Gli indie horror mi hanno sempre incuriosito per la loro capacità di proporre un’idea di gioco diversa dal solito. In un certo senso il team di Korpus riesce a dare una visione personale al gioco, che presenta aspetti che suscitano interesse. Come in tutte le cose però, ci sono esperimenti che riescono, quelli che riescono a metà e quelli che non riescono affatto. Janitor Bleeds (di cui avevamo parlato qui) riesce ad essere in tutte e tre le categorie; il gioco ha delle cose che funzionano, altre un po’ meno e altre ancora che non funzionano affatto.
Janitor Bleeds aveva attirato la curiosità per dei motivi ben precisi. Prima di tutto la sua grafica anni 90 che sembra riportarti indietro ai tempi della PlayStation 1 (effetto nostalgia, attivato!), e l’ambientazione in una vecchia sala giochi maledetta, buia e in disuso da anni. Si avverte il senso di desolazione, polvere e unto di patatine al formaggio sulle manopole dei bar-top. All’inizio ero attratto anche dal quel mistero (solo all’inizio) dove bisogna capire che diamine è quel bagliore rosso improvviso, e perché stai cercando aiuto, dopo esserti schiantato con la tua auto, in una sala giochi abbandonata.
Pensato ciò, il tutto si è trasformato in un momento di apatia e altri dove esclami “che diavolo sta succedendo?” L’esperienza si inchiodata in modalità “piattume“, facendomi perdere man mano quell’interesse che mi aveva attirato all’inizio.
Una trama che non c’è
Sicuramente la trama di Janitor Bleeds non è la sua caratteristica migliore. Partiamo dal principio. Ti sei appena schiantato su di un palo con la tua macchina, non si sa per quale ragione. Come non si sa nemmeno per quale ragione, dopo un incidente, si va a cercare aiuto in un bosco. A parte questo, dopo aver camminato per alcuni minuti ti ritrovi all’esterno di una sala giochi abbandonata. Al suo interno è presente una strana creatura sfuggente, e la sua presenza viene segnalata dall’improvviso bagliore rosso e una musica che si fa più tesa.
Questa è l’unica parvenza di trama che possiamo raccontare perché, per il resto del gioco, non approfondisce o altro se non con alcuni foglietti sparsi, un po’ qui e po’ là, nel set di gioco. Questa mancanza si avverte durante l’avventura e per la tipologia di gioco, la narrativa avrebbe dovuto avere una considerazione maggiore, almeno per dare una maggiore sostanza ai vari momenti di gioco che, purtroppo, rimane abbastanza piatto.
Gameplay e meccaniche
Partendo dal gameplay, i comandi sono molto basic. Si tratta di un horror in prima persona, dove bisogna per lo più muoversi o correre in un set statico, prendere oggetti come le monetine (necessarie a giocare al misterioso videogame Janitor) o altri come la torcia. Non ci sono molte azioni da fare, la maggior parte del tempo sarà dedicata al nascondersi e trovare il prossimo bar-top su cui giocare.
In Janitor Bleeds infatti dovrai giocare ad un vecchio gioco arcade, Janitor, un videogame che non è altro che la chiave per passare al prossimo scenario. Si tratta di un mini-gioco nel quale devi risolvere piccoli puzzle e una volta fatto ti permetteranno di ottenere una chiave necessaria ad aprire una specifica porta; fatto questo si assiste ad un breve momento in cui un fascio di luce rossa, fa intravedere una sorta di mostro che si muove goffamente e che noi ci ostiniamo a seguire. Sostanzialmente il gioco è questo, un rompicapo in cui trovare la strada per il prossimo puzzle da risolvere, il tutto condito da musica tesa e angosciante. A volte sentirai anche una musichetta da giochi in 8-bit che ti avvisa della vicinanza di un bar-top e affrontare i prossimi enigmi.
La combinazione tra puzzle, nascondersi e trovare la via per il prossimo mini-gioco, offre comunque un livello di sfida accettabile. In alcuni momenti può capitare di sentirsi spaesati ma, è facile trovare la chiave di volta e non rimanere impantanati. Purtroppo però ci sono diverse cose che non vanno con il gameplay che hanno reso la nostra esperienza spesso frustrante.
Abbiamo voluto provare sia i controlli mouse e tastiera (prima) e quelli di un joypad (dopo). Con mouse e tastiera spesso è capitato un vero e proprio blocco della visuale che non sembrava affatto coordinata con il movimento del nostro alter-ego; questo ha reso la giocabilità molto frustrante, specie per i cali d frame rate abbastanza frequenti e caricamenti, a volte, troppo lunghi. Il passaggio al controller invece è risultato più fluido e gestibile, minato comunque dai cali di frame che fiaccano parecchio il ritmo.
Non c’è molto altro da aggiungere in merito, non ci sono abilità, non ci sono scontri avvincenti, tutto assume un tono piatto e apatico, assieme a una trama che non conferisce corpo al gioco, lasciando una perplessità su quello che vuole trasmettere.
E la parte tecnica?
Beh, qui possiamo suddividere la cosa in modo più schematico. Partendo dalla grafica, Janitor Bleeds si presenta con uno stile retrò portandoti indietro nel tempo. Sembra di rigiocare sulla PlayStation 1, una cosa che apprezzo perché denota la capacità di pensare che in un gioco, non esiste soltanto la grafica. Si tratta di scenari semplici, modelli statici e percorsi prestabiliti ma, non è su questo che il gioco punta.
Del sonoro invece bisogna lodare il buon lavoro fatto dal team di sviluppo. I momenti di tensione sono sostenuti da effetti che riescono a riempire (in parte) il vuoto che lascia la trama, dando un senso ai vari momenti di gioco. Si passa dal silenzio a suoni improvvisi, mentre ad esempio cerchi di risolvere un puzzle, dietro di te senti qualcosa muoversi improvvisamente e questo viene caratterizzato bene grazie al comparto sonoro che cerca di fare il suo per sostenere il baraccone. Purtroppo però non da solo non basta.
Infine, la parte spinosa, quella del gameplay che pur essendo semplice viene compromesso dai vari problemi di cui discusso poco sopra. Frame rate instabile, visuale che sembra subire un vero e proprio freeze mentre ci muoviamo, togliendo l’effetto di quella sensazione che Janitor Bleeds vuole trasmetterci. Quel senso di ansia e mistero che ci obbliga a scoprire cosa sta succedendo, si trasforma in un’esperienza piatta, frustrante e poco coinvolgente.