È notizia di aprile 2024 la scintilla del caso Ubisoft – The Crew.
Sviluppato in collaborazione con Ivory Tower, The Crew è un simulatore di guida Ubisoft Reflections in forza dal 2014 su XBox 360, PlayStation 4, Windows e XBox One.
A differenza del single player di Need For Speed, però (titolo di punta del genere), The Crew si caratterizzava per una modalità always online in costante competizione multiplayer. Similmente a GTA Online, in pratica, il multiplayer in rete serviva a scalare di livello e procedere nella storyline.
Diversamente dal titolo di Rockstar Games, però, The Crew non prevedeva una modalità offline. Fin dall’inizio si proponeva come un titolo di esclusiva esperienza online, con server e rete indispensabili anche per archiviazione e salvataggio di trofei e punteggi.
Chiudere server e supporto, dunque, equivaleva a rendere il gioco praticamente inservibile per gli utenti, a maggior ragione per un titolo ormai difficilmente reperibile in formato fisico.
Nonostante i server ormai quasi vuoti il caso ha comunque sollevato un polverone di critiche in merito alla legittimità dell’operazione di Ubisoft ed evidenziato, di conseguenza, una zona grigia dell’industria videoludica: che cosa compriamo, ad oggi, con il declino del supporto fisico? Che diritti abbiamo sull’acquisto o sulla vendita?
Digitalizzazione e cultura: potenzialità d’espansione
Le domande, in realtà, potrebbero espandersi in tutti i campi del mercato culturale.
Non è una novità la crescente tendenza dell’industria a puntare sul mercato digitale. Nell’ultimo decennio, tra piattaforme di streaming e store online, il supporto fisico della cultura (videoludica, letteraria, musicale o cinematografica) ha subito una deriva costante in termini di vendite ed investimenti. (emblematico il caso Gamestop.)
Le cause sono altrettanto semplici da immaginare:
- minore impatto ambientale;
- comodità d’acquisto per utenti e consumatori;
- possibilità di supportare ed aggiornare il prodotto con più facilità;
- possibilità di abbattere i costi di distribuzione.
Fin quando però la cultura è rimasta vincolata ad un supporto fisico (vinile, CD, audiocassetta, libro o pellicola), di fatto, si poteva assimilare il mercato del supporto (CD o cartuccia) con il mercato del contenuto (dati di gioco, file .exe, codice sorgente) ed il possesso del supporto implicava il possesso del contenuto. Ad oggi, invece, cinema, libri, brani e serie TV vengono venduti in digitale, su piattaforme di streaming in abbonamento, e l’acquisto non comporta più il possesso.
The Crew: il caso
In seguito alla chiusura dei server, due utenti, tra ottobre e novembre 2024, hanno denunciato Ubisoft nel tentativo di far approdare una class action in tribunale: l’accusa consiste nell’ aver fondamentalmente frodato i consumatori.
Probabilmente i termini di una vera e propria truffa da parte di Ubisoft non sussistono, ma il polverone sollevato dal caso e le potenzialità di espansione del dibattito al mercato digitale ha raggiunto rapidamente le autorità competenti.
Nel Settembre 2024 il governatore dello Stato di California Gavin Newsom si è in parte pronunciato sulla questione. Con la firma della Legge AB 2426 (pagina in link per il testo originale) si raccomanda store e distributori di informare i consumatori sulla natura dell’ acquisto, per qualsiasi tipo di contenuto digitale (con tanto di riferimento specifico, in coda, a “giochi ed applicazioni digitali”). Più letteralmente la legge proibisce a qualsiasi rivenditore di lasciar intendere il possesso, o la licenza, di un bene digitale senza aver informato il consumatore sulla natura dello scambio. In pratica, purché il consumatore sia consapevole, il rivenditore può fare come vuole.
È facile capire che la legge non risolve il problema ma si limita a raccomandare per il futuro. Tuttavia l’attenzione riservata dalle autorità al problema evidenzia la fondatezza della questione nel mercato digitale: scaricare o acquistare contenuti digitali da market place e store digitali concede diritti di possesso al consumatore sulla copia del contenuto? Al momento la risposta è fumosa e non precisa ma sembra propendere per “No, il consumatore non ha diritti di possesso del contenuto e non può rivendicare all’infinito la propria licenza”.
Possesso o licenza: il problema di fondo
Come per il caso Ubisoft – The Crew, una casa di sviluppo può decidere di ritirare dal mercato le licenze di gioco o più semplicemente cessare qualsiasi forma di supporto o aggiornamento per i server necessari all’esperienza online.
Come già accennato non è un caso isolato: Polyphony Digital ha rilasciato un capitolo di Gran Turismo quasi interamente dedicato al multiplayer in rete, Call of Duty ha sviluppato Warzone in esclusiva online e il successo di MMORPG e sparatutto in battle royal negli ultimi anni dipende da dinamiche PvP e connessione di rete. Di poco cambia la situazione con l’accesso free to play: titoli come Fortnite, Apex Legends o PUBG si finanziano in gran parte grazie a micro transazioni in game di grande successo: se gli sviluppatori chiudessero i server da un momento all’altro skins ed emoticons sarebbero praticamente inutili.
Il problema di fondo, quindi, è capire cosa acquistiamo sul mercato digitale e quanto del prodotto resta invece alla produzione.
Nel caso di videogiochi in single player offline, naturalmente, il discorso è relativamente semplice. Dopo una prima fase di aggiustamento successiva la rilascio, fix di bug o aggiornamenti, il titolo può considerarsi un prodotto completo e vendibile, tutt’al più da integrare, eventualmente, con DLC o pack di contenuti che arricchiscono l’offerta di gioco ma non sottraggono nulla al prodotto di base.
Con una modalità always online, tipica anche di titoli di successo come GTA Online, ad esempio, supporto costante e server aperti sono da considerarsi elementi indispensabili all’esperienza di gioco, quasi in bundle con il cofanetto o il download. Un servizio necessario a giocare e di conseguenza teoricamente incluso nel prezzo.
Se tuttavia consideriamo il suddetto prezzo come corrispettivo di una licenza sul prodotto e non del possesso il discorso cambia. In pratica, con i nostri soldi, ci ritroviamo ad acquistare la possibilità di accedere ad un servizio non di disporre di un bene, come se comprassimo la possibilità di entrare in ufficio postale per spedire una lettera: l’ufficio, tuttavia, resta di proprietà dell’azienda.
Naturalmente si parla di proprietà in riferimento ad una copia del prodotto, il prodotto e la proprietà intellettuale resta di competenza dell’autore/ sviluppatore ed è materia per altre riflessioni.
Il dibattito licenza/ possesso su una riproduzione del prodotto, invece, è più attuale e legittimo che mai, soprattutto in campo videoludico e il caso Ubisoft – The Crew, in particolare, pur non essendo ancora effettivamente in tribunale, può aprire, in prospettiva, uno spiraglio cruciale nell’ordinamento giuridico in materia.