La fiducia agli sviluppatori o ai publisher, croce e delizia per tutti gli appassionati, è uno di quegli argomenti che, dati i recenti sviluppi del mercato videoludico dell’ultimo anno, vanno necessariamente analizzati.
Il periodo finale del 2020 e tutto il 2021 sono stati segnati infatti dal caso di Cyberpunk 2077, vero e proprio spartiacque della storia di questo mercato. Un prodotto che ha fatto letteralmente alzare un polverone, producendo un ritorno di fiamma da cui CD Projekt RED non si è ancora ripresa.
Il videogioco, infatti, dopo uno sviluppo a dir poco tumultuoso e diverse posticipazioni, è entrato nelle case dei vari videogiocatori in una versione decisamente non pronta per essere definita come “build finale”, risultando praticamente ingiocabile su console old-gen come PlayStation 4 fat e Xbox One fat, e non somigliando per nulla a quanto mostrato dall’azienda polacca nei vari video.
I dirigenti di CD Projekt RED, assieme agli sviluppatori, conoscevano bene lo stato in cui versava il videogioco, ma, per non perdere la ghiotta occasione di ricevere denaro dai possessori delle già citate console, decisero di pubblicare ugualmente il gioco, sfidando apertamente l’intelligenza, la sensibilità e la pazienza di questi videogiocatori.
Questo episodio è soltanto il caso più esplicativo della situazione paradossale che spesso il mercato crea, pensiamo ai recentissimi e molto simili episodi di Battlefield 2042 o la trilogia rimasterizzata di GTA.
Ha ancora senso dare fiducia agli sviluppatori preordinando i giochi?
Questo interrogativo dovrebbe spingere a riflettere su alcune dinamiche commerciali innescate da un mercato incapace e impossibilitato a fermarsi o a rallentare, costringendo i videogiocatori ad assuefarsi in una sorta di bulimia videoludica e le aziende a produrre incessantemente titoli, scontrandosi con i limiti che le grandi produzioni impongono e che le opere con particolari impianti artistici richiederebbero.
Così si spiega, almeno in parte, perché spesso le case di produzione e di pubblicazione si trovano costrette a pubblicare titoli incompleti o senza ottimizzazione, in qualche modo “ingannando” i consumatori.
Tuttavia a questa paradossale situazione potrebbero esserci delle “semplici” soluzioni in grado di porvi rimedio.
Un esempio potrebbe essere quello di rendere meno irrazionale il mercato e l’offerta videoludica, imponendosi ritmi di consumo più ragionati e profondi, sforzandosi di non rimbalzare continuamente tra nuove uscite, backlog, cataloghi infiniti di servizi come Xbox Game Pass (vera e propria struttura paradigmatica di questa epoca videoludica) o PlayStation Now.
A questa questione si allaccia la seconda, ovvero di cercare di colmare quella cultura dell’hype che, in definitiva, sorregge in parte questi problemi. Focalizzarsi su di un prodotto non ancora uscito, di cui si sa poco e fidarsi ciecamente degli sviluppatori, può portare a casi di estreme insoddisfazioni (come quelle citate).
A tal proposito, non scadere nel pre-order automatico per ogni singolo videogioco a cui siamo interessati potrebbe, in tal senso, essere parecchio utile per ridurre gli effetti negativi della congiuntura attuale del mercato.
Offrire il nostro denaro solo a posteriori, una volta lette le recensioni (dando così un nuovo ruolo alle varie testate online e non), darebbe maggiori incentivi all’industria tutta a rilasciare titoli già rifiniti.
La fiducia, in definitiva, è un’arma a doppio taglio che può far cullare gli addetti ai lavori, facendo ridurre gradualmente la qualità complessiva del settore che tanto amiamo.
I recenti sviluppi hanno chiarito, senza dubbio, una questione. Nessuna azienda, nemmeno chi sta nell’olimpo degli sviluppatori, può dirsi estranea a questa dinamica. Chi avrebbe mai dubitato del team di CD Projekt RED prima di Cyberpunk 2077 o di Rockstar come publisher prima della trilogia remastered di GTA?