Lost in Play è un adventure game che mischia caratteristiche tipiche dei punta-e-clicca, soprattutto quelli alla Broken Sword dotati di un gameplay più user-friendly e flessibile, e dei puzzle game narrativi alla Professor Layton, con un forte focus sugli enigmi classici, ma dinamici. La prima cosa che colpisce di questo gioco è però indubbiamente la direzione artistica proposta.
Lost in Play, che sarà disponibile per l’acquisto a partire dal 10 agosto, appare infatti come un vero e proprio cartone animato interattivo caratterizzato da uno stile che ricorda serie come Gravity Falls, Over the Garden Wall e simili. Un’animazione occidentale dalla forte componente surreale e ironica, ma mai volgare o eccessivamente esplicita.
Lost in Play è d’altronde il titolo d’esordio di Happy Juice Games, studio indie localizzato a Tel Aviv. Già questo sorprende perché la qualità mostrata nei vari trailer sembra molto superiore a quella che potrebbe permettersi uno studio al suo debutto. Eppure il risultato finale è stato tale da guadagnarsi una distribuzione globale a opera di Joystick Ventures, veterani del settore indie.
Al di là della confezione indubbiamente interessante, però, come è davvero Lost in Play? Vale davvero l’acquisto o è una delle tante bolle di sapone che riescono a vendersi bene, ma che poi, a conti fatti, si perdono nell’oceano dei titoli simili? Come sposa una simile direzione artistica con un genere complesso e di nicchia come quello di questi adventure game? A tutte queste domande cercheremo di dare risposta oggi.
Quando eravamo bambini…
Avviamo Lost in Play e ci troviamo a vivere una giornata come un’altra per Toto e Gal, un fratello ed una sorella che vivono in una semplice casa su due piani con la loro famiglia, un cane ed un gatto. Dopo un’intensa notte di sogni (e dopo aver convinto Toto a mollare la propria console portatile), si dedicano alla loro attività preferita: giocare con la loro immaginazione. Noi videogiocatori abbiamo così il privilegio di vivere tutto questo attraverso gli occhi della loro mente.
Peccato che stavolta il gioco finisca con il condurli molto lontano da casa. Come fare? Urge tornare prima che cali la notte, ma per farlo i due bambini dovranno affrontare un epico viaggio cosparso di creature magiche, enigmi complessi e scenari avventurosi. Poco importa che tutto avvenga nella loro testa o meno, vero? Che si debba semplicemente percorrere un viale ciottolato o uscire da un parco, niente rende un viaggio memorabile come la fantasia. La casa attende coloro che si sono persi nel gioco.
L’ispirazione di Lost in Play è evidente a partire dall’atmosfera che cerca di creare. La storia è tanto affascinante quanto surreale e viene tratteggiata con toni leggeri, colorati, ironici e giocosi. Nonostante il tema di per sé possa sembrare pesante, due bambini che si allontanano da casa e che si perdono, tutto viene affrontato con una leggerezza infantile, ma mai banale. Questo genera un doppio livello di lettura che è tipico di molte serie cartoon di successo recenti.
Gravity Falls, Over the Garden Wall e Hilda sono le ispirazioni citate dagli autori ed in effetti sono evidenti le derivazioni di questi lavori in Lost in Play. Come il gioco stesso ha due livelli di lettura, quello della realtà e quello dell’immaginazione, allo stesso modo la visione del videogiocatore è sdoppiata. Agli occhi di un adulto è evidente che le avventure di Toto e Gal sono frutto della loro fantasia, ma contemporaneamente non può evitare di farsi coinvolgere in questo turbine di nostalgia che gli ricorda del suo passato, quando era lui il bambino che immaginava mondi fantastici.
Un gameplay di altri tempi
Come accennato in apertura, il gameplay di Lost in Games alterna elementi dei punta-e-clicca a quelli dei puzzle game. I primi sono quelli più preponderanti e personalmente, come impostazione, mi hanno ricordato la saga di Broken Sword con un controllo diretto del nostro/i personaggio/i (che se non ero era presente solo ne Il Sonno del Drago). In entrambi i casi i comandi sono comunque intuitivi ed immediati, rendendo il titolo subito accessibile.
Lost in Play è quindi diviso in grosse macro-aree che dovremo esplorare muovendo liberamente i personaggi ed interagendo con i vari oggetti e personaggi. Alcuni oggetti potranno essere ovviamente raccolti per poi essere utilizzati altrove in modo da risolvere enigmi ambientali e proseguire nella nostra avventura. Queste fasi punta-e-clicca saranno intramezzate da minigiochi e puzzle più complessi che ricordano molto gli enigmi alla Professor Layton, sia come impostazione che come funzionamento ed atmosfera.
Di base ogni minigioco/puzzle ha le proprie regole, il proprio funzionamento ed il proprio obiettivo, ma questo non è sempre così chiaro come ci si potrebbe aspettare. Alcuni enigmi poi sono sorprendentemente difficili e abbastanza frustranti. E’ vero che c’é una funzione per chiedere un indizio al gioco su come proseguire, ma non sempre questa è utile. Anzi, nei vari puzzle più complessi sarà spesso quasi obsoleta e non darà una vera e propria mano nel raggiungere il proprio obiettivo (a volte si limiterà a spiegare le meccaniche di quel singolo puzzle).
Per essere un gioco dedicato anche ai più piccoli, la difficoltà è notevole, anche se fortunatamente solo di rado diventa così frustrante. Un altro piccolo difetto riguarda in realtà la meccanica di gameplay legata all’utilizzo degli oggetti. Anche se abbiamo l’oggetto giusto, non lo useremo interagendo con il punto di interesse giusto. Dovremo prima aprire il nostro inventario, selezionarlo e poi interagire. E’ un dettaglio che però rende tutto il processo più macchinoso, senza un reale motivo a giustificare questa scelta.
Un cartone animato interattivo
Il vero cavallo da battaglia di Lost in Play non è però la sua atmosfera, la sua storia o il suo gameplay, ma la direzione artistica. Come detto all’inizio, questo videogioco è strutturato per sembrare un vero e proprio cartone animato interattivo. Tale scopo viene raggiunto con una cura del dettaglio che sfiora il maniacale, congiunta ad una notevole passione per quello che probabilmente è il principale materiale di ispirazione.
Il design è dettagliatissimo, curato all’inverosimile e soprattutto perfettamente in linea con l’atmosfera che si vuole creare. Personaggi surreali, ma con chiari riferimenti al mondo reale, si muovono in un mondo fantastico che sembra avere le stesse caratteristiche e che spesso si piega alle esigenze dell’immaginazione dei nostri due protagonisti. Sembra davvero di star osservando il mondo che potrebbe essere generato dalla mente di un bambino.
L’animazione in tal senso è capace di lasciare a bocca aperta chiunque. La qualità con cui si muovono ed agiscono i vari personaggi presenti non ha nulla da invidiare a quella delle produzioni cartoon più famose presenti in televisione (o sulla vostra piattaforma streaming preferita). Un’ulteriore parola di pregio va spesa per l’ironia con cui gli autori sono riusciti a sviluppare una serie di personaggi ricorrenti assolutamente memorabili come il goblin, il cupido barbone e il nano da giardino matto.
Quanto al comparto sonoro, potrei limitarmi a sottolineare come la colonna sonora sia assolutamente fantastica e appropriata, ma il vero colpo di genio qua è quello di aver associato a Lost in Play un linguaggio universale. Niente inglese con sottotitoli o italiano o chissà quale idioma. Il mondo di Lost in Play parla un proprio linguaggio fatto di sonorità bizzarre ed incomprensibili… eppure allo stesso tempo chiarissime, anche perché associate a immagini disegnate dentro dei baloon fumosi. Sembra veramente il modo in cui comunicherebbe un bambino.
Un piccolo capolavoro di nostalgia e divertimento
Concludiamo quindi la recensione tirando le somme su Lost in Play. Il risultato finale non può che essere estremamente positivo. Lost in Play è un piccolo capolavoro, una perla indie che presenta una qualità incredibilmente elevata nella realizzazione ed una cura del dettaglio degna di un titolo tripla A. E’ facilissimo perdersi nel colorato mondo di gioco e nelle avventure di Toto e Gal, un ambiente dopo l’altro, un personaggio assurdo dopo l’altro, un puzzle dopo l’altro. E’ triste solo che ad un certo punto tutto finisca.
Togliendo alcuni piccoli difetti di gameplay, che sono però per lo più dettagli minori che non rovinano minimamente l’esperienza di gioco, l’unico vero problema di Lost in Play riguarda la sua natura. Quello degli adventure game è già di per sé un genere molto di nicchia, ma se ci mettiamo anche i toni molto surreali infantili e il ritmo calmo e compassato, possiamo facilmente capire come Lost in Play sia rivolto ad un pubblico davvero molto ridotto e selettivo.
Detto questo, la mia valutazione finale non può che essere assolutamente positiva, anche perché io faccio parte di quella piccola sfera ristretta di amanti di questo genere. Se sei come me, ti consiglio vivamente il 10 di agosto di acquistare immediatamente Lost in Play, non importa se su Steam o per Nintendo Switch. E’ un acquisto di cui difficilmente ti pentirai e che ti donerà un congruo numero di ore di bizzarro divertimento.
Il mio timore d’altronde è che questo gioco non riceva le dovute e meritate attenzioni. Anche perché, se non hai mai giocato un adventure game punta-e-clicca, questo è un fantastico punto di inizio per la sua elevata accessibilità e leggerezza rispetto ad altri giochi di questo genere. La paura che una simile perla si perda nell’oceano di mediocrità che sembra impestare il vasto settore dei videogiochi indie è più che concreta. Questa mia recensione rappresenta d’altronde il mio tentativo per combattere questo destino. Prova Lost in Play, fidati. Merita.