Tra i peccati capitali, la lussuria è quello che accende più spesso la fantasia dell’uomo; nella nostra storia l’abbiamo messa al centro di libri, film e videogiochi, come fosse una ciliegina sulla torta di una storia.
Nel caso di Lust for Darkness la lussuria è il motore attorno a cui ruota una storia che potremmo definire un rendez-vous tra Eyes Wide Shut di Kubrik e il Ciclo di Cthulhu di H.P.Lovecraft, con un effetto finale che ricorda da vicino le ultime graphic novel di Alan Moore.
Stupisce molto, in effetti, la presenza di un titolo come Lust for Darkness, sessualmente molto esplicito, nel Nintendo eShop; è un segno che la censura della grande N non è più stringente come una volta e che Switch non è necessariamente una console per bambini.
Nato grazie al crowdfunding su Kickstarter, Lust for Darkness prometteva di essere un titolo intrigante, con elementi peculiari e atmosfere intense tanto da differenziarsi dalla massa; purtroppo, con il passare dei mesi e il progredire dello sviluppo, le premesse del titolo di Movie Games si sono infrante sul muro della banalità, ma procediamo con ordine.
Casa di piaceri per stranieri
Dopo un breve filmato con tanto di citazione a American Beauty, ci troviamo nei panni della poco casta Amanda che, accettando un invito da uno sconosciuto, viene rapita e segregata nei sotterranei di una magione vittoriana (eh già! nei videogiochi le grandi ville non sono mai tranquille e piacevoli). Risvegliatasi dopo essere stata narcotizzata, Amanda proverà a fuggire dallo scantinato con la costante sensazione di essere pedinata e, una volta giunta in una delle stanze del piacere della villa ricca di falli finti, macchine penetranti e stimolanti, viene raggiunta nuovamente dal suo carceriere celato da una maschera mostruosa.
Dopo questo breve capitolo introduttivo facciamo la conoscenza di Jonathan, l’inconsolabile (e carismatico quanto un cartone della pizza vuoto) marito di Amanda, che naturalmente non si è rassegnato alla scomparsa dell’amata moglie. Durante una serata all’apparenza tranquilla, Jonathan riceve un misterioso messaggio che non solo gli rivela come Amanda sia ancora viva, ma lo invita anche a raggiungerla a villa Yelverton; si tratta della magione del primo capitolo, che gode da sempre di una fama sinistra.
Seguendo i cliché del genere (ti ricorda qualcosa? Resident Evil VII?) Jonathan fraggiunge la magione, scoprendo immediatamente che le voci sono vere e che il luogo nasconde qualcosa.
Fin dal giardino che circonda la villa è possibile vedere come la stessa sia una sorta di privé per una setta di cultisti che, tramite rituali orgiastici, apre le porte di Lusst’gaah, una realtà alternativa mostruosa e fallocentrica, abitata da creature tentacolari e demoni anch’essi mascherati (forse incarnazioni dei cultisti) e seminudi in un tentativo poco riuscito di mescolare le suggestioni di Lovecraft a creature che si ispirano molto all’opera di H.R.Giger.
Le successive tre, noiose, ore le passeremo esplorando la magione alla ricerca di Amanda, passando dai corridoi a lume di candela del mondo reale al regno alieno di Lusst’gaah. Se nella villa avremo a che fare principalmente con sex toys e cultisti incappucciati, nel regno demoniaco incontreremo tutta una serie di creature da incubo, man mano le due dimensioni si fonderanno in un’unica realtà deviata.
Purtroppo la trama, partendo da ottime premesse, si rivela incompleta e abbastanza stereotipata. Il gioco si affida a prevedibili e quindi poco riusciti jumpscare (che spaventano solo Jonathan), che tentano di celare la vera natura di Lust in Darkness. In definitiva è solo uno dei tanti horror in prima persona che fa troppo affidamento su jump scare telegrafati e atmosfere di scarso impatto, unite all’esplorazione e alla soluzione di puzzle elementari. Tutti elementi che ci conducono a una conclusione anch’essa scontata, tenuto conto che siamo in presenza del primo capitolo di una trilogia.
Gameplay
Anche dal punto di vista del gameplay il gioco è molto semplice, permeato da una costante sensazione di déjà vù: per la maggior parte del tempo dovremo evitare mostri che si muovono lentamente e cultisti che fanno sempre gli stessi percorsi in sezioni pseudo stealth di pessima qualità o sfuggire alle creature demoniache che ci inseguono per brevi tratti, salvo poi dimenticarsi di noi appena svoltato un angolo. Tra le altre cose nei primissimi minuti di gioco Amanda ci fornirà gli opportuni travestimenti che ci consentono di muoverci liberamente per la villa, eliminando qualsiasi pericolo per noi. Lo stesso scontro con il nemico finale è basato sul continuo sfuggire e attendere; se da un certo punto di vista potrebbe essere stata fatta questa scelta per una pretesa di verosimiglianza, dall’altro lato ci ricorda esattamente perché i videogiochi si devono avvicinare alla realtà senza copiarla, per di più se il genere è di per se stesso poco realistico. Per provare a variare una formula fin troppo banale i programmatori hanno inserito la possibilità di indossare maschere demoniache raccolte a Lusst’ghaa, utili a mostrarci percorsi nascosti ma di cui non potremo abusare perché potrebbero condurci alla follia. I comandi sono estremamente limitati: gli input prevedono soltanto movimento, corsa e un comando per prendere gli oggetti e interagire con il mondo di gioco.
L’ambiente è quasi del tutto interattivo, consentendoci di prendere in mano ed esaminare qualunque oggetto: caratteristica pressoché inutile che dopo pochi minuti, nei quali peraltro dovremmo astenerci dal prendere in mano gli oggetti (non si capisce perché), abbandoneremo se non quando indispensabile per proseguire.
In definitiva nulla che il giocatore non abbia già visto e in iterazioni di gran lunga migliori.
Segnali di Stile
La versione per Switch di Lust for Darkness risente dell’hardware su cui gira: il framerate cala un po’ troppo spesso, dovremo rinunciare ad alcuni effetti di illuminazione e alle texture più complesse; il peso del gioco si fa sentire specialmente in modalità handheld, con la console che si surriscalda e consuma velocemente la batteria.
Gli ambienti della villa, con le loro statue erotiche e la luce soffusa delle candele, mantengono inalterato un certo fascino e anche Lusst’ghaa riesce a restituire una sensazione di inquietante e alieno; si tratta comunque di una versione visivamente inferiore alla controparte su PC. Particolarmente fastidiosa è la sfocatura con cui i programmatori hanno voluto rendere l’ansia di Jonathan: ogni volta che avrà paura o vedrà qualcosa che lo turba lo schermo inizierà a pulsare, sfocando l’immagine e la scena perderà di definizione. Potrebbe essere anche un effetto interessante, peccato che il nostro anonimo personaggio abbia paura praticamente di tutto (sì, anche delle orge) e quindi ci troveremo costantemente con questa animazione a schermo.
Il sonoro è abbastanza mediocre, con un breve riff musicale che si ripete ogni qualvolta stiamo attraversando qualche sezione particolarmente paurosa di Lusst’ghaa, dissipando quel poco di tensione che si potrebbe venire a creare dal momento che ci preannuncia un qualche tipo di evento.
Anche il doppiaggio, in inglese, è piuttosto mediocre; la localizzazione italiana, affidata ai sottotitoli, non è esente da errori, il più comune dei quali confonde i generi (Jonathan viene spesso declinato al femminile e Amanda al maschile).