Indika è indubbiamente il gioco più controverso che io abbia mai giocato. Un’opera capace di toccare e affrontare temi in un modo unico e speciale, ossia attraverso il videogioco. Potrebbe sembrare una cosa ovvia ma, in realtà, non lo è. Indika è uno dei pochi titoli che riesce a creare il giusto distacco per poter osservare (e sviscerare) cosa sia il videogioco nel suo senso più stretto.
Indika: la trama
Indika è il nome di una suora che vive in un convento russo a fine XIX secolo, un posto freddo, grigio, in forte contrapposizione con gli occhi verdi della protagonista, mostrati a più riprese con primissimi piani fortemente cinematografici, che non sembrano appartenere a questo mondo. Mondo che non corrisponde al nostro, una versione alternativa della realtà che conosciamo, un luogo tanto crudo quanto surreale, caratterizzato da bizzarrie che non sembrano destare alcuna perplessità agli occhi di chi lo vive.
Nonostante gli sforzi, Indika non riesce in alcun modo a farsi accettare dalle altre suore, che le riversano il loro odio appena ne avranno l’occasione, a causa di un suo distaccamento della realtà che mina la tranquilla monotonia che caratterizza il convento. Visioni, strani suoni e una voce in testa che le sussurra frasi inaccettabili e immorali: è il Diavolo.
Date le premesse, l’avventura spiega le sue ali nel momento in cui Indika si trova a dover partire dal convento per ricapitare una lettera in una città vicina, ma le cose prendono una piega inaspettata: poco dopo essere partita, la giovane suora incontra un uomo disperato, in fuga dalla prigionia e con un braccio del tutto incancrenito, che come lei ha una voce in testa, la voce di Dio.
La trama viene portata avanti da un semplice McGuffin che trascina i due protagonisti attraverso luoghi miseri e surreali, ma non è la struttura narrativa a rendere unico il titolo di Odd Meter, bensì le interazioni tra i due, che si trasformano in discussioni sul libero arbitrio e su altri macro-temi filosofici che, ovviamente, non trovano risposta. Ma non è tutto qua, se da una parte il gioco presenta molti elementi meta-narrativi, dall’altra propone una ferrata critica alla Chiesa Ortodossa e ai suoi dogmi, mostrando una religione che pervade in modo totalizzante il pensiero, declinando ogni scelta morale sulla base di semplici comandamenti scritti.
Dio, se davvero Ilya, il nome del fuggitivo, può sentirlo, non parla e non dà nessun giudizio sugli avvenimenti a cui assistiamo, i dettami cristiani sono perciò filtrati e proposti dai credenti stessi che più volte danno vita a dei veri e propri paradossi. Tutti li vedono, ma nessuno dice niente, nessuno vuole rischiare la salvezza mettendo in dubbio la parola di Dio. Tutti tranne il Diavolo.
“Ragione: la prostituta del Diavolo”
Così Martin Lutero definiva la ragione, la razionalità (mondana) rilegata a meretrice, una donna – non a caso – che condivide il letto con il Diavolo stesso. Indika è il mezzo con il quale la ragione subentra nel racconto e nel gameplay stesso. Come accennavo nell’introduzione, infatti, l’opera di Odd Meter riesce a sviscerare il senso di videogioco e decostruisce l’atto di giocare, inteso come susseguirsi di loop, ossia ripetizioni di azioni.
All’inizio del gioco ci verrà dato il compito di riempire un barile dell’acqua, per farlo dovremo recarci per cinque volte al pozzo poco distante, riempire un secchio, tornate al barile e svuotare il secchio al suo interno. Come premio riceveremo dei punti, che andranno a quantificare la nostra fede e il nostro impegno nel lavoro svolto. A tutti gli effetti abbiamo davanti a noi la struttura più intima che definisce il videogioco: loop di meccaniche che si trasformano in un loop di ricompense, per quale altro motivo saremo disposti a ripetere la stessa azione se non per qualche forma di premio?
Ecco che Indika toglie il velo davanti ai nostri occhi e ci mostra la realtà dei fatti con un semplice (ed efficace) gioco di parole: “the point are pointless” (i punti sono inutili). Si, il punteggio è completamente inutile, non esiste classifica o shop in-game dove poterli spendere. Persino salire di livello lo rimarca, con potenziamenti tipo “quando guadagnerai 5 punti avrai un moltiplicatore x3 sui prossimi punti guadagnati”.
La domanda successiva viene da sé e siamo tentati di dirla ad alta voce, “ma tutti i giochi sono così?” Non importa che non sia vero, ossia che il gameplay loop sia fine a sé stesso, per un attimo siamo riusciti a osservare quello che di solito ci è precluso, un breve attimo di ragione e di riflessione, tentati da un Diavolo che parla tanto a Indika quanto a noi giocatori.
Un walking simulator, un horror o un puzzle game
Ci sono una pluralità di generi all’interno di Indika, ma possiamo dire che il cuore del gameplay sia risolvere una serie di puzzle che ci sbarreranno la strada a più riprese. Nonostante molte volte il titolo proponga dei rompicapi interessanti, alcune soluzioni sono poco eleganti e molto macchinose, ma non risultano in alcun modo mal fatte. Sebbene siano la parte centrale del gioco, sono le vicende dei protagonisti a portarci avanti nel corso delle 4 ore che ci vogliono per finire il gioco, che discutono tra loro o con sé stessi proponendoci profonde riflessioni da affrontare durante la risoluzione dei semplici rompicapi.
Il tutto funziona perfettamente anche grazie a un comparto grafico di tutto rispetto, figlio di una buona gestione dell’Unreal Engine, che coopera con una regia di alto livello che mostra inquadrature complesse e ricercate, rafforzando così le tematiche proposte e le vicende vissute dai protagonisti. Anche il lavoro svolto da Mike Sabadash, il compositore, è inserito nel contesto di Indika in modo impeccabile.
Se pensate che la OST si rifaccia in qualche modo al folklore cristiano ortodosso vi sbagliate di grosso: ogni traccia sembra essere uscita da un gioco in 16 bit, tonalità weird composte a partire da un sound chiptune, frammentato a volte da organi o addirittura dubstep. Sembra assurdo, e in parte lo è, ma pad in mano l’esperienza che vivrete sarà unica.