Nella sua pagina Instagram ufficiale, Hideo Kojima si diverte a giocare con i fan della saga di Metal Gear, in questo caso con un post che mostra una serie di artwork riguardo a Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake.
Sono i primi due capitoli della saga pubblicati a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso su console NES. L’immagine di copertina mostra uno screenshot che ho rubato giusto poco fa dalla suddetta pagina, standomene in posizione di atavica speranza, e la mia pistola SOCOM pronta all’azione…
Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake Remake
Il buon Hideo scherza con il fuoco: stuzzica i fan speranzosi di rivivere (o vivere per la prima volta come nel mio caso) le gesta di Outer Heaven e Zanzibar Land che diedero inizio alla storia del leggendario mercenario, e di altri personaggi impressi nella memoria dei fan e nell’intera storia videoludica, come Big Boss e Gray Fox, il più fidato luogotenente del soldato più forte del XX secolo, “l’unico che abbia mai ricevuto il nome in codice Fox, Gray Fox” come diceva il colonnello Ray Campbell.
Perché realizzare dei Remake anziché un proseguo della storia
La saga di Metal Gear, poi denominato Metal Gear Solid a partire dal primo titolo moderno approdato su PSX nel 1998, ha segnato l’infanzia e l’adolescenza di molti, me compreso. Le emozioni provate durante il gameplay e le cutscene della storia hanno spinto a riflettere su temi molto “veri” e reali, descritti con spietatezza e con il piglio di una vera e propria denuncia sociale (ad esempio la lezione anti-nucleare che certi pagliacci nel mondo vero, alla guida di due paesi asiatici tanto per dire, dovrebbero imparare…).
L’epicità che il giocatore era chiamato a vivere nel resistere allo spietato “interrogatorio” di Revolver Ocelot per salvare Meryl Silverburgh, la sensazione che fosse arrivata la fine nel cercare le dannate bombe nascoste dal terrorista Fatman sulla piattaforma Big Shell, il lancio Halo di Naked Snake pronto a usare il suo paracadute per infiltrarsi in un’infida giungla dell’Unione Sovietica per compiere la sua missione, nonché le ultime gesta di un guerriero al termine della sua vita meriterebbero dei remake a sé stanti.
Ma i due originali capitoli della saga hanno dalla loro un elemento fondamentale, che a mio avviso meriterebbe assolutamente un Remake in Unreal Engine 5 coi fiocchi: la crescita personale di un giovane Solid Snake, soldato giovane, ancora inesperto, e probabilmente più vulnerabile alle crudeltà del mondo rispetto all’uomo di ghiaccio che abbiamo conosciuto nel primo Metal Gear Solid.
Come ha fatto un uomo che nella sua vita ha sempre dovuto combattere, che sa fare poco altro a parte il “musher” (ossia il guidatore di slitte trainate da cani husky dell’Alaska) e per di più con i geni del soldato più micidiale che sia mai esistito, a diventare un Peace Walker, ossia un camminatore della pace come e meglio dello stesso Big Boss?
La violenza e le uccisioni sono sempre state il suo lavoro, eppure Solid nel primo indimenticabile capitolo parla di pace, di amicizia, persino d’amore… nel consigliare alla dolce Mei Ling – l’esperta di informatica in costante contatto con il giocatore via radio durante la missione – di trovare qualcuno di cui innamorarsi per dare un senso vero alla sua vita.
Ma un ragazzo che è stato sfruttato come “cane da guerra” sin da giovanissimo non può aver maturato queste consapevolezze da solo: lui stesso racconta brevemente – con l’aria di chi ha sofferto e non vuole tirare fuori brutti ricordi – di aver incontrato molte persone nella sua vita che lo hanno fatto crescere.
Persone di cui noi giocatori – ed atavici consumatori di lore epiche – non sappiamo praticamente nulla. Ecco: Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake dovrebbero, fra le altre cose, raccontare delle origini di un mito.
Kojima gioca soltanto con i fan… o c’è qualcosa sotto?
Hideo Kojima non è nuovo a giocare con i fan (e con i nostri sentimenti, maledetto…), ma stavolta il post galeotto – che pure come sempre potrebbe essere una gigantesca “trollata” – si inserisce nel dibattito acceso in questi giorni circa il ritorno della saga nella forma di nuovi giochi o più verosimilmente remake dal passato.
Ho già espresso, nella rubrica Player One e con il profilo di Big Boss, il perché secondo me qualsiasi progetto che voglia riguardare seriamente la saga non può – almeno ad oggi – fare a meno del suo creatore, nemmeno se si trattasse di rifare titoli relativamente recenti come Sons of Liberty e Snake Eater. E il post del creatore della saga farebbe pensare che le voci di questi giorni circa un suo riavvicinamento alla cara vecchia Konami possa in effetti avere qualcosa di vero.
Kojima lasciò la casa che a tutt’oggi possiede i diritti di Metal Gear in modo brusco e, io credo, furente, per essere stato trattato malamente da un colosso del mondo del gaming che però stava lasciandosi sfuggire dalle mani una gallina dalle uova d’oro, ancorché resosi indipendente creando lo studio Kojima Productions e tuttavia collaborando attivamente con Konami come si trattasse dello stesso team.
D’altra parte i fan reclamano davvero a gran voce di poter combattere nelle due primissime avventure vissute da Snake, dalla fuga dal carcere di Outer Heaven dove Snake conobbe Gray Fox – nell’autoproclamata nazione africana di Venom Snake aka Big Boss, agli epici combattimenti di Zanzibar Land come quello cui faccio riferimento nel mio commento al buon Hideo in risposta al suo post di Instagram, “a mani nude, in un campo minato” contro lo stesso Gray Fox.
Altri personaggi possono essere raccontati, e qualunque “licenza poetica” che distingua in parte la nuova opera da quella originale sarebbe giustificata a fronte dei tanti anni passati, ma soprattutto della firma e supervisione dello stesso Hideo, garanzia di un gioco (o due?) che rimarrebbe fedele all’originale.
L’aspetto del gameplay: una nota fondamentale di un eventuale remake confermato
Le due storie originali create per essere diffuse sul mitico NES, verrebbero certamente ritoccate (in modo marginale) con degli eventuali rifacimenti. Sarebbe infatti necessario costruire da zero delle location e personaggi in una veste inedita, molto probabilmente – a tratti – difficili da riconoscere (penso ad esempio a Gray Fox, nel momento in cui è gettato in un fosso adiacente a quello in cui è tenuto lo stesso Solid, rinchiuso per aver tentato di liberare il “compagno di cella” su ordine dello stesso Big Boss).
Personaggi, villains, colonna sonora, obiettivi intermedi… tutto necessiterebbe dell’attenzione di colui che ha creato la saga, in ordine a non tradire la visione originale di quest’ultima, magari “sporcandola” con una facile retorica o una banale interpretazione dei concetti espressi, come ad esempio il perché un uomo che possa dirsi tale deve proteggere anziché aggredire, essere se stesso ma lasciare agli altri l’opportunità di fare la stessa cosa, inseguire la propria felicità ma anche donare se stesso a qualcun’altro/a.
I comandi avanzati a disposizione dei veterani della saga in Metal Gear Solid V: The Phantom Pain sarebbero ovviamente i protagonisti pratici di tutto il gioco, con il giocatore di nuovo messo in situazioni ogni volta diverse dal punto di vista tattico e contenutistico, come da quello estetico: Outer heaven sarebbe certamente una nuova insidiosa giungla piena di animali velenosi e finti alleati ancora più velenosi di loro… con avamposti e caserme sparse sul territorio africano a far capo a Venom Snake.
Zanzibar Land è invece una location dell’asia centrale, un altro intero Stato-fortezza nel quale agire su obiettivi sensibili anche ad altezze maggiori, cui potrebbero corrispondere biomi differenti da quelli visti ad esempio in The Phantom Pain. Dalla foresta di conifere a zone collinose e innevate, distaccamenti in aree lacustri per consentire infiltrazioni subacquee nello stile dei primi due Metal Gear Solid e molto altro.
La modalità FOB: un’ottima idea da sviluppare a dovere
Le FOB (Forward Operating Base) di Metal Gear Solid V The Phantom Pain sono state un’ottima trovata per estendere enormemente la longevità del titolo, coerentemente con la nuova Mother Base costruita da Kazuhira Miller nell’attesa che Big Boss tornasse in vita.
Si tratta di una modalità divertente e sfidante, in cui ciascun giocatore cerca di invadere una base militare tenuta da altri player e infiltrarsi fino al suo “core” (il centro della struttura principale) per rubare soldati da aggiungere al proprio esercito, artiglieria e rifornimenti da far valere poi anche in battaglie simulate.
E chiaramente, con la possibilità per chi si difende di organizzare la propria base a piacimento (pur con molte limitazioni) e intervenire direttamente per difenderla qualora il difensore fosse connesso e beccasse l’intruso con le proverbiali “mani nella marmellata”.
Tuttavia si tratta di una modalità difficile da implementare in una storia “corposa” e teoricamente più lineare come quella di Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake, a meno di qualche aggiunta contenutistica che le giustifichi e, molto probabilmente, una leggera estensione della lore di gioco per poter logicamente inserire le battaglie FOB fra i giocatori.
In ogni caso l’auspicio è che questa modalità, in grado di divertire e intrattenere forse anche più di un classico PvP, possa tornare migliorata e potenziata (con più opzioni di personalizzazione tattica fra cui scegliere e ambienti non più solo marini con piattaforma off shore, ma piuttosto terrestri e variegati fra location naturale e strutture militari organizzate). E, aggiungerei, con tutto il supporto (e la reale manutenzione contro eventuali bug) di cui la stessa modalità su TPP avrebbe un estremo bisogno (vero, Konami?).
Le note in più che permettono di raggiungere la perfezione
Non tralasciamo tutta una serie di feature che non potevano esistere nei due giochi originali: il doppiaggio (ho letteralmente adorato Kaifer Sutherland nei panni di Venom Snake in The Phantom Pain, vorrei tornasse), e tutta la migliore effettistica del ciclo giorno-notte e il meteo dinamico di The Phantom Pain, con moderne tecnologie come il Ray Tracing a fare da sfondo alla storia, che speriamo possa trovare un connubio migliore fra libertà esplorativa e densità di contenuti e lore rispetto al quinto capitolo.
Anche l’intelligenza artificiale mi aspetterei che fosse al top: dopo tutto ciascun Metal Gear uscito fino ad oggi è stato un vero e proprio benchmark sotto questo aspetto.
Insomma, Kojima si diverte a giocare con il cuore dei fan, ma se dei remake venissero davvero realizzati nel modo giusto farebbero davvero del bene alla saga, e gli appassionati. Potrebbe essere l’ennesima “trollata” alla Kojima, avvezzo agli inganni come ben sappiamo, ma a volte il vero inganno sta nel fatto che la risposta più ovvia (e per questo subito scartata e contraddetta dallo stesso autore) potrebbe essere la cosa più vicina alla realtà.
Io da fan spero di vedere i Remake di Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake… perciò speriamo di tornare presto ad esaltarci sentendo la frase: “Kept you waiting uh?“.
Ti lascio, caro lettore, con una clip che ho recuperato su YouTube, giusto per rabbrividire ancora un po’: