La serie The Witcher è diventata una sorta di mostro multimediale ultimamente; i libri originali sono dei cult nel mondo della letteratura fantasy, ma potremmo dire che buona parte della loro fama venga dall’acclamata trilogia di videogiochi. A dare nuova fama a Geralt e al suo mondo ha provveduto anche l’omonima serie Netflix, che ha garantito all’azienda il debutto di maggior successo di sempre e alle vendite di The Witcher 3 un incremento inaspettato.
Verrebbe facile pensare che tutto ciò potesse rendere l’autore dei libri, il polacco Andrzej Sapkowski, davvero felice. Ciononostante, come molti altri autori in merito agli adattamenti delle loro opere (come Stephen King nel mondo letterario e Alan Moore nel campo fumettistico), Sapkowski non sembra apprezzare particolarmente i tentativi di portare il suo mondo da un medium all’altro.
“Maccarone, m’hai provocato, e io me te magno”
Nonostante il nuovo accordo stretto con CD Projekt per creare altri videogiochi ambientati nell’universo di The Witcher, in una nuova intervista redatta da io9 l’autore dichiara di non vedere di buon occhio alcun punto di incontro tra adattamenti e romanzi originali. Prevedibilmente, Sapkowski ritiene questi ultimi la parte più importante del puzzle.
“Non posso confrontare nulla con i videogiochi, non avendone mai giocato uno. Da quand’ero bambino non ho giocato ad alcuché – a parte forse il bridge e il poker. I videogiochi semplicemente non sono per me, preferisco i libri come forma di intrattenimento. Ad ogni modo, secondo me le serie TV e i videogiochi – qualunque di essi – non si possono confrontare. Sono troppo diversi nell’approccio [allo spettatore, ndt], nella creazione—e nel loro obiettivo. Non puoi confrontare degli spaghetti alla carbonara con una bicicletta. Per quanto entrambi abbiano vantaggi e svantaggi.”
La vecchia scuola
Una volta interrogato in merito a un’opinione sulla serie di Netflix, Andrzej Sapkowski dichiara: “Il mio nome è nei titoli di coda. Non posso elogiare lo show. Non sarebbe giusto”, prima di aggiungere che sarebbe “un idiota” a discutere ciò che crede non sia stato tradotto al meglio nella serie. Una volta messo di fronte alla ristampa di 500.000 copie dei suoi libri nata dalla serie Netflix, ha risposto:
“E come dovrei rispondere? Che ero disperato? In lacrime? Sull’orlo del suicidio? Nossignore. I miei sentimenti erano abbastanza ovvi e non troppo complessi.”
In risposta alla domanda sulle sue aspettative per la seconda stagione della serie TV, Sapkowski ha concluso il tutto con un commento fedele alla sua brutale onestà:
“Permettetemi di citare Joe Abercrombie, un autore di cui apprezzo molto i libri: ‘La vita, per farla breve, è un’autentica m***a. Tieni basse le tue aspettative, e potresti essere piacevolmente sorpreso’.”
“Francamente me ne infischio”
Non è la prima volta che Sapkowski parla in questo modo degli adattamenti delle sue opere. Nel 2012, ha parlato del fenomeno ad Eurogamer, dichiarando:
“Posso anche capire che il mondo contemporaneo ci abitui – in modo esecrabile – all’incontro tra media differenti e alla libertà di mescolarli a piacere. Per me in qualità di scrittore, l’idea di scrivere ‘contenuti aggiuntivi’ e creare qualcosa di ‘complementare’ a un gioco o a un fumetto è il pinnacolo assoluto dell’idiozia.”
In passato, inoltre, ha parlato della paura di venire messo in ombra dagli adattamenti delle sue stesse opere – una paura fondata, vista l’idea sbagliata secondo la quale si assume che lui scriva di un universo videoludico, anziché l’opposto:
“Mi ricordo la mia reazione: conosco molte parolacce e le ho usate tutte, in molte lingue. In vent’anni, qualcuno si chiederà ‘Witcher, il gioco – e chi è l’autore?’ – e nessuno saprà rispondere.”
Al di là di quanto siano condivisibili le opinioni di Sapkowski a livello autoriale, ci troviamo indubbiamente in un periodo ancora transitorio che non sembra avere fine. Il progresso tecnologico ha portato con sé nuove forme d’arte che ancora trovano difficoltà nel venire accolte come tali.