E’ innegabile come gli anni ’80 abbiano visto nascere numerose saghe e personaggi, divenuti con il tempo dei veri e propri miti la cui popolarità non accenna a diminuire ed anzi si rinnova generazione dopo generazione.
Altrettanto innegabile è, specialmente per chi scrive, che uno di questi personaggi leggendari sia Indiana Jones; dalla sua prima apparizione sul grande schermo, la creatura di George Lucas interpretata da Harrison Ford è diventata subito un personaggio iconico, in grado di dare origine a numerosi film, serie tv, merchandising e ovviamente videogiochi.
Il professor Henry Walton Jones Jr. è stato infatti, nel corso degli anni, protagonista di numerosi videogiochi per le varie console che si sono succedute nel tempo. Tuttavia era ormai da parecchi anni che non lo vedevamo sui nostri schermi, se non nella sua controparte LEGO (ferma comunque al 2009).
Non stupisce quindi che, quando Bethesda ha annunciato la messa in cantiere di Indiana Jones e l’Antico Cerchio, l’attenzione e l’attesa dei fan è diventata sempre più spasmodica fino a quando non abbiamo potuto finalmente avviare l’avventura di MachineGames. E il risultato, la netto di qualche perplessità preliminare, è veramente notevole. Quindi preparati ad indossare Fedora e giubbotto di pelle e caliamoci nella recensione, senza dimenticare la nostra fidata frusta.
Cacciatori di antichità
Ambientato tra I predatori dell’Arca Perduta e L’Ultima Crociata, rispettivamente primo e terzo film della serie, Indiana Jones e l’Antico Cerchio ci fa intuire subito quello che ci aspetta con la sequenza iniziale in cui rivivremo (è il caso di dirlo) in prima persona una delle scene più iconiche non solo della saga ma dell’intera cinegrafia, ovvero l’ingresso nel tempio peruviano con il traditore Satipo (un giovane Alfred Molina anche nel gioco), lo scambio dell’idolo con il sacco di sabbia e la fuga rocambolesca da un’enorme palla di pietra.
Svegliatosi al sicuro nel college in cui insegna, poco dopo Indy viene aggredito da un uomo di statura ragguardevole, un vero e proprio gigante che sottrae una mummia di gatto al museo dell’istituto, lasciando dietro di sé un misterioso pendente con un simbolo che ricorda da vicino quello degli Archivi Vaticani.
Inizia così un’avventura in perfetto stile Indiana Jones che ci porterà in giro per il mondo, da Roma all’Egitto fino all’Hymalaia, accompagnati da numerosi comprimari e dalla giornalista Gina Lombardi (interpretata da Chiara Mastronardi), alla scoperta di una storia che diventerà via via sempre più incredibile e che ci obbligherà ad un certo punto ad intervenire per salvare il mondo. Una normale giornata nella vita di Indiana Jones, insomma.
La trama, di cui non voglio svelarti più di tanto per darti la possibilità di goderne appieno, è molto ben scritta e rispecchia i canoni della saga; si parte da un avvio abbastanza lento, quasi interlocutorio, per decollare all’improvviso e svelare appieno tutto quello che gli sceneggiatori hanno ideato per quello che potremmo definire un film interattivo. Basta pensare che ci vorranno più di un paio d’ore di gioco per vedere comparire in lontananza una vecchia conoscenza di Indiana Jones (nonchè uno degli avversari principali dell’archeologo…).
Il risultato finale è una storia ampiamente soddisfacente, zeppa di momenti cinematografici, colpi di scena e in cui tutti i pezzi del puzzle si metteranno a poco a poco in ordine, accompagnandoci verso la soluzione dell’enigma finale.
Gameplay di Indiana Jones e l’Antico Cerchio
Uno dei punti più controversi quando il titolo è stato presentato, era sulla formula particolare scelta dagli sviluppatori di MachineGames che hanno optato per un’inconsueta visuale in prima persona. Uno degli elementi principali in questo genere di titoli è dato, senza ombra di dubbio, dalla possibilità di vedere il protagonista dall’esterno e quindi ricordarci in ogni momento che stiamo vivendo un’avventura di Indiana Jones o Batman o chiunque sia il protagonista. Perpessità acuita da una formula di gioco che ovviamente comprende salti, combattimenti ed esplorazioni tipiche di un action adventure. Qualsiasi dubbio viene in realtà spazzato avviato il gioco; che siano i dialoghi, i commenti dei personaggi sullo sfondo o le cutscente, è impossibile dimenticarsi che stiamo impersonando il buon vecchio Indy.
In questo probabilmente pesa l’esperienza maturata da Bethesda con titoli come Skyrim: a partire dalla possibilità (purtroppo non così scontata) di vedere il resto del nostro corpo, il gameplay ricorda proprio quello del fortunato action-RPG. Ne consegue che tutto funziona alla perfezione per quanto riguarda salti, arrampicate e sezioni di combattimento; in quest’ultimo caso ci sono pochi elementi da tenere in considerazione, ma efficaci. Oltre ad una barra della resistenza, potremo parare i colpie colpire usando i tasti dorsali: proprio in questo caso, la visuale in prima persona ci agevola negli scontri consentendoci di parare i colpi avversari con il giusto tempismo e rispondere proprio come se fossimo in uno dei film della serie. Oltre ai semplici pugni, potremo utilizzare qualsiasi corpo contundente rinvenuto in giro contro i nemici, che sia un manganello o una scopa, tutto andrà bene per rompere qualche testa. Le armi, vista la pretesa di realismo che il titolo cerca di mantenere, non avranno durata infinita ma si romperanno più o meno rapidamente a seconda della loro natura. A disposizione abbiamo anche l’immancabile revolver, ma il suo utilizzo sarà per lo più limitato a delle, riuscitissime, sequenze in cui Indiana Jones e l’Antico Cerchio si trasforma quasi in un FPS. Del resto, una delle armi più potenti a nostra disposizione è la prudenza che ci inviterà ad evitare più possibile gli scontri in campo aperto con i nemici e ci spingerà ad agire nell’ombra o cogliere di sorpresa il malcapitato di turno, impedendogli di dare l’allarme.
L’unico difetto che potremmo riscontrare è da rintracciarsi nella scelta degli sviluppatori di farci cadere dalle mani armi o altri oggetti quando ci troveremo ad interagire con un elemento ambientale o ad utilizzare la frusta per saltare o scalare una parete. E’ una svista poco comprensibile e che ci mette anche in difficoltà nei casi in cui ad esempio ci troviamo in un ambiente buio (e non è ovviamente infrequente) e rimarremo al buio perchè la torcia che portavamo con noi non ha “superato” il salto.
Per il resto, il gioco si affida ad un’interfaccia molto pulita e anch’essa improntata al realismo: il nostro inventario sarà costituito dal famoso tascapane di Indy che conterrà il già citato revolver, il travestimento che potremo utilizzare (che comunque si abilita automaticamente) in determinati frangenti, gli oggetti come chiavi o componenti degli enigmi e le provviste con cui rifocillare Indy. Uno degli aspetti divertenti di questa “simulazione di Indiana Jones” sta proprio nel fatto che oltre ai bendaggi, il nostro protagonista riprenderà energia anche consumando vari alimenti; per cui non sarà infrequente, nel livello ambientato a Roma, vedere Indiana Jones pasteggiare a cornetti, cantucci, grissini e ciambelle varie. Tanto poi bruceremo subito le energie tra salti e scazzottate.
Per tenere tutto in ordine, abbiamo a disposizione il leggendario diario in cui verranno raccolti tutti gli elementi che troveremo in giro come articoli di giornale, lettere e altre amenità, le mappe e le missioni che potremo seguire. Si, perchè, oltre alla missione principale i personaggi che incontreremo in giro potranno affidarci dei compiti speciali da risolvere per ottenere delle ricompense. Spesso si tratta di punti esperienza da sfruttare per sbloccare delle abilità che ci faciliteranno nel nostro compito (alcune sono anche citazionistiche, come la seconda vita cui ricorrere raccogliendo l’inseparabile cappello) che a loro volta acquisteremo sotto forma di libri.
Segnali di Stile: grafica e sonoro
Tutto, in Indiana Jones e l’Antico Cerchio, funziona a meraviglia sia per il comparto visivo che per quello sonoro. La grafica è di altissimo livello ed offre scorci spettacolari come quello della Cappella Sistina, denotando un’attenta ricerca da parte degli sviluppatori atta a riprodurre luoghi e periodi storici (dopo tutto siamo negli anni ’30) con la massima fedeltà possibile.
Questo si rispecchia anche nel comparto sonoro, che oltre ad accompagnarci con le iconiche musiche di John Williams, ci fa assistere a dialoghi sullo sfondo che aiutano l’immersione del giocatore; particolarmente degni di nota ad esempio sono stati degli scambi di battute a cui ho assistito tra una suora e una camicia nera relativamente ai limiti dei Patti Laterani oppure la conversazione tra due prelati sull’ipotetico successore di Pio XI, tra Ildefonso Schuster e Pacelli (diventato poi in effetti Papa).