Credo sia quanto mai doveroso scrivere una piccola introduzione che possa chiarire l’intento di questo approfondimento e, soprattutto, la sua finalità. I videogiochi fanno parte della nostra storia, ci dicono molto delle nostre abitudini, delle mode e tendenze passate, del cambiamento di percezione dell’opinione pubblica verso alcune tematiche, della variazione del sentimento morale delle persone e via dicendo. Come in tutti gli ambiti del sapere, è necessario capire da dove siamo partiti per comprendere al meglio le ragioni del presente. Fermo restando che la tecnologia e i videogiochi, che sono una sua espressione, è in continua evoluzione possiamo ugualmente determinare un punto di inizio e un punto di arrivo nel mondo videoludico che non sia necessariamente cronologico ma per lo più concettuale. La finalità è comprendere le ragioni, le cause e i fattori che ci hanno portato all’esigenza di un realismo sempre più accentuato nei videogames nonostante ci divertissimo molto anche con due pixel. Ci siamo evoluti solo per ragioni commerciali o anche per esigenze differenti? E dove possiamo rintracciare queste ragioni?
Da dove siamo partiti: un punto di inizio e un punto di arrivo(?)
Siamo abituati, ormai, a titoli dalla grafica estremamente fotorealistica che cerca di emulare sempre di più la vita reale, ma come si divertivano gli adolescenti negli anni’ 70? Non avevano di certo le nostre disponibilità tecnologiche, eppure come noi, passavano le ore a divertirsi da soli o con gli amici a casa giocando ai videogames.
Il primo titolo che ritengo vada menzionato è senz’altro Pong. Pong è il primo gioco arcade dell’Atari (1972), un gioco molto semplice dalla grafica primitiva che ebbe un’enorme successo; il gameplay consisteva nel far rimbalzare una pallina su due linee luminose poste all’estremità dello schermo, cercando di mandarla dall’altra parte del campo; riproduceva, in buona sostanza, le dinamiche del ping pong. Dopo questo progetto che apre l’era dei videogiochi arcade, Atari ebbe l’intuizione di trasferire questo titolo dalle sale gioco ad una vera e propria console a cartucce, e così creò nel 1977 Atari 2600 o Atari VCS (Video Computer System). Come potete notare la grafica di Pong, se così vogliamo definirla, era quanto mai elementare, nonostante questo i nostri genitori si divertivano e passavano le giornate su questi titoli.
Da questo fenomeno in poi, molti altri sviluppatori hanno emulato Atari, creando versioni migliorate di Pong che erano pressoché uguali con giusto un particolare in più: ad esempio la versione a colori della Nintendo. In questo caso la ricerca di un maggiore sviluppo nella meccanica e grafica dei videogames sembra essere guidata da ragioni economiche e di marketing che spingono le case produttrici a sfidarsi a colpi di “pong” per raggiungere le vette del mercato videoludico. La spinta in questo senso ha dato vita ad un processo di miglioramento e perfezionamento grafico.
Gli anni’ 80 sono il periodo più ricco di evoluzione nell’ambito videoludico, con la nascita di Pac-Man (1980) che ha rivoluzionato l’idea del videogioco violento a uso esclusivo maschile per espanderlo ad un pubblico anche femminile. La creazione della Coleco Vision con migliori caratteristiche grafiche e a cui dobbiamo la nascita del noto videogioco arcade Donkey Kong e la console Commodore 64 decisamente più sviluppata dal punto di vista hardware e software. Ideato dal programmatore russo Aleksej Leonidovič Pažitnov nel 1984, Tetris ha raggiunto un successo planetario espandendosi per tutte le piattaforme. Circa due anni dopo la scena videoludica è stata rubata da NES (Nintendo Enterteiment System) con l’arrivo nel 1985 di Super Mario Bros che ha conquistato il mercato… e potrei andare avanti.
Ma non ci siamo fermati qui come sappiamo bene, ci siamo spinti sempre più avanti passando da Tomb Raider e Final Fantasy su PlayStation 1 ai primi titoli su PlayStation 2 con un motore grafico sempre più complesso che cominciava a disegnare anche se in modo approssimativo e impreciso, le sagome realistiche dei personaggi. La riproduzione se pur enfatizzata di un corpo umano, qualcosa che ci fosse famigliare, che potessimo riconoscere. Fino a giungere ai giorni nostri allo sfrenato realismo di Red Dead Redemption 2 per fare un esempio concreto. In Red Dead Redemption 2 abbiamo particolari ossessivamente realistici che possiamo rintracciare ovunque, basti pensare al cavallo del nostro protagonista la cui muscolatura, movenze, abitudini sono riprodotte in modo da far dubitare sia reale. Il nostro destriero va accudito, pettinato, pulito; quando ha fame dovremo nutrirlo, quando galoppa troppo deve riposare e dobbiamo levigare i suoi zoccoli. Il cavallo farà addirittura i suoi “bisogni”. La sua muscolatura si contrae come fosse reale e questa scelta non è certo casuale. L’utente giocherebbe ugualmente anche senza questa ossessione per il realismo grafico e allora perché emulare così tanto la “realtà” delle cose?
La necessità di simulare emozioni
L’affective gaming, è la prima causa della ricerca ossessiva di realismo all’interno dei videogames. Creare una storia che riproduca le emozioni umane in modo sempre più convincente, spinge l’utente a identificarsi meglio nel mondo di gioco, ad avvertire in modo empatico le sensazioni e le emozioni dei personaggi che lui stesso muove, sentendosi maggiormente coinvolto nella narrazione. Questo sentimento di affetto nei videogames, è stato spesso accostato a quello suscitato dai film ma con la differenza che nei videogames l’interazione tra utente e narrazione è più attiva perché può essere influenzata direttamente dallo stesso. Lo studioso Bernard Perron afferma che:” le emozioni dipendono dalla valutazione del giocatore su una determinata situazione di gioco. Questa valutazione individuale produrrà di conseguenza reazioni emotive e soggettive” ergo, le emozioni dipendono da un calcolo cognitivo di interesse e di valutazione che il giocatore sente in una determinata situazione di gioco. Le valutazioni di interesse del giocatore sono dette anche appraisal (valutazione). Il giocatore valuta e agisce di conseguenza provando un ventaglio di emozioni legate alla buona riuscita o al fallimento del suo calcolo cognitivo-psicologico.
La gamma di emozioni e sensazioni suscitate dal videogames ha una marcia in più perché è regolata e amplificata dall’azione, e dagli stati psicologici ed emotivi ad essa correlata. Tutto questo è completamente assente durante la visione di un film, in cui si avvertono ugualmente sensazioni forti ma con la conseguenza che la mente si accorge quasi subito di essere di fronte a delle illusioni verso cui non può interagire in nessun modo.
Il realismo di un luogo, di un’espressione o azione nei videogames ci offre dunque, la possibilità di nutrire emozioni più realistiche e di agire per esse, di comprendere maggiormente la narrazione e il messaggio. La volontà è quella di riprodurre e trasferire emozioni umane reali nel mondo virtuale.
La mente umana supera la mente umana
La ricerca dell’affective gaming, non è la sola motivazione che induce l’uomo a cercare sempre più realismo nei videogames. La ragione la si può rintracciare anche in un elemento più strettamente filosofico-antropologico.
La mente umana è da sempre stata qualcosa di complesso, le cui reazioni, meccaniche e abitudine non sono ancora state del tutto svelate. È sicuramente l’aspetto più affascinante dell’uomo e quello che lo rende tale… la mente. La mente dell’uomo tende per ragioni, forse soprattutto primitive, alla curiosità, alla ricerca del piacere e alla sopravvivenza nonché conservazione di sé. Una volta sviluppato o creato un qualcosa non riesce per natura stessa del suo “io” a non progredire, andare avanti e implementare le sue creature. È grazie a questo misterioso meccanismo primordiale che ci siamo evoluti. La tensione per il miglioramento della nostra condizione e sopravvivenza, la ricerca del piacere nelle sue ampie sfaccettature.