Hai mai pensato qualche volta se ne valga la pena? E se la risposta giusta fosse lasciare la grande città in cui ti sei trasferito per lavorare chiuso in un ufficio per più di otto ore al giorno, pur guadagnando una bella cifra, e tornare nel tuo paese natale? Respirare la normalità, una routine quotidiana più lenta, probabilmente più ripetitiva, ma forse quella giusta per ristabilire un contatto con il mondo e riprendere in mano la propria vita? Lake, il nuovo gioco del team olandese di Gamious, sembra parlare di questo. Una carriera messa in pausa per due settimane da passare nella propria cittadina natale e in uno scenario incantevole. Torneresti, poi, in città?
Recensione Lake – Meredith tra una brillante carriera e il suo passato
È quello che ad un certo punto dovrà decidere Meredith Weiss, una donna sulla quarantina che, nel primo settembre del 1986, lascia la grande metropoli in cui vive e si è costruita la sua carriera per tornare nella ridente cittadina di Providence Oaks, nell’Oregon, per sostituire il padre presso l’ufficio postale.
Per lei sarà un ritorno all’infanzia e all’adolescenza: incontrando sia volti familiari che perfetti sconosciuti, vivrà letteralmente due settimane di ricordi e cariche di nostalgia. Alla guida del furgoncino del padre, esplora in lungo e largo la cittadina consegnando la corrispondenza. Al termine delle due settimane, dovrà decidere se tornare alla sua vita di sempre o forse prendere una decisione apparentemente irrazionale e restare lì, nel paese in cui è cresciuta, catturata dal ritmo meno frenetico del paese natale e forse dopo aver scoperto un nuovo concetto di felicità.
Recensione Lake – Un videogioco che simula la normalità, facendolo più che bene
È il pretesto che di fatto ci presenta il sistema di gioco di Lake. Sarebbe ingeneroso definirlo un walking simulator, anche se in effetti le azioni a nostra disposizione non sono tante. Una volta giunti a Providence Oaks, iniziamo immediatamente con le nostre consegne, aiutati da una mappa che ci indica gli indirizzi corretti a cui sono associati i vari pacchi e la corrispondenza. Messi alla guida del furgoncino, il nostro compito è semplicemente quello di fermarci davanti le varie case o negozi e fare la consegna.
Fine. Quello che Lake, dal punto di vista ludico, richiede di fare è solamente questo: inoltre, non permette praticamente di sbagliare. Non possiamo consegnare una lettera nella cassetta sbagliata, mentre i pacchi vengono associato a un indirizzo ben preciso che viene svelato sempre in tempo reale nella parte bassa dello schermo. Come accade per produzioni del genere, ogni azione, ogni movimento è solamente un pretesto per portare avanti la storia, con le diramazioni offerte dal sistema narrativo che punta a premiare e a dare peso alle nostre scelte.
La vera esperienza di gioco di Lake riguarda infatti due aspetti fondamentali: il primo è il rapporto e il dialogo con i vari personaggi che incontreremo nel corso delle due settimane. Grazie a un sistema di conversazione a scelta multipla, siamo noi a definire le relazioni che avremo con queste persone, che potranno essere vecchie conoscenze del passato o nuovi volti che non avevamo mai visto prima. Ogni conversazione quindi ha un peso fondamentale sugli effetti che avranno sulla storia, mentre scorrono le giornate che ci porteranno al termine delle due settimane.
Il secondo aspetto da considerare, che si ricollega di fatto al primo, è come impiegare il tempo libero: una volta fatte tutte le consegne di giornata, saremo richiamati a riportare alla base il furgoncino e, una volta a casa, scegliere cosa fare. Se all’inizio della storia un paio di scelte saranno pressoché obbligate tra il guardare la TV e scegliere un libro, con il passare delle giornate vedremo gli effetti dei rapporti che avremo stretto con le persone del paese.
Potremmo uscire con degli amici, dare una mano al vicino, far visitare il micino di una dolce signora o persino stringere una relazione amorosa, che potrebbe avere un peso sulla decisione finale di Meredith di tornare o meno in città. È il 1986: non ci sono social network o cellulari di ultima generazione.
Non c’è internet pronto a connetterti ad un mondo virtuale alienante. Ci sono le VHS e i Betamax. C’è la semplicità di una cittadina capace di dare affetto e amore quasi a prescindere. C’è anche il rumoroso silenzio di notti di fine estate sempre più fresche, mentre squilla il telefono con il capo dall’altra parte della cornetta che ti chiede di fare uno sforzo in ferie. Rispondere è molto meno facile di quello che sembri.
La struttura di gioco, piuttosto funzionale negli intenti, è per fortuna estremamente efficace per merito di un cast di personaggi che risulta non solo variegato e caratterizzato da un’ottima scrittura, ma anche ben recitato dagli attori che ne hanno prestato la voce, contribuendo alla loro veridicità e al fatto che, inevitabilmente, finiremo per affezionarci alle loro storie e alle loro “semplici” vite. Cosa che in fondo è l’obiettivo finale di Lake.
Qui parlare di scelte giuste o sbagliate finisce per non avere senso: e infatti il gioco non tende a premiare una o un’altra cosa. La storia di Meredith si costruisce secondo il nostro volere e le nostre sensazioni: noi siamo Meredith e dobbiamo immedesimarci per capire cosa faremmo in una situazione del genere, che è comunque molto più comune di quanto si immagini, prima di arrivare a una decisione drastica, che in ogni caso finirà per segnarci.
La storia di Lake segue delle linee che puntano volutamente su un fattore delicato come la nostalgia, ma anche la ricerca della vera felicità, un elemento talmente soggettivo che sarebbe precipitoso riassumere in una fredda scrittura.Fortunatamente, in questo senso Lake non scade mai nel banale e vuole lasciare pieno potere al giocatore di indirizzare in determinate maniere certe situazioni, senza forzarlo da una parte o dall’altra: anzi, in molti casi ci è capitato di essere lì fermi a capire come rispondere, ammaliati dalla logica di due risposte opposte tra loro eppure entrambe equilibrate e logiche nella sostanza.
Lake conosce i suoi limiti ed è consapevole di non poterne e volerne andare oltre, date anche le dimensioni ridotte del team di sviluppo. Ragion per cui se sei alla ricerca di un’esperienza un po’ più complessa potresti rimanere deluso: l’assenza della lingua italiana potrebbe scoraggiare il pubblico meno anglofono, ma si tratta di un inglese veramente facile da comprendere e che non dovrebbe crearti grossi grattacapi.
Limiti che si intravedono anche in un comparto grafico dallo stile delizioso, che ci regala scenari incantevoli da cui sarebbe impossibile solo pensare di andare via, ma con qualche difetto tecnico figlio di un progetto che non mira a grosse ambizioni e che comunque potrebbe essere risolto con degli aggiornamenti futuri.