Dopo oltre 30 ore gioco e un trofeo di platino guadagnato con molta pazienza e fatica posso affermare di aver amato alla follia Control, quello che reputo uno dei giochi più stupefacenti di questa generazione videoludica. Un piccolo capolavoro sotto moltissimi aspetti, a partire da un gameplay solido e rapido, fino a una sceneggiatura intricata e complessa che viene approfondita con centinaia di testi opzionali, utili per scoprire i segreti più profondi dell’avventura della nostra protagonista, Jesse Faden.
Potrei scrivere per ore quanto mi abbia colpito questo titolo, analizzandolo passo dopo passo in ogni singolo aspetto per valutarne la caratura. Ma visto che non ho intenzione di annoiare nessuno, voglio soffermarmi su quello che è stato per me il vero punto di forza dello straordinario videogioco targato Remedy: la regia.
Prendendo atto del fatto che la difficoltà nel raccontare la trama di Control senza ricadere in spiacevoli spoiler è parecchio alta, mi focalizzerò soltanto sulla regia, aspetto troppe volte poco considerato dalle grandi produzioni. Mi riferirò in questo articolo non solo all’impostazione della telecamera, mai fissa alle spalle della protagonista, ma anche all’estrema cura per i dettagli scenici che si può ritrovare addirittura in zone segrete e nascoste, raggiungibili con l’avanzamento nel gioco e l’ottenimento delle abilità più avanzate.
Federal Bureau of Control
Gli sviluppatori sono riusciti a costruire un immagine a schermo dall’altissimo taglio cinematografico attraverso inquadrature eleganti e geometriche, degne di grandi produzioni hollywoodiane: senza esagerare, Control presenta una compostezza e pulizia negli scenari che raramente ho avuto fortuna di vedere in un videogioco.
Fin dai primissimi istanti, veniamo catapultati in un mondo distopico in cui fantascienza, paranormale e realtà si mescolano e quello che colpisce è che la loro fusione non avviene in maniera semplice: l’alternanza tra personaggi reali e le loro sembianze nel filmato iniziale, permette una repentina immedesimazione del giocatore e conseguentemente immersione nel mondo di gioco.
Una sequenza di scene apparentemente scollegate tra loro e che confondono: a poche ore dall’avvio della partita ci si ritrova in un un universo narrativo che non si capisce bene dove voglia andare a parare. Il tutto è rappresentato, sempre, con una regia che si focalizza su piccoli dettagli, come i volti, o su campi larghi, quando si vuole segnalare l’introduzione di una nuova macro-area.
L’attenzione per la rappresentazione in questi frangenti lascia sbalorditi: la macchina da presa è in movimento quando si vuole fare avanzare rapidamente il giocatore, quasi per invogliarlo a continuare il percorso proposto dalla telecamera, che negli spazi più ampi parte dal basso allargandosi e mostrando l’immensità delle varie zone. È fissa invece nei maggiori momenti di tensione, o si avvicina lentamente ai volti dei personaggi, o aspetta ferma quasi ad attendere un movimento repentino. Questo meccanismo crea un forte senso di ansia ed inquietudine nello spettatore-giocatore, soprattutto visto lo scenario terrificante che gli si prospetta davanti.
Ogni mini-area, invece, è introdotta con un brusco suono tonfo e una scritta immensa con il nome del luogo. Tutto questo avviene senza nessun tipo di stop della scena, senza un futile filmato, bensì in maniera brusca, chiara, quadrata, geometrica, elegante, proprio come tutto il resto delle inquadrature. La stessa cosa vale per i boss, indipendentemente dal fatto che siano primari o secondari, non vengono introdotti da lunghi video di presentazione e nemmeno da brevi didascalie: Jesse, semplicemente, si ritrova davanti un nemico diverso dagli altri, è impaurita, terrorizzata, ma non cambia lo scenario.
Siamo lì, siamo Jesse, e sappiamo che dobbiamo affrontare un nuovo nemico corrotto dall’Hiss senza sperare di scamparla con troppa facilità: il messaggio che il comparto registico in questo caso intende trasmettere è di immersività totale. Siamo in pericolo e non c’è tempo da perdere con inutili artefici da videogame. Il percorso di crescita che compie la ragazza potrebbe essere sicuramente un altro argomento di analisi (che magari tratterò un’altra volta).
Una questione cromatica
Alcune sezioni, registicamente parlando, sarebbero da incorniciare: difficile sceglierne una, ma devo ammettere di essere rimasto a bocca aperta per la maggior parte del tempo durante lo svolgimento del Labirinto Del Posacenere quando, accompagnato da una canzone metal, ho dovuto raggiungere la fine del percorso. A mio avviso, una sequenza spettacolare che unisce divertimento e spettacolarità al più ingenuo stupore.
Un ultimo aspetto da analizzare è certamente l’attenzione per l’intensità dei colori, dal bianco acceso al rosso vivo, fino a colori spenti e bui per scenari neutri: in generale, il colore bianco indica molto spesso la luce, metafora della purificazione (elemento imprescindibile nel gioco) e il rosso, la dannazione, la corruzione, seguendo canoni ben consolidati nell’immaginario comune, ma realizzati eccezionalmente.
In conclusione, Control meriterebbe di essere analizzato a fondo per prendere atto di tutte le caratteristiche che lo compongono, focalizzandosi sui diversi aspetti verso cui gli sviluppatori hanno dedicato grande attenzione e cura.
Ti ricordiamo comunque che Control è disponibile da questo mese sul catalogo di PlayStation Now, nel caso in cui avessi intenzione di recuperarlo. Inoltre, proprio questa notte Sony ha annunciato finalmente la data di uscita del DLC The Foundation: la prima espansione arriverà il 26 marzo, per la gioia degli appassionati. Ecco il trailer di annuncio.