Quando si parla di una qualsivoglia forma di intrattenimento, c’è un aspetto dell’opera che non può mai essere messo da parte, nel bene e nel male: “anche l’occhio vuole la sua parte”.
In circostanze normali, è anche giusto che durante lo sviluppo di un prodotto (videoludico, ma non solo) una parte dell’impegno profuso dall’autore si riversi nell’estetica dei personaggi, tuttavia, la possibilità di scadere nel più becero Fanservice è sempre dietro l’angolo!
Prima di addentrarci in questo (S)piacevole argomento, vediamo una breve definizione del termine Fanservice:
Fan service o fanservice, traducibile come “servizio ai fan”, è un termine usato per indicare l’attenzione prestata da parte della produzione circa particolari marginali o gratuiti che non hanno un peso reale sulla trama, ma sono presenti solo per soddisfare le richieste di un certo tipo di pubblico.
Detta nel modo più semplice possibile, il Fanservice è un’enorme strizzata d’occhio rivolta ai fruitori di un’opera, con l’intento di dare loro qualcosa che desti il loro interesse, pur non essendo in alcun modo legata all’opera stessa.
Fanservice all’interno dei videogiochi, ma non solo!
Sebbene la pratica dell’FS si sia ampiamente diffusa nel mondo giapponese dei manga e degli anime, passando poi per i videogiochi (sempre provenienti dalla terra del Sol Levante), quest’ultima ormai abbraccia ogni campo dell’intrattenimento: si pensi, solo per citare un prodotto non-giapponese e non inerente alle opere tipicamente nipponiche, all’episodio VII della saga di Star Wars, dove il regista J.J. Abrams ha ben pensato di riempire la pellicola di citazioni, cameo, omaggi et similia, tutti diretti a coloro che per primi, negli anni 80′, avevano visionato il primissimo capitolo di Guerre Stellari.
Da qui si può capire come il Fanservice non debba essere per forza di tipo sessuale, ma che in esso rientrino tutte quelle pratiche atte a soddisfare un bisogno (particolare o generale) dei fruitori dell’opera, senza che quest’ultima abbia anche la minima appartenenza con il prodotto stesso.
Parlando in termini videoludici, invece, risulta abbastanza facile portare come esempi la moltitudine di personaggi femminili con le seguenti (ed ormai risapute) caratteristiche:
- Seno esageratamente sproporzionato rispetto al resto del corpo.
- Vita strettissima per esaltare le forme del corpo.
- Vesti succinte che mai potrebbero portare un reale vantaggio in combattimento, per non dire che dovrebbero essere scomode anche solo per stare fermi in piedi.
Nella nostra redazione di iCrewPlay abbiamo recentemente affrontato un argomento del genere (SNK Heroines: Tag Team Frenzy e la sottile linea fra picchiaduro e Fan Service), ma quello che vogliamo fare oggi e porre una domanda: “Gli sviluppatori di videogiochi stanno esagerando con il fanservice?”.
…e se i personaggi videoludici stessero affrontando un’inversione di tendenza?
Mettendo a confronto il mercato occidentale con quello orientale, risulta praticamente immediato etichettare il 2° come fautore del fanservice sfegatato che ha traviato le giovani (ma nemmeno tanto) menti dei videogiocatori di tutto il mondo, ed in parte questo è anche vero, tuttavia ci sono almeno 2 importanti considerazioni da fare.
La prima, riguardante proprio i personaggi videoludici dei titoli nipponici, è che quest’ultimi sono, bene o male, gli stessi da quasi 20 anni, se non di più: certo, negli anni le gentil donzelle si sono sempre più svestite, ma la loro avvenenza erotica esiste dai tempi di Quistis Trepe e della villain Artemisia (Final Fantasy VIII – 1999).
La seconda, invece, riguarda le lamentele piuttosto recenti in merito al personaggio di Aloy nel II° capitolo della saga di Horizon Zero Dawn, seguite da quelle rivolte al Thor di God of War Ragnarok. Entrambi i personaggi sono stati tacciati di essere, senza troppi giri di parole, troppo grassi.
Ma qual è il punto della questione? Semplicemente che, mentre da un lato si accetta il fanservice nei titoli/opere giapponesi come un vero e proprio marchio di fabbrica, motivo per cui un JRPG senza donnine formose e poco vestite non venga considerato tale dalla maggioranza dei fan del genere, dall’altro si fatica ancora ad accettare modelli videoludici occidentali che non incarnino l’ideale di bellezza standard.
I casi di Aloy e Thor sono solo i più recenti, ma già nel 2013 con il reboot della saga di Tomb Raider arrivarono le lamentele (prettamente maschili) in merito alla riduzione del seno dell’archeologa, la quale passò da un’inverosimile 8° di seno ad una più comoda 5°/4°. Nota a margine, Lara Croft è una creazione giapponese, per quanto abbia fattezze occidentali.
Il fanservice sta effettivamente eccedendo, oppure è il pubblico ad esserne diventato dipendente?
Stando a quanto detto finora, personalmente tendo per la 2° opzione proposta: non solo il concetto stesso di fanservice si è ormai allargato ben oltre il territorio giapponese/orientale e le produzioni ad esso legate come anime/manga/videogiochi, ma sono gli stessi fruitori delle varie opere a rigettare modelli non conformi a quel determinato stile.
Certo, buona parte di questa discussione andrebbe affrontata tenendo conto di quello che oggi viene definito “politicamente corretto”, ma facendo così ci addentreremo in qualcosa di esageratamente grande da poter sbrogliare in un semplice articolo redazionale come questo.
In chiusura, ciò che mi sento di dire è questo: creatori e fruitori di un’opera non sono e non saranno mai due mondi a parte. Il fanservice non è una creazione del capitalismo o il frutto di menti deviate di alcun tipo, ma solo la brutale evidenza di alcuni dei nostri instinti primordiali, i quali, forse troppo spesso, prendono il sopravvento sul più sensibile senso artistico di un’opera. La sfida sta nell’accettare il fanservice come parte di noi (autori e fruitori) senza lasciare che quest’ultimo ci inglobi totalmente, facendoci perdere interesse verso tutti gli altri elementi artistici e/o videoludici.