Oggigiorno, se c’è una frase usata a sproposito nel recensire i videogiochi moderni è il confronto con Dark Souls ogni volta che un videogioco si dimostra arduo ed impegnativo. “Crash Bandicoot è il Dark Souls dei platformer”, piuttosto che “Cuphead è il Dark Souls dei run ‘n’ gun” e altre baggianate simili. Nemmeno io ne sono immune: l’ho fatto con Rimelands, per poi ripetermi con Sydney Hunter.
Nel caso di La-Mulana, però, le cose sono un tantino diverse. Questo gioco, che nei toni e nelle atmosfere è ancora più vicino ad essere un adattamento di Indiana Jones di quanto non lo sia stato Sydney Hunter and the Curse of the Mayan, si avvicina altrettanto anche alla difficoltà di Dark Souls. E no, non è un’iperbole: se ti chiedi come possa essere un Dark Souls a due dimensioni, la risposta è probabilmente La-Mulana. Ma è forse un male? Non necessariamente, se prosegui nella lettura.
“Caduto sulla schiena, qui con te, ti parlerò di La-Mulana e di quello che c’è”
Leviamo subito di mezzo l’argomento: La-Mulana è interamente in inglese. Ciononostante, di trama ce n’è parecchia, sebbene buona parte di essa risieda nella “lore”, ovvero nei retroscena che vengono perlopiù solo implicati. Ci sono anche dei colpi di scena abbastanza interessanti: proprio per questo, vorremmo limitarci a trattare quanto viene detto a inizio gioco, partendo dalla narrazione che precede la schermata del titolo.
“Molto tempo fa… prima che l’umanità esistesse. Proprio qui, Lei venne dal cielo… da sola, su questo mondo. Intrappolata e sola, lei versa lacrime: ‘Lasciatemi tornare lassù, è là che devo stare. Figli miei, aiutatemi. Figli miei, riportatemi a casa. Figli miei, per questo siete nati.’ Fu allora che nacque l’umanità, ma quando La fecero infuriare, vennero distrutti. Dopo secoli di distruzione, inizia la storia…”
Ed è mimando una schermata di selezione livello classica (inquadrata qui sopra) che inizia l’avventura: cioè proprio mentre Lemeza Kosugi, il nostro protagonista, ci dice letteralmente “Ho finalmente raggiunto La-Mulana. L’avventura inizia qui!”. Dopo aver preso confidenza con i comandi nel villaggio iniziale, a cui arriveremo in seguito, seguiremo il suggerimento dell’anziano Xelpud e ci addentreremo, con una bella caduta di schiena, nel colossale santuario di La-Mulana.
Porc-La-Mulana
Per definire il gameplay di La-Mulana dobbiamo innanzitutto inquadrarne il genere: è un metroidvania. Per i meno informati, non si tratta di un crossover tra Metroid e Castlevania (questo onore, in senso molto ampio, spetta a Super Smash Bros. Ultimate), ma di un platformer in cui anziché esplorare dei livelli separati ci avventureremo in un’unica, enorme mappa.
Quello che abbiamo di fronte non è nemmeno il formato originale del gioco, bensì un port della versione WiiWare di La-Mulana. Tale versione era a sua volta il remake di un titolo indie nato in Giappone da un gruppo di fan dei giochi per MSX, noto come Nigoro. Gli stessi creatori del La-Mulana originale, che era gratuito, pregno di grafica a 8-bit e musica a 16-bit, hanno in seguito dato vita al medesimo remake che vediamo oggi. Il gioco mirava a ricordare “i bei vecchi tempi” dei titoli impegnativi a cavallo tra anni ’80 e ’90, ma cos’ha La-Mulana di tanto impegnativo?
I “problemi”, tra un doveroso paio di virgolette, sorgono già a inizio gioco con la meccanica dei salti: questo platformer vanta infatti la distinzione di implementare molta inerzia in ogni singolo movimento aereo. Nello specifico, si può direzionare il salto in una direzione solo durante due fasi: quando il balzo viene spiccato, e quando dal punto più alto si torna a cadere. Se saltiamo verso destra, dunque, dovremo mantenere la rotta finché la forza di gravità non ci richiamerà al suolo.
Sembra un’inezia, ma in realtà una cosa “piccola” come questa meccanica ci porta a dover pianificare ogni singolo movimento del gioco. Non ci sono troppe fasi di platforming inteso in senso classico nelle sessioni di gioco di La-Mulana, poiché gran parte della difficoltà del titolo risiede negli enigmi (a metà strada tra i vari The Legend of Zelda e il primo Mario vs. Donkey Kong), ma questo non significa che i pericoli scarseggiano. Tutt’altro: qualunque cosa possa ucciderci lo farà.
In tal senso, La-Mulana è molto simile a Sydney Hunter and the Curse of The Mayan, per quanto l’intera mappa sia collegata (a differenza dell’hub centrale di Sydney Hunter). Entrare in una stanza da un lato anziché dall’altro può sembrare innocuo, finché non ci capita di venire attaccati con veemenza dal nemico che si trova più vicino proprio al nostro punto di arrivo. La libertà di movimento è molto legnosa, ma a differenza degli errori di gioventù di Sydney Hunter qui è evidente che il team di Nigoro sapeva esattamente cosa stesse facendo.
Potremo attaccare i nemici con la nostra frusta, con la quale possiamo anche rompere i vasi sparsi in giro per l’intero gioco. A discapito della difficoltà del gioco, l’attacco primario a nostra disposizione è sempre rapido ed efficace quanto basta da impedirci di sentirci alla completa mercé dei mille ostacoli che La-Mulana pone dinanzi a noi. Non dimentichiamo però che la rottura dei vasi è resa essenziale dalle monete che troveremo – almeno la prima volta – al loro interno.
Il villaggio in cui inizia il gioco, che abbiamo menzionato in precedenza, è lì per un motivo: oltre all’anziano Xelpud, le cui e-mail ci guideranno man mano che andiamo avanti nell’avventura, troveremo infatti altrettanti personaggi non giocanti nelle varie tende. Questi individui saranno lieti di venderci svariati strumenti (tanto “zeldiani” nel loro utilizzo quanto lo sono i negozi stessi) accettando come valuta, manco a dirlo, proprio le monete che ci siamo sudati nel corso dei nostri viaggi.
Nonostante le buone parole che sono più che disposto a spendere per La-Mulana, però, non si tratta affatto di un titolo esente da difetti. Mentre molte scelte di game design mirate a rendere il gioco impegnativo sono svolte in modo encomiabile, altre rendono il tutto talmente legnoso da sfociare quasi nell’anacronismo. Chiariamoci: non è indispensabile che un titolo venga piegato ai bisogni del giocatore contemporaneo avvolto dalla bambagia come ad esempio ha fatto Shovel Knight, ma il gioco non beneficia nemmeno dell’opposto.
Mi spiego meglio con l’inventario del gioco. Il menù viene mostrato come l’interfaccia del PC portatile di Lemeza, che ospita sia i vari oggetti del gioco che i vari “software” che ci aiuteranno nel corso della nostra travagliata esplorazione. Tali software sono soggetti alla necessità di essere “installati”, limitando dunque il numero di power-up attivi contemporaneamente in base alla “memoria interna” del computer. Come espediente per ostacolarci, va ammesso, è anche ingegnoso.
Poi, però, subentrano le varie steli sparpagliate qua e là per il mondo di gioco. Per leggerle è necessario comprare – e poi equipaggiare – sia la lente che il software atti a decifrarne le scritte, occupando rispettivamente uno slot degli strumenti attivi e parte della memoria del computer. Ora prendiamo un The Legend of Zelda a caso, dove per leggere un cartello (di eguale importanza per l’avanzamento nel gioco) non serviva alcunché. Un conto è replicare un senso di difficoltà quasi dimenticato, un altro è emulare gli sciagurati giochi di Bennett Foddy.
Ultima, ma non ultima, è la questione del salvataggio del gioco. La-Mulana presenta due tipi di stele: quella “normale”, e la “stele del Santo Graal” con cui salvare la partita. La presenza di un salvataggio manuale non è minimamente un male, almeno non per noi che viviamo questo medium sin dagli anni novanta. Il problema, piuttosto, è quando Lemeza soccombe (e, fidati, accadrà spesso). La schermata di Game Over che ne risulta presenta come unica opzione il ritorno alla schermata del titolo: se hai dimenticato di salvare, preparati a rifare la scarpinata.
A parte queste (relative) piccolezze, però, siamo di fronte a un titolo estremamente curato, nonostante l’esplicito sadismo del level design, e si vede in ogni singola fase di gameplay. Gli enigmi sono ben congegnati, e l’enfasi su di essi rende quasi trascurabile la gestione più zoppicante dell’esplorazione. L’utilizzo di un personaggio ispirato ad Indiana Jones come giustificazione di un game design più “grezzo” nei confronti del giocatore è molto azzeccata, e non ci stupirebbe se Sydney Hunter si fosse ispirato al La-Mulana originale.
La schermata del titolo ci permette anche di accedere a una modalità “Time Attack” che, in realtà, è una boss rush: dovremo affrontare i vari boss del gioco in rapida successione, ed è con loro che La-Mulana smette improvvisamente di “andarci piano” (se mai l’ha fatto, si intende). La difficoltà del gioco con i boss aumenta vertiginosamente, anche perché come già detto lo scontro fisico è raramente una delle maggiori preoccupazioni durante le fasi più esplorative (e… “enigmatiche”) del titolo.
I giocatori dell’arca perduta
Dopo tanto peregrinare nel tempio di La-Mulana, è giunto il momento di tirare le somme dal punto di vista tecnico del gioco partendo dalla grafica. L’ago della bilancia, nella scena indie, tende a pendere maggiormente verso gli sprite anziché i poligoni, e questo gioco non fa eccezione. Abbiamo dunque a che fare con un titolo che non solo vanta la pixel art tipica della fattura artigianale dei giochi indie, ma che viene anche dalla patria dei migliori platformer a scorrimento laterale. Un pedigree palese a dir poco.
Per quanto concerne il comparto sonoro, c’è ben poco da eccepire: la colonna sonora è eccellente, senza se e senza ma. Non sorprenderà il giocatore tanto quanto sono riusciti a fare i fulmini a ciel sereno Soul Searching e il più recente Baron: Fur is Gonna Fly, ma la musica non manca mai di essere d’atmosfera e, talvolta, pure di grande impatto. L’upgrade tra il La-Mulana originale e il remake che abbiamo tra le mani è evidente, ma piuttosto che descriverlo preferiremmo fartelo sentire. Clicca qui sotto!
Il discorso sulla longevità, come spesso accade, finisce per portarci al concetto di “longevità fasulla” in cui il gioco, per allungare il brodo, fa leva sulla difficoltà; non è però questo il caso. O meglio: è normale che qualunque titolo benefici della difficoltà per tenere il giocatore lontano dai titoli di coda il più a lungo possibile, ma nel caso di La-Mulana la longevità e la difficoltà sono complementari. Il tempio è semplicemente monumentale da esplorare, e con la dovuta pazienza questo gioco ti terrà compagnia per mesi (una gran cosa, di questi tempi).
Il gameplay che abbiamo descritto, d’altro canto, è un po’ una croce e un po’ una delizia. Come già detto, gli svarioni ci sono e possono essere o non essere dannosi alla tua esperienza di gioco: in particolare, la gestione di salvataggi e caricamenti è qualcosa che nel 2020 manca abbastanza di senso, “difficile come ai bei vecchi tempi” o meno. Non per questo, però, l’idea di affrontare La-Mulana dovrebbe scoraggiarti, o almeno non a priori.
La-Mulana è un ottimo metroidvania che vanta un rapporto qualità/prezzo quantomeno onesto, richiedendo infatti 15 euro anziché cifre più sproporzionate. Ciò, ripeto, non lo rende esente da difetti. Se sei un giocatore di vecchio stampo e brami una sfida impegnativa, fallo tuo prima di subito. Se però l’idea di venire accolto da un Game Over a ogni errore di troppo ti spaventa, nessuno ti giudicherà per aver aspettato i saldi di turno.