare i più giovani, come per certi versi fanno già oggi nei confronti di chi, come noi, ha solo un punto di vista esterno rispetto a questi eventi.
L’essere umano è da sempre affascinato dalla propria storia, e alcuni titoli fanno un ottimo lavoro nel rappresentare epoche passate.
A riguardo non si può non menzionare Assassin’s Creed, specie ora che Ubisoft ha creato il proprio museo virtuale per insegnare ai giocatori qualcosa di più sui periodi storici della serie. Allo stesso tempo ho trovato sorprendente il modo in cui titoli come Mafia 3 o L.A. Noire hanno saputo ricreare alla perfezione i periodi storici in cui sono ambientati, riflettendo le convinzioni diffuse all’epoca su come trattare donne o persone di colore; anche se queste ideologie sono sopravvissute in parte, questi esempi ci fanno capire quanto l’essere umano abbia realmente fatto passi avanti nel tempo.
In Ry Ga Gotoku Studio sono stati reattivi a rispondere ai mutamenti della società, rimuovendo dalla remastered di Yakuza 3 una missione secondaria che coinvolgeva un personaggio transessuale, dal momento che non rispecchiava più gli avvenuti cambiamenti sociali e gli attuali valori della società.
Anche Tomb Raider è un esempio di come siano cambiati nel tempo sia il pubblico, sia il rapporto dei giocatori con i videogiochi. La Lara Croft creata da Eidos era un modello del personaggio femminile ideale: brava a sparare, sarcastica, coraggiosa e sexy, finanche esagerata nel fisico.
Non era esattamente un personaggio pensato per un pubblico eterogeneo; la situazione è cambiata con il reboot che ci mostra una Lara più umana, con cui i giocatori possono identificarsi più facilmente.
L’eroe invincibile appartiene al passato, due decadi che pesano come macigni in un mondo che viaggia alla velocità della luce; in Tomb Raider oggi le esagerazioni sono esterne rispetto alla sua protagonista, coinvolta in percorsi e vicende più grandi di lei.
Nel titolo si parla di macchina del tempo, il che ci riporta ad un concetto più classico di storie in cui una macchina (intesa come apparecchiatura, ma anche come DeLorean) ci consente di raggiungere qualcosa che ormai è perso per sempre.
I videogiochi come viaggio nella storia?
Assassin’s Creed è un po’ un esempio di questo, con le sue accurate ricostruzioni di luoghi e tempi più o meno remoti. Nel secondo capitolo, girare per la Firenze rinascimentale e arrampicarsi in cima ad una versione fedelissima di Santa Maria del Fiore è un grande esempio di interazione con la storia.
Ma è con il recente rogo di Notre Dame de Paris che mi sono chiesto se i videogiochi, un giorno, potranno costituire la nostra porta d’accesso ad un mondo ormai andato insieme alle simulazioni VR; qualcosa che ci riporta a film come Player One o Blade Runner.
E se la versione alternativa della Seattle di Infamous: Second Son sopravvivesse alla città reale? Importerebbe a qualcuno il fatto che si tratta di un’interpretazione, costruita a beneficio dei giocatori o si applicheranno gli stessi schemi mentali che valgono per altre opere dell’intelletto umano, come ad esempio la pittura?
Ancestors: The Humankind Odyssey è basato su un concetto abbastanza valido e vicino a questo tipo di ragionamenti. Purtroppo è emersa come un’esperienza noiosa e frustrante da giocare; sicuramente sarà stato un vero e proprio inferno vivere a quei tempi, ma non credo fosse a questo che puntava Panache. Stessa cosa vale per le voci che sussurrano a Senua in Hellblade, colpevoli di rendere l’esperienza di gioco meno genuina con i loro continui suggerimenti e commenti.
Che sia accidentalmente o in maniera deliberata, i videogiochi tendono a rispecchiare esperienze reali e anche se non è sempre facile trasferirle in un’esperienza di gioco, una delle strade attraverso cui i videogame possono fungere da macchine del tempo è quella di farci vivere delle esperienze, familiari o meno, in maniera interattiva.
Ovviamente esistono anche giochi che provano ad educare gli utenti, prima che sia troppo tardi, cercando di salvare il nostro mondo attuale. Abzû, ricreando il mondo subacqueo crea un’atmosfera di meraviglia, in cui il giocatore si trova a pensare che tutte le creature e i fondali colorati esistono realmente, insegnandogli al tempo stesso i nomi delle varie specie.
Beyon Blue, titolo di prossima uscita di E-Line Media, va ancora oltre e in collaborazione la serie della BBC Blue Planet 2, prova a inserire elementi documentaristici in un’esperienza videoludica.
Sarà interessante vedere come Planet Zoo tratterà l’insegnamento sulle varie razze animali e i loro bisogni; con specie che muoiono ogni giorno ad un ritmo allarmante, molti degli animali che oggi diamo per scontati potrebbero fare la fine del dodo ma l’attaccamento personale, sia pure alla versione digitale di un animale, potrebbe essere fondamentale per muovere le coscienze, alzare la sensibilità dell’essere umano e persino spingere qualcuno all’azione.
I giochi non solo riflettono lo stato del mondo in cui esistono, ma ne sono anche parte attiva. Fortnite è ormai diventato centrale nella discussione sugli adolescenti e su come passano il tempo; i genitori devono diventare digitalmente scaltri e tenere conto di questi elementi nell’educazione dei propri figli, mettendo anche dei limiti dove necessario. In più il titolo Epic influisce anche nel modo in cui i più giovani entrano in contatto con altre culture o aspetti diversi della propria.
Finora siamo stati abituati a parlare molto di videogame, ma ritengo che presto cominceremo invece a parlare attraverso i giochi; sarà interessante vedere le possibilità (e i limiti) dei videogiochi in veste di insegnanti di storia. Sempre che si possa risolvere in via definitiva il sistema dei supporti di gioco: se oggi facciamo difficoltà a utilizzare un floppy disk, chissà se in futuro riusciremo a conservare la memoria digitale, se resisterà allo sviluppo tecnologico di console e dispositivi alla stregua di un libro, vecchio e polveroso sì, ma ancora in grado di essere letto.