Recentemente si è fatto un gran parlare a proposito di presunti remake, remastered e revival vari a proposito della serie di Metal Gear Solid, con la community solitamente molto divisa fra chi considera la saga oramai conclusa, in special modo per via dell’assenza conclamata di Hideo Kojima, e chi invece crede che studi di sviluppo e sviluppatori talentuosi avrebbero la verve giusta per proseguire una saga che ha fatto la storia e la leggenda dei videogiochi.
Metal Gear Solid, il passato e opportunità per nuovi titoli
La saga di Metal Gear ha visto un grande numero di titoli venir rilasciati su diverse console, persino dei card games. Alcuni sono di solito considerati più riusciti di altri, che si sono meritati qualche critica in più.
Alti e bassi
Personalmente credo che, tolti per un momento i due capitoli originali – ossia Metal Gear e Metal Gear 2: Solid Snake – che in quanto a lore non temono confronti, i restanti 5 capitoli più importanti abbiano a volte “abbassato la guardia” su alcuni aspetti, fra cui ritmo e caratterizzazione dei personaggi.
Fra questi credo sia d’obbligo iniziare con Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots. Il gioco si è distinto per un hype fuori dal comune da parte dei fan prima della release, – incoraggiata ad arte da Konami in quell’occasione – e per un gameplay finalmente evoluto rispetto ai canoni oramai stantii dei precedenti capitoli.
Tuttavia, mentre la scelta di Kojima di percorrere la via del tramonto di Solid Snake – con la sua anzianità di clone come metafora della sua stanchezza di combattere e forse di vivere – può essere condivisibile (anche considerando che l’ideatore aveva espresso più volte il desiderio di concludere una volta per tutte la saga), il ritmo mostrato da questo capitolo mi è parso decisamente inferiore agli altri, complice una caratterizzazione dei villain decisamente inferiore al passato, e a tratti inesistente.
Mi riferisco naturalmente alla scelta di proporre nelle boss fight nemici anonimi che riprendevano il loro nome da precedenti grandi villain di Metal Gear Solid come Vulcan Raven o Sniper Wolf, ma senza un briciolo di lore e caratterizzazione (oltre che immissione nell’intreccio della storia) al di là delle storie di fantasmi accennate da Drebin, personaggio sopra le righe che ho adorato (si, anche la scimmietta infame).
Impersonati da bellissime ragazze soldato dal volto quasi sempre coperto e dotate di ausili tecnologici a fornire loro abilità soprannaturali, le quattro sembravano dichiarare che non c’è più grande motivazione per inventare del nuovo, lasciando solo fantasmi del passato ma svelando parecchi lati oscuri della storia di cui i fan non riuscivano a venire a capo. Altri personaggi erano riciclati (come Vamp), ma la conclusione della saga del leggendario mercenario non mancò di commuovermi e conquistarmi come sempre.
Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è stato molto criticato per la sua struttura e per la presunta incompiutezza, oltre che per aver “peggiorato” quanto fatto con il predecessore, quel Ground Zeroes attaccato (giustamente) per un prezzo di lancio esagerato rispetto alla mole di contenuti proposti. Tuttavia anche su questi punti conviene soffermarsi, se si vuole avere una idea più definita di cosa ci si dovrebbe aspettare (o almeno sperare) per il futuro.
La quinta iterazione del franchise di Metal Gear Solid ha intrapreso la strada del free roaming, una decisione controversa – e probabilmente all’epoca imposta da Konami – che consentiva una certa esplorazione ma “diluiva” eccessivamente la struttura narrativa, oltre a facilitare troppo un gioco in cui, di base, un “one man army” dovrebbe sempre scegliere un approccio furtivo pena la morte, non avendo la chance di fuggire a rotta di collo in una singola direzione per rimediare alla sciocchezza di turno.
L’introduzione di un sistema di scoring legato ad headshots ed eliminazioni tattiche, insieme a un combat system che – senza timore di esagerare – rasenta la perfezione (ma in parte rovinato da un sistema di collisioni che necessitava di una ulteriore rifinitura) hanno elevato il titolo, ma comunque la perdita del senso di tensione in moltissime situazioni del gioco base (lasciamo le FOB multiplayer da parte per ora) è stata diretta conseguenza della nuova direzione open world intrapresa.
Molti dissero – e ancora oggi sostengono – che Ground Zeroes fosse stato il proverbiale passo avanti seguito da due indietro, ma una mia recente prova – l’ennesima – delle meccaniche dei due titoli a confronto ha rivelato una verità assai più amara: il troppo stroppia. Metal Gear Solid V: Ground Zeroes aveva con se delle meccaniche estremamente innovative ma anche legnose, imperfette, con numerosi bug e problemi che inficiavano la fluidità delle azioni.
Eppure, proprio una maggiore semplicità di approcci dovuta alla sua natura di demo e una struttura vasta ma comunque circoscritta garantivano una maggiore immersione, con meno ausili per individuare i nemici e un level design per forza di cose meglio studiato rispetto a una mappa enorme come quella di TPP.
La tensione che si prova nel girare fra le torri dotate di riflettori di GZ è maggiore, per via del senso di pericolo dato da soldati in pattugliamento poco visibili, veicoli utilizzati per ronde inaspettate mentre ciascuna guardia che il giocatore potrebbe aggredire e interrogare non conosce necessariamente la posizione dei compagni o informazioni utili alla missione, col risultato che solo un’attenzione costante e vigile può salvarci dall’incappare in pericolosi uomini armati dietro ogni angolo.
Anche in Metal Gear Solid V: The Phantom Pain però, a una lore estremamente interessante e ricca di segreti e colpi di scena incredibili corrispondevano dei villain assolutamente non all’altezza di “mostri sacri” del calibro di The End, l'”antico cecchino” affrontato da Naked Snake in MGS 3, lo Psycho Mantis di Metal Gear Solid, e lo stesso Revolver Ocelot, personaggi che hanno lasciato un marchio indelebile nella memoria dei giocatori di vecchia data.
Non sono d’accordo con le critiche sulla “incompiutezza” del titolo – anche data la sua natura di “traghettatore” ai fatti dei primi due capitoli – ma soprattutto considerando la forza delle vicende narrate e la denuncia violenta e brutale di Kojima agli orrori della guerra che non risparmiano nemmeno i bambini.
Non si può che lodare il peculiare multiplayer asincrono della modalità FOB, capace di creare una “guerra fredda perpetua” fra i giocatori, arrivando a sfidare la community a trovare il senso di umanità nel disarmo nucleare totale, sebbene questa modalità sia a mio avviso troppo slegata dal resto del gioco e dalla lore, e soprattutto ha subito un abbandono totale da parte degli sviluppatori, con una struttura di eventi ciclica ripetuta automaticamente.
Momenti di epicità non mancano – come lo scontro mortale con un redivivo Colonnello Volgin, avvolto dalle fiamme in una raffineria abbandonata dell’Africa sub-sahariana, anche se alcune cutscene potevano forse osare di più senza temere l'”effetto tamarraggine” che è proprio di quelle storie moderne che riprendono i canoni delle narrazioni anni Ottanta (chi si ricorda le frasi a effetto di Solid Snake in Metal Gear Solid, come “ci vediamo all’inferno Liquid!”?).
Cosa la saga di Metal Gear Solid potrebbe ancora offrire?
Nell’analizzare le possibilità che ancora la saga potrebbe percorrere, voglio partire dal motore propulsivo della stessa, ossia l’esperienza personale di Hideo Kojima e il rapporto con suo padre, il quale gli ha trasmesso – direttamente o indirettamente – nozioni preziose che il maestro ha impiegato nei suoi lavori fino ad oggi, a proposito del valore della pace e della necessità di lottare per essa, ma anche l’amore per il suo paese natale (che all’epoca della Seconda Guerra Mondiale era alleato della Germania nazista).
Il rapporto a volte difficile fra i due lo ha ispirato a creare un universo che vede due grandi protagonisti – Solid Snake e Big Boss – alle prese con i medesimi dubbi, la crescita personale di entrambi e gli onnipresenti omaggi al Giappone, ma ora che la saga sembra arrivata alla conclusione e ci si interroga se non ci sia ancora altro da dire.
La contemporaneità ci propone un mondo sconvolto dalla pandemia globale – ironicamente una minaccia simile era stata “prevista” da Kojima in Metal Gear Solid V The Phantom Pain – e lo stesso Hideo ha sottolineato che sta riflettendo sul modo in cui essa si ripercuote sulle vite delle persone, individui resi ancora più isolati ed egoisti di quanto non fossero già, in una società fortemente atomizzata e votata esclusivamente all’autorealizzazione tramite fama e ricchezza.
Ma i personaggi principali della saga sono tutti scomparsi o giunti a un’inevitabile requiem. Dunque cosa resta se non i remake del passato?
Hideo non più nel progetto, fra gloria passata e lo sguardo al futuro
Che Kojima sia ormai fuori da Metal Gear è storia, e la via dei remake sembra la più sicura da percorrere in sua assenza.
Non conosciamo i fatti, ma Konami è stata a mio parere molto più che scorretta con la saga, il suo creatore e i fan. Al netto di possibili errori di valutazione dello stesso Kojima, certe scelte mi appaiono palesemente in contraddizione con il lavoro intellettuale da lui svolto, e le forzature che abbiamo visto (in ultimo lo sciacallaggio compiuto con il cosiddetto “Metal Gear Survive”) ne sono la prova evidente.
Tuttavia la pur dignitosa opzione Bluepoint per far scoprire alle nuove generazioni e ai veterani capolavori passati rinati con le moderne tecnologie non è la sola sul tavolo, soltanto la sola percorribile senza il coinvolgimento del creatore della serie.
Io credo che realizzare un remake di titoli del calibro dei primi due Metal Gear pubblicati su piattaforma Nintendo, a ben più di 30 anni di distanza, non sarebbe semplice neppure per questo talentuoso studio, mentre rifare il primo Metal Gear Solid dell’epoca della prima PlayStation sarebbe una grande mossa ma non altrettanto d’impatto.
La complessità della trama e dei protagonisti dell’universo di Metal Gear Solid imporrebbe certamente integrazioni in dialoghi, dinamica delle scene di intermezzo, caratterizzazione dei personaggi ora visibili in ogni loro ruga e atteggiamento e vere e proprie sezioni da creare ex-novo per dare senso a vicende da vivere nei canoni mediali odierni ma restando fedeli alla visione originale di Kojima e i valori mai banali o retorici da lui sempre apportati. Ergo: il rischio di tradire tale visione è altissimo.
Le altre opzioni percorribili per dare nuova linfa alla serie – al di là del sogno sognato dai fan di sguazzare nel fango di Zanzibar Land di notte e picchiare selvaggiamente Gray Fox mentre l’inferno esplode sul campo minato che li circonda – sono la scoperta della giovinezza di certi personaggi, come la leggendaria The Boss e la sua Unità Cobra, e la strada della prosecuzione della storia da dove ci eravamo interrotti (Guns of the Patriots, ambientato in un distopico 2014).
In entrambi i casi però, io credo che le probabilità di fallire in assenza di Kojima, o di un timoniere ideale che ne comprenda in pieno la psiche e i valori, giustifichino un eventuale ripensamento da parte di Konami.
Un nuovo sguardo a un futuro passato ancora più remoto
L’opzione di vivere la giovinezza di The Boss, in un Metal Gear Solid 6 ancora una volta prequel dei suoi predecessori non sarebbe da scartare. Vivere gli eventi di come la donna abbia acquisito le sue straordinarie capacità di combattimento, i suoi valori e la sua visione estremamente lucida del futuro nonostante le ombre terrificanti di un epoca realmente oscura e brutale, potrebbe regalare emozioni davvero importanti.
L’eroina che salvò il mondo, affrontando l’infamia della storia e dando inizio a una saga di eroi leggendari avrebbe certamente presa sul pubblico. Naturalmente però, le parole d’ordine dovrebbero essere di nuovo “no alla retorica”, perché di storie da quattro soldi sugli “americani buoni e santi” che combattono i tedeschi “cattivi e spietati” ne abbiamo viste fin troppe, con sprechi enormi di budget per narrazioni fini a se stesse (l’esempio più immediato che mi sovviene, Call of Duty WW2).
Il passaggio da un cieco e ingenuo patriottismo alla rabbia del tradimento, e la reazione furiosa sono temi già visti in alcuni dei precedenti capitoli della saga, mentre scoprire le origini di “The Joy“, la donna che portava la suddetta emozione in battaglia al fianco di eroi leggendari poi decaduti al grado di villain potrebbe avere ben più appeal.
Prima ancora di riflettere sulla necessità di mantenere un punto di vista relativo sulle contese mondiali fra gli Stati, e cercare di rendere il mondo unito senza ricorrere all’uso della forza ma facendo la propria parte nel non calpestare gli altri, la donna amata da Big Boss come una madre aveva certamente altri sogni e speranze.
Partendo dal rispetto per il padre (uno degli originali “Filosofi” che controllavano il mondo da dietro le quinte) fino all’amore con il soldato russo poi noto come “The Sorrow”, e la nascita dell’unico figlio della donna, un ragazzo con un talento attoriale da fare invidia al nostro Giancarlo Giannini, e che avremmo conosciuto come Ocelot.
La chance per un nuovo universo
Hideo Kojima ha dichiarato molte volte che non solo il suo vissuto, ma anche la realtà e le sue contraddizioni lo ispirano nel creare videogiochi. Death Stranding, con il suo mondo dilaniato dalla separazione e dalla distanza ne è un chiaro esempio. Ma se anche Konami decidesse di far pace con il leggendario sviluppatore, e gli proponesse una nuova partnership, cosa sarebbe lecito attendersi per la saga stealth per antonomasia, tralasciando ciò che è già stato?
Alla fine di Metal Gear Solid 4, Solid Snake si avvia a vivere gli ultimi anni della sua vita sempre sul filo del rasoio… in pace. Big Boss è morto come è sempre vissuto, cercando di usare la sua abilità e il suo stesso essere per una causa più grande (l’America, la libertà dei popoli, suo figlio), ma per qualche anno Solid potrà riposare e vedere il mondo liberato dalle cospirazioni dei Patriots, grazie alla piccola e dolce Sunny, la figlia di Olga Gurlukovich.
Le possibilità narrative vertono su un mondo a noi contemporaneo che ha fatto un passo indietro dopo la distruzione di intelligenze artificiali come GW. Un probabile parziale smantellamento di una rete di guerre per contratto scatenate da un software e combattute da pedine nelle mani delle PF (Private Forces), e la fine di meccaniche inquietanti come l’uso di nanomacchine per far sì che le armi possano essere usate solo da certi soggetti potrebbero creare le basi per nuove direzioni.
Naturalmente, la prima cosa da fare quando si cerca un eroe – che è tale non per scelta e autocompiacimento ma perché costretto dagli eventi e dal suo stesso vissuto – è creare un cattivo. Non direttamente un villain, o un’organizzazione, ma dei contro-ideali, dis-valori che per forza di cose non sono nuovi nella storia umana ma hanno la cattiva abitudine di ripresentarsi nelle forme più svariate.
Sono le tragedie del mondo reale, dal Covid-19 alla belligeranza di molti paesi (non solo la Cina) e il non rispetto dei diritti umani, delle donne, dei bambini, degli omosessuali e dei “diversi” in ogni modo possibile a rappresentare quei villain.
E un racconto “alla Kojima” è tale perché, nonostante tutti gli intrighi e gli inganni, la “tamarragine” e l’uso in prestito di immaginari cinematografici di matrice statunitense, il cuore vero dell’esperienza è pensato per far riflettere e porre il giocatore nei panni di un uomo (o una donna) che in realtà vuol essere egoista tanto quanto gli altri, ma le cui azioni eroiche nell’entrare in contatto con il dolore altrui parlano in sua vece.
L’immaginario che oggi esiste a proposito della saga di Metal Gear Solid è sconfinato, complesso e impossibile da cancellare con un colpo di spugna, ma fra tutti i soldati che abbiamo visto combattere nei precedenti capitoli, anche quelli che erano troppo piccoli per reggere da soli un fucile, un nuovo protagonista potrebbe sorgere.
Uno o più personaggi da inserire in storie e immaginari nuovi si potrebbero certamente trovare, al netto di quelli già noti ai fan come Sunny oppure il figlio che Raiden ha avuto dalla compagna Rose, così come nuovi inquietanti villain basati su paure e paranoie isteriche dei nostri giorni. Chiunque dovesse poi tornare a combattere, infiltrarsi e vivere costantemente in guardia per non farsi soffocare dall’odio avrebbe ancora l’esempio di Solid Snake, ancora vivo nella battute finali di MGS4 sebbene in solitudine.
Le direzioni possibili sono moltissime, e ancora di più le possibili derivazioni di fantapolitica “kojimiana” legate agli sviluppi storici degli ultimi 30 anni e alla contemporaneità (senza scadere ovviamente nella banalità che deriverebbe dal trattare di petto i temi scottanti che viviamo e che non possiamo ancora comprendere fino in fondo). E, rimanendo in tema di possibilità narrative, chi è il bambino sud-americano che appare alla fine del filmato conclusivo di Metal Gear Solid 4?