Quello di oggi sarà un articolo diverso da quelli che pubblico solitamente su iCrewPlay. Non parliamo di lore, di picchiaduro o di League of Legends oggi, ma voglio condividere con te che leggi una mia riflessione legata al mondo dei videogiochi, un ambiente che frequento da tanti anni è che di recente mi sembra aver preso una piega preoccupante.
E’ un articolo che possiamo considerare un seguito di quelli che realizzai tempo fa su Cyberpunk 2077 e sulle community tossiche. Molto di quello che dirò può in effetti essere legato a quanto scrissi all’epoca, ma stavolta è un ragionamento più ampio che trovo difficile legare ad un solo gioco, anche se tutto è partito da Tekken 8 e Street Fighter 6.
Come avrai intuito dal titolo, oggi voglio parlare della cultura dell’odio nei videogiochi, ma a cosa mi riferisco con questa definizione? Senza perderci in lunghi esposti sociologici, la cultura dell’odio è una corrente di azione moderna che vede ogni giorno una parte dell’opinione pubblica vomitare con violenza la propria opinione sul prossimo.
Fino ad ora non ho parlato di videogiochi perché la cultura dell’odio è presente ovunque, è un cambiamento culturale autodistruttivo che colpisce su qualsiasi settore della nostra vita. Negli ultimi anni però i videogiochi (e i media di intrattenimento in toto) sono stati la sua vittima prediletta. Andiamo però con ordine e partiamo dal principio.
Cultura dell’Odio – La scintilla della mia riflessione
Come detto, tutto inizia da Tekken 8 e Street Fighter VI, che è poi il motivo per cui sono in copertina a questo articolo. Come sa chi segue i miei articoli, io sono un fan sfegatato di picchiaduro e di questi videogiochi amo forse l’elemento più improbabile: la lore. Comprendo sia una cosa bizzarra, ma non ho mai detto di essere normale, no?
In ogni caso, la community intorno ai picchiaduro è molto sentita, visto che è un genere che è stato letteralmente salvato dai suoi fan, ed io faccio parte di molti gruppi social a tema. Gruppi che sono ovviamente in fermento per gli ultimi annunci visto che le tre pincipali saghe di picchiaduro stanno per ricevere un nuovo capitolo.
Di Street Fighter VI sappiamo già parecchio, di Tekken 8 sappiamo qualcosina e poi c’é Mortal Kombat 12, a malapena annunciato. Beh, sarò molto onesto nel dire che io non sono un fan di nessuna di queste saghe. A Street Fighter ho sempre preferito The King of Fighters, a Tekken preferivo Soul Calibur e Mortal Kombat non mi ha mai davvero preso.
Nonostante ciò sono entusiasta per queste tre uscite e per quello che possono rappresentare per il settore. Tutte e tre le saghe si sono infatti caratterizzate per i loro tentativi di spingere il genere oltre i propri limiti, alternando successi a flop, certo. Da fan dei picchiaduro posso forse non amare Street Fighter, ma voglio vedere cosa porterà.
Mi aspettavo che questo entusiasmo fosse condiviso da tutta la community… e invece. I gruppi in cui sono si sono presto spezzati in fazioni di bambini litiganti che urlano che questo è meglio di quello per motivi X, senza tenere conto che forse quei motivi non interessano alle altre persone che hanno gusti diversi dai loro.
Poi ci sono quelli che odiano indiscriminatamente tutto ciò che è nuovo. Fa schifo perché ora è tutto 3D, fa schifo perché non c’é quel personaggio, fa schifo perché ora ci sono i DLC, fa schifo perché non sono più come i primi capitoli o come quelli che io ho amato, fa schifo perché non soddisfa i miei gusti. Fa schifo, punto, per partito preso.
Presa la consapevolezza di questa situazione, ho quindi iniziato a riflettere e mi sono accorto che questa non si limitava solo ai singoli videogiochi o alle saghe, ma si estendeva in modo molto più vasto. Prima che me ne accorgessi la cultura dell’odio aveva letteralmente infettato tutto il mondo dei videogiochi come una macchia d’olio.
Gente che odia un genere ed offenda chi ci gioca o che odia semplici meccaniche a loro non congeniali. Gente che odia una console e quindi si sente in diritto di vomitare bile su qualsiasi cosa la riguardi. Gente che sembra odiare semplicemente tutto… e allora perché giochi ai videogiochi se ti fanno così schifo?
Cultura dell’Odio – Come è degenerato il nostro amore?
Nessun brand sembra adesso al sicuro da questa marea indistinta di odio che non ha alcuna pietà e non fa distinzione. Anche marchi amati alla follia e con community forti alle spalle, come Nintendo o i Pokémon o Super Mario, sono oggi vittima della cultura dell’odio discriminato ed io, ora, non posso che chiedermi come sia possibile.
Mi viene da ripensare alla mia infanzia ed adolescenza, quando i videogiochi erano una magia rara e preziosa e quando i canali di comunicazione erano più rarefatti di adesso. Internet era un sogno per pochi ed andava molto lento quindi ti affidavi alle riviste di settore e “agli esperti,” ovvero i commercianti stessi e gli amici.
Quanti pomeriggio passati in piazza a discutere di questo o quel gioco, di quel titolo incredibile scoperto da uno di voi, oppure quanti viaggi a vuoto al negozio per contemplare videogiochi che spesso non potevi permetterti o per farti affascinare da quella copertina, da quella storia, da quella pubblicità.
Avevamo meno notizie di adesso, è vero, ma ogni minima informazione era accolta con gioia e generava aspettativa. L’unico modo spesso di provare un gioco erano per altro le demo e ricordo di aver consumato alcune di queste all’infinito, giocandole e rigiocandole fino ad impararle a memoria perché non avevo i soldi per il gioco intero.
Ora chi gioca ai picchiaduro si lamenta dei DLC… io ricordo quando per avere un’espansione o un aggiornamento dovevi acquistare un gioco nuovo da zero (raramente economico). Nonostante ciò ogni singola innovazione era accolta positivamente perché era la prova che quel gioco che te avevi amato era ancora vivo.
Tutto sembrava spettacolare, l’entusiasmo non faceva che aumentare e si, a volte non era corrisposto. Anche allora c’erano le fregature, anzi, era più facile prenderle visto che tutto veniva acquistato a scatola chiusa. Ogni singola miglioria di un gioco era motivo di discussione e felicità. Un modo di vivere il settore che io ho ancora oggi.
Eppure mi sento sempre più solo, come mai? Sono sicuro di non essere l’unico a vivere i videogiochi così, ma chi la pensa come me raramente si esprime sui social, intimorito forse da quella marea generata dalla cultura dell’odio. Inoltre, quando lo fa, risuona meno. Chi urla a squarciagola ha sempre ottenuto più risalto di chi parla con calma, no?
Forse il problema è proprio questo: si è creata una tendenza del cool in cui la cultura dell’odio la fa da padrone. Essere contro tutti, essere contro l’opinione comune, fa figo o almeno ti fa credere di essere figo. L’anticonformista. Quello che tutti ascoltano perché “ehi, guarda quanto sono trasgry mentre spalo letame su ciò che amano tutti.”
Comprendo chi si sfoga nell’odiare perché si è scottato con la troppa aspettativa, ma quelle sono lamentele spesso momentanee, costruttive e motivate di persone che poi sanno già che continueranno a giocare e a divertirsi, pronte a farsi travolgere dal prossimo hype-train perché alla fin fine amano i videogiochi ed amano giocare.
Chi veramente alimenta la cultura dell’odio, però, non lo fa per amore, non lo fa per combattere l’ipocrisia delle case di produzione (anche se a volte lo usa come giustificazione). No, spesso lo fa per sé stesso, ma così facendo alimenta una tendenza che sta influenzando negativamente non solo l’industria, ma anche i nuovi giocatori.
Che poi il problema è proprio questo. Uno può fare la consueta battuta sul fatto che “nessuno pensa ai bambini,” ma nell’ambito dei videogiochi il turnover generazionale è molto rapido e rischiamo seriamente di lasciare il settore ad una generazione che sa esprimersi solo attraverso l’odio ed il disprezzo dei gusti altrui.
Quando siamo piccoli il desiderio di imitazione è quello che ci veicola nelle arti di intrattenimento, dove magari c’é giustamente una sorveglianza minore. Se quella persona che urla e vomita bile, anche senza alcun fondamento critico, è considerata figa, allora per imitazione vorrò essere anche io figo ed adorato a quel modo. La nostra società funziona così.
La cultura dell’odio è sbagliata
Ovviamente questo è un pensiero estremizzato, non è sempre così e non penso neanche che esista solo chi prova odio. Al momento però chi alimenta la cultura dell’odio è sovraesposto e così, piano piano, andrà a prendere possesso del tavolo, eliminando quelle poche community che invece promuovono un dialogo sano e delle discussioni critiche sensate.
Ora potresti dire “ma a me che me ne frega?” L’importante alla fine è che i videogiochi vengano comprati ed il settore di mercato alimentato dai nostri introiti, no? Beh, no, perché le case di sviluppo hanno ormai spesso timore delle loro community. Se questo può essere visto come una vittoria, non lo è davvero del tutto.
Qualche giorno fa stavo ascoltando un podcast che parla di “Storie di Videogiochi,” ovvero racconta le storie dietro lo sviluppo, la creazione e il successo di videogiochi famosi e recenti. Nell’episodio in questione l’argomento era Star Wars Jedi Fallen Order, argomento caldo vista la recente uscita del seguito Star Wars Jedi Survivor.
Bene, gran parte dell’episodio del podcast si concentrava sullo spiegare come fosse difficile realizzare un videogioco per la community di Star Wars, notoriamente una delle più ostiche, critiche e diffidenti di sempre. Abbiamo rischiato più e più volte che proprio la community stessa uccidesse Star Wars Jedi Fallen Order.
Adesso è uscito da poco Star Wars Jedi Survivor e non sono mancate le lamentele per alcuni difetti legati alla versione PC (che probabilmente saranno prontamente patchate). Lamentele giustissime, ma spesso mosse con toni esagerati. Ecco, quanto questo può sancire il destino del brand? Quanto una minoranza dalla voce grossa può far danno?
E’ giusto che le software house tengano conto del parere delle community, ma deve essere un dialogo costruttivo, non un clima di terrore che limita e mina la creatività degli sviluppatori. Quante belle idee per nuove IP sono state affossate dalla paura della reazione della community? Quanto ci siamo già bruciati per la cultura dell’odio?
Allo stesso tempo è giusto avere gusti diversi ed è giusto anche esprimerli, così come è giusto muovere critiche e lamentele nel momento in cui le nostre aspettative sono tradite. Il punto è come questo va fatto. Noi che adesso viviamo l’epoca d’oro dei videogiochi abbiamo il dovere morale di mostrare la giusta via a chi verrà dopo. This is the way.
Voglio terminare l’articolo chiudendo il cerchio iniziale, così da far capire quanto pericolosa potrebbe diventare la cultura dell’odio. Torniamo ai picchiaduro. L’ho accennato e chi ha letto qualche mio vecchio articolo lo sa già, ma senza il sostegno della community e dei fan, questo genere sarebbe letteralmente morto e sepolto.
C’é stato un periodo, all’incirca il periodo centrale-finale della PlayStation 2, in cui il genere dei picchiaduro stava ristagnando in una nicchia perché tutti erano interessati a generi diversi e a stili grafici che ancora non si era capito come adattare a questo. Si, Tekken vendeva, ma era l’unico e comunque non erano cifre così assurde.
Street Fighter e Mortal Kombat collezionavano un flop commerciale dietro l’altro, la SNK aveva addirittura scelto di smettere di sviluppare picchiaduro e si, stava nascendo l’ondata dei picchiaduro 2.5D, ma di certo non stava ancora riscuotendo quel successo commerciale che l’ha portata oggi ad essere ciò che ha salvato commercialmente il genere.
Perché non è stato il 2.5D a “salvare” davvero i picchiaduro, ma la community. Quella piccola nicchia di fan che testardamente si è rifiutata di far morire il genere che apprezzavano così tanto e lo ha sostenuto ad ogni costo, anche producendo in proprio dei videogiochi da pc, spesso usango engine aperti a tutti (chi ha vissuto quegli anni ricorderà il MUGEN).
Cosa sarebbe successo se all’epoca, invece di quella nicchia, ci fosse stata già ben salda nel settore la cultura dell’odio di oggi? Non avremmo nessun Tekken 8, Street Fighter VI o Mortal Kombat 12 di cui discutere. Sarebbe tutto finito, relegato a pochi titoli amatoriali perché, ad uccidere una saga videoludica, ci vuole poco. La storia è piena di tristi esempi.