Sarò sincero sin da subito. I videogiochi dalla durata superiore ad un certo numero di ore sono da sempre i miei preferiti. Final Fantasy, Persona, Fallout, Horizon e chi più ne ha più ne metta. Ma questo non perché sono lunghi, ma perché sono completi. Sono strutturati in modo tale da, tra main e side quest, distribuire il carico della storia in modo equilibrato, senza relegare il giocatore al farming più sfrenato sino a quei due/tre momenti cruciali. Il fatto quindi che nella mia ideale top 10 ci siano molti giochi che superino le 40 ore di gioco, non fa del numero di ore un dettaglio fondamentale. Che un gioco duri 50, 60, 30, 20 ore non c’entra. C’entra il loro equilibrio nelle ore che gli sviluppatori hanno deciso che un utente avrebbe dovuto dedicargli.
Un esempio nella mia Top Ten che non fa parte dei giochi “Over20Hours”: Metal Gear Solid. Escluso Phantom Pain, tutti gli altri si possono finire tranquillamente in 10 ore (ovviamente non sto parlando di ottenimento di tutti i trofei, ma di conclusione della trama), eppure stiamo parlando di una delle saghe più belle della storia, come scrittura, giocabilità e cliffhanger. E adesso ti chiederai? Ma tutto questo spiegone su cosa ti piace, cosa c’entra con il titolo di questo articolo? C’entra, e lo capirai più avanti.
The Last of Us Part II, Final Fantasy VII Remake sono…
Lunghissimi. Sì, su questo non ci piove. Eppure questo dato di fatto, negli ultimi giorni è diventato oggetto di discussione. Longevità necessaria o riempimenti casuali? Money stealer o vere e proprio opere d’arte? Il dibattito online che sta infervorando in questi giorni ha milioni di opinioni diverse. Un po’ come la mia sopra. C’è a chi piace la carbonara con i rigatoni, chi con le penne, chi pasta lunga. E a chi non piace (e se sei tra quelli, sappi che mi dispiace per te). Il problema è che nessuna di questi opinioni parte da qualcosa di oggettivo. Ed è ciò che proveremo a fare qua.
Money first? Sicuramente
Partiamo da un presupposto. Tutti i titoli AAA vengono pensati per fare più soldi possibile. E questo da sempre. Vent’anni fa, Final Fantasy, in Occidente soprattutto, non era un gioco così popular. Non fraintendetemi, vendette milioni di copie per capitolo, quello che intendo è che il videogiocatore media non aveva per forza Final Fantasy nella sua collection. Erano anni dove il gamer era molto diverso di quello di oggi: spopolavano i giochi di sport (più di oggi), i platform (Crash Bandicoot, Spyro, Metal Slug) e i picchiaduro (Tekken su tutti). Una top ten media avrebbe avuto questi giochi. Final Fantasy sarebbe stato in molte di queste, ma sarebbe stato l’unica presenza di una classifica dominata da ben altro. E non c’era nulla di sbagliato, anzi. Era un modo di vivere il videogiocare in una maniera diversa. Negli anni qualcosa però è cambiato.
Dalla settima generazione in avanti, la longevità è diventata un parametro fondamentale per trasformare un gioco in un “must”. Tra i videogiocatori ha iniziato a insinuarsi un concetto: “Perché devo spendere 60/70 € per un gioco che finisco in un pomeriggio?”. Quasi come se un gioco si vendesse a Euro all’ora. Questo ha inevitabilmente cambiato il modo in cui gli sviluppatori hanno iniziato a pensare ai giochi: se chiedo 79€ per un gioco, devo garantire un certo numero di ore. Giusto? Sbagliato? Importa poco, hanno semplicemente seguito il mercato. I platform sono diventati action da 18 ore, la modalità arcade dei picchiaduro è diventata centrale più del classico 1vs1 e così via.
Quindi longevità = denaro? Sì, ma deve essere costruita bene.
Tra sviluppatori e videogiocatori
In questo scenario dove anche un Ratchet & Clank, per competere nel mercato, deve riuscire a costruire intrecci pazzeschi di trama (francamente inutili e forse è stato questo uno dei problemi di Nexus), inutile dire quanto siano diventati importanti gli sceneggiatori. Abbiamo visto il rilancio di un genere che in occidente aveva sempre fatto fatiche come le avventure grafiche (Monkey Island a parte), il boom degli RPG in tutte le loro forme e sparatutto dalla durata incredibile (Borderlands su tutti). La longevità dei videogiochi ha risposto a quell’esigenza dei videogiocatori di voler spendere per un prodotto che non si consumasse nel tempo di una cena. Questo ci ha privato di capolavori? Assolutamente no, anzi. E al contempo, ha impedito ai giochi orribili di presenziare il mercato? No, anzi, li ha resi pure più longevi.
Trame da oscar, colpi di scena incredibili, sceneggiatori più pagati che a Hollywood, lunghezze dei titoli tolkeniani. Tutto ciò ha abituato i giocatori alla longevità, non rendendola più un parametro su cui valutare un gioco. Se devo giocare 50 ore a un gioco che non mi piace, preferisco dedicarne 8 a uno che invece risponde di più ai miei gusti. L’abitudine ha ribaltato completamente la situazione, rendendo il videogiocatore più avvezzo a calcolare la quaità delle ore spese a giocare che le ore in sé
Siamo in una nuova fase storica?
Uno dei giochi maggiormenti trattati in questa “polemica sulle ore dedicate a un videogioco” è stato Last of Us Part 2. Un gioco sì lungo, ma che in questo periodo storico non è neanche tra quelli più “infiniti” (The Witcher 3 ad esempio). Secondo il 30% degli utenti che hanno partecipato alla discussione il gioco poteva essere fatto durare qualche ora in meno, ritenendo che Naughty Dog abbia spinto tale durata solo per giustificare l’alto prezzo di vendita. E qui si ritorna all’incipit, e con i pareri personali. The Last Of Us Part II è un gioco, così come The Witcher o Uncharted (due giochi agli opposti), che richiede il tempo che richiede. Ogni cosa è al suo posto e non v’è (se non per qualche raro momento) un abuso del tempo del videogiocatore. Completo, coerente, e stupendo. Oltre al gioco di Naughty Dog, sono stati tirati in mezzo anche altri giochi, soprattutto i titoli Square o Ubisoft. Il problema di fondo è un altro. I gamer di oggi vogliono giocare a, quasi, tutto. E quando vuoi giocare a tutto qualcosa devi selezionare. Con una lista di giochi così lunghi, aumenta anche la lista di giochi da dover scartare.
In un mondo dove non siamo più abituati a selezionare (su Spotify abbiamo tutta la musica che vogliamo e su Netflix tutte le serie e film), doverlo fare per i videogiochi ci dà fastidio. 5 ore in meno in The Last of Us Part II vogliono dire 5 ore di un altro videogioco giocato in più. E così via. E in questa fase storica, con le richieste cambieranno di conseguenza anche i videogiochi. Riusciranno i videogiochi a rispondere all’ennesima richiesta del videogiocatore? O queste polemiche rimarranno tra i soliti battibecchi su internet? Intanto godiamoci questi ennesimi capolavori, anche se sono infiniti