Metroid Samus Aran indossa la sua armatura e si prepara ad un viaggio interspaziale che resterà per sempre impresso nelle menti dei videogiocatori.
Giappone, 1966. Un giovane ingegnere di un’azienda qualsiasi, dopo aver terminato i sistematici controlli di routine sui macchinari di cui è responsabile, si prende una piccola pausa. Guardando il paesaggio al di là dei finestroni, le case e i palazzi intorno alla fabbrica non lasciano tanto spazio alla vegetazione. Può solo immaginare le foglie dorate, castane e scarlatte che vengono trascinate via dai flutti del vicino fiume Kamo.
Con un sospiro annoiato, passa per l’ennesima volta in rassegna i nastri trasportatori gremiti di carte da gioco. Poi gli sovviene un modo per spezzare la monotonia. Corre alla sua postazione, apre un cassetto e ne estrae un bizzarro arnese realizzato da lui stesso nei mesi precedenti. Si tratta di una specie di pantografo. E’ costituito da una serie di asticelle di metallo che hanno la capacità di estendersi e ritrarsi, a seconda di come viene manipolata l’impugnatura, simile a quella di una forbice.
L’altra estremità è in grado di afferrare e sollevare piccoli oggetti, funzione che il talentuoso inventore mette subito in pratica con le carte Hanafuda che i dispositivi devono ancora riordinare e confezionare. Salvo rendersi conto dopo poco di aver compiuto un errore madornale: quel giorno, infatti, il presidente della società sta svolgendo la consueta visita periodica degli stabilimenti, e fa il suo ingresso nello stanzone proprio mentre l’audace dipendente stringe a mezz’aria una tessera che reca stampati una gru sovrastata da un sole rosso fuoco su sfondo bianco.
Atterrito, il ragazzo lascia cadere la tenaglia artigianale e si scusa per l’accaduto. Il direttore la raccoglie e trascorre qualche minuto in silenziosa contemplazione della stessa. Poi la requisisce e si allontana.
A questo punto, chiunque si aspetterebbe una decisa reprimenda. Con il rischio tangibile di licenziamento in tronco per l’impiegato colto in flagrante a gingillarsi sul posto di lavoro. Ma per portare avanti la storia è necessario fare sia una precisazione che una rettifica: la seconda riguarda l’impresa nella quale si sono svolti gli eventi, che non è esattamente un’azienda qualsiasi ma la Nintendo Company Ltd. La prima è relativa al suo presidente, ovvero Hiroshi Yamauchi.
Il destino ha trasformato un incidente in opportunità
Destino vuole che fosse da anni in cerca di un’idea per espandersi oltre il solo mercato delle carte da gioco, divenuto sempre meno redditizio, e che avesse ravvisato in quel curioso strumento le potenzialità per riuscirci. La produzione in massa e la distribuzione del giocattolo, ribattezzato Ultra Hand, messo insieme un po’ alla buona dall’intraprendente neolaureato, che risponde al nome di Gunpei Yokoi, avrebbe infatti risollevato le sorti della ditta e contribuito a lanciarla nel mondo dell’intrattenimento casalingo e videoludico. Sarebbe stato istituito un nuovo dipartimento di ricerca e sviluppo, affidato allo stesso Yokoi, mentore del leggendario Shigeru Miyamoto nonché autore e produttore di alcuni fra i titoli più iconici mai realizzati dal marchio, come Kid Icarus e, per l’appunto, Metroid.
Space Hunter
Il primo titolo della saga ci cala nei pesanti stivali di Samus Aran, un cyborg cacciatore di taglie appena approdato sul pianeta Zebes. Su questo pianeta si erge il quartier generale dei temibili Pirati Spaziali che, in seguito all’assalto di una nave della Federazione Galattica, hanno catturato una misteriosa forma di vita conosciuta come Metroid. I pirati sono intenzionati a sfruttarne i devastanti poteri per portare avanti i loro propositi di conquista.
Samus deve perciò esplorare i labirintici cunicoli di Zebes, raccogliere i potenziamenti necessari per oltrepassare gli ostacoli ed i nemici più impegnativi, sconfiggere i boss intermedi e raggiungere Mother Brain, leader e cervello (in tutti i sensi) dell’organizzazione.
Uscito nel 1986 in Giappone, l’anno successivo negli Stati Uniti e quello dopo ancora nel resto del mondo, Metroid offre una formula base molto familiare ai giorni nostri. All’epoca però un platform con elementi da sparatutto e livelli sviluppati sia in orizzontale che in verticale inseriti in un contesto di esplorazione libera, benché limitata dal tipo e dal numero di power up raccolti, rappresentava qualcosa di realmente innovativo. Qualcosa di lontano dalla linearità cui i giocatori erano stati abituati da Super Mario Bros., Alex Kidd o Ghosts ‘n Goblins e molto più affine invece alle atmosfere pseudo-ruolistiche di un The Legend of Zelda.
Il rovesciamento degli schemi elaborato da Yokoi avrebbe dato alla luce un vero e proprio sottogenere della categoria action adventure denominato Metroidvania, portmanteau dello stesso Metroid e di Castlevania.
Pur essendo il precursore del genere esplorativo a piattaforme, il primo Metroid non obbliga il giocatore a tornare troppo spesso sui propri passi per raccogliere tutti gli oggetti necessari al prosieguo dell’avventura. Il processo viene leggermente aggravato a causa del sistema di salvataggio: su disco nella versione giapponese e tramite password in quella occidentale. Purtroppo non ripristina la salute del nostro cacciatore spaziale così com’era allo spegnimento della console, ma la riduce alle sole 30 unità iniziali. Questo forza alla caccia di potenziamenti utili al reintegro dell’energia prima di affrontare i passaggi più impegnativi.
Altri difetti congeniti presenti e più o meno rilevanti sono, ad esempio, la mancanza di un qualsivoglia tipo di mappa. Manca anche una seppur minima delucidazione delle funzionalità del nostro equipaggiamento all’interno del gioco, anche se per queste ultime possiamo ripiegare sul cospicuo manualetto. E aggiungiamo l’impossibilità di rivolgere il fuoco del cannone da braccio di Samus verso i nemici che strisciano sul terreno. La peculiare Morph Ball (qui nota come Maru Mari, dal verbo marumaru che può significare grossomodo chiudersi a palla) serve infatti solo a ridurre le dimensioni del personaggio. Questo per agevolare la sua manovrabilità e non , almeno in questo episodio, per essere usata in maniera offensiva.
Si tratta comunque di lacune imputabili alla natura pionieristica di Metroid, raffinate e corrette con i suoi discendenti. Di queste prendiamo atto soltanto oggi che i nostri occhi sono abituati a ben altro, ma che all’epoca accettavamo di buon grado come parte del livello di difficoltà del gioco.
Innegabile merito dell’originale, comunque, oltre alla stesura delle primitive ma robuste fondamenta del genere, è quello di aver introdotto, sempre in formato elementare, i concetti di speedrun e di sequence breaking. Il primo. legato al tempo impiegato per il completamento dell’avventura, premia il giocatore con uno dei cinque finali disponibili. Il secondo è la possibilità di svincolarsi dalla sequenza di azioni necessaria per terminare il gioco ottenendo l’accesso a zone o a potenziamenti teoricamente preclusi. Questo con una serie ben precisa di mosse, al fine di facilitare il buon esito della speedrun. Entrambe le nozioni verranno poi integrate in maniera più esplicita nei vari sequel. Diventeranno assieme alle altre caratteristiche distintive del titolo (power up sequenziali, esplorazione libera, finali segreti) parte integrante della struttura di ogni action adventure che si rispetti.
E non dimentichiamoci poi che, sebbene la guida si riferisca a Samus al maschile, tre dei cinque finali svelano che in realtà la pesante armatura nasconde una fanciulla dai capelli biondi. Lo sprite li ha castani, ma gli artwork e le iterazioni successive consolideranno la chioma della cacciatrice come dorata, conferendole l’invidiabile primato di essere una delle prime eroine in assoluto nella storia dei videogiochi.
A completare il quadro già sufficientemente esemplare troviamo una colonna sonora composta da Hirozaku “Hip” Tanaka. Le melodie sottolineano alla perfezione l’angosciante senso di solitudine che pervade la missione di Samus, trascendendo i limiti dell’hardware dell’epoca anche grazie al suo contributo nella progettazione dello stesso.
Metroid II: Return of Samus
Gli albori degli anni ’90 hanno visto il ritorno in grande stile della cacciatrice spaziale. Stavolta su un’altra creatura partorita sempre dall’eclettica mente di Gunpei Yokoi: il Game Boy. Questo oggetto ha dominato per anni il mercato delle console portatili. In Metroid II: Return of Samus, la protagonista viene inviata sul pianeta nativo dei Metroid, SR388, per indagare sulla sparizione di due interi squadroni della Federazione Galattica. La responsabilità di eliminare ogni singolo esemplare della razza aliena, che qui incontreremo in diverse fasi della loro evoluzione, per evitare ulteriori danni alle altre specie senzienti dell’universo ricadrà sulle sue spalle corazzate.
Anche in questo caso, la storia ed i dettagli relativi al nuovo equipaggiamento in dotazione sono rintracciabili nel libretto di istruzioni. Il nostro alleato più affidabile nel corso della missione.
Alcune delle novità
Le novità introdotte nel secondo capitolo rifiniscono molti degli aspetti più criticabili del predecessore. Ad esempio la presenza di punti di salvataggio ben precisi al posto delle password, o la memorizzazione automatica dopo ogni morte. Finalmente vengono conservati i progressi raggiunti. O ancora la visualizzazione dei power up raccolti che consente di capire a colpo d’occhio quale oggetto abbiamo acquisito senza ricorrere al manuale.
L’attrezzatura a disposizione di Samus è inoltre stata arricchita ed annovera diverse varianti di raggi e di Morph Ball, che implicano di conseguenza l’introduzione di nuovi enigmi ambientali altrimenti impossibili da affrontare nell’originale, mentre la possibilità di inginocchiarsi permette infine di obliterare tutte quelle fastidiose creature che serpeggiano al di sotto della cintola.
Il formato monocromatico del Game Boy ha costretto gli sviluppatori a ripiegare sulla modifica degli sprite per evidenziare le differenze fra zone e avversari. Il piccolo display in bianco e nero non era infatti in grado di replicare con sufficiente chiarezza le sfumature di colore adottate nell’originale. Tale decisione si è tuttavia tradotta in uno dei punti di forza del titolo, che presenta un invidiabile livello di dettaglio in termini di scenari ed assortimento di nemici. L’aggiunta di spalline più massicce all’armatura di Samus per indicare l’acquisizione della Varia Suit è divenuto un tratto distintivo fondamentale della serie.
Cacciatori rotolanti
Uno dei poteri più rappresentativi dell’armatura di Samus è sicuramente quello di potersi trasformare nella Maru Mari, o Morph Ball, una sfera di dimensioni ridotte grazie alla quale la nostra eroina può intrufolarsi in luoghi altrimenti inaccessibili. Ogni titolo della serie include l’utilizzo della Morph Ball, persino i capitoli tridimensionali, perciò è buffo pensare che la sua creazione sia dovuta alla semplice incapacità di sviluppatori e grafici dell’epoca di realizzare uno sprite di Samus carponi che risultasse anche accettabile da guardare, soprattutto in movimento. La soluzione fu perciò quella di modificare il suo aspetto in una palla, molto meno complessa da mostrare.
La galassia era in pace…
Il 1994 è l’anno in cui la cacciatrice spaziale emerge dalle cavernose profondità dell’epoca 8bit per affacciarsi sulle ricche distese del 16bit Nintendo ed imprimere a fuoco quelle che diverranno le caratteristiche imprescindibili del genere negli anni a venire.
Super Metroid si apre con una breve introduzione animata che riepiloga le imprese compiute da Samus nei precedenti capitoli. Dopodiché ci catapulta in battaglia contro il redivivo Ridley, antagonista di Metroid, alle cui temibili dimensioni l’hardware del Super Nintendo può invero rendere giustizia. Ridley sottrae alla Federazione l’ultimo Metroid esistente e fugge su Zebes, dove scopriremo che l’intera gerarchia dei Pirati Spaziali è stata ricostruita. Anche questa nuova avventura non brilla certo per spessore della trama. Costituisce al solito un semplice pretesto per la discesa in campo di Samus e sembra, di fatto, un mero rimaneggiamento degli eventi del primo episodio. Super Metroid arricchisce il contesto folcloristico con tanti piccoli dettagli relativi alle razze che popolano questo universo distopico. Su questi però i sequel sapranno tornare con maggiore efficacia. Il colpo di scena finale lasciò comunque i giocatori di stucco.
Gli sviluppatori non hanno mancato di tenere conto delle opinioni dei videogiocatori
Il team di sviluppo fece tesoro dei numerosi feedback ricevuti ed introdusse una serie di migliorie sostanziali che resero l’esperienza di gran lunga più coinvolgente. Su tutte la descrizione a video per ogni potenziamento raccolto; una mini mappa esplicativa per orientarsi fra le decine di schermate presenti; la possibilità di selezionare il tipo di arma più utile alla circostanza con la semplice pressione di un tasto. Oltre a ciò, il gran numero di nemici diversi (quattro volte tanto quelli inseriti nel primo Metroid), le incredibili dimensioni dei boss (Kraid occupa ben cinque schermate) e l’estrema pluralità di approcci per il raggiungimento degli obiettivi, che permette di non affrontare mai due partite nello stesso modo a meno che non si voglia procedere intenzionalmente in tal senso, hanno reso Super Metroid l’autentico emblema della saga. Un esempio da manuale di come dovrebbe essere strutturato qualsiasi sequel degno di essere chiamato tale.
Tuttavia, anche se può sembrare un paradosso, al capolavoro pubblicato su Super Nintendo seguì un periodo di latitanza durato quasi dieci anni, che privò sia la revisione a colori del Game Boy, il Color, che la console di quinta generazione della casa di Kyoto, il Nintendo 64, di un capitolo che ne potesse sfruttare l’hardware migliorato di entrambe, fatta eccezione per l’inserimento di Samus nel roster di lottatori dell’acclamato Super Smash Bros.
Tale mancanza venne poi imputata alla prematura scomparsa di Gunpei Yokoi nel 1997. In aggiunta alla difficoltà nel realizzare un successore del precedente Super Metroid all’altezza delle aspettative.
Alla fine, il Nintendo Research and Development 1 riuscì a superare il blocco creativo confezionando Metroid: Fusion per Game Boy Advance. Si tratta dell’ultimo portatile targato Nintendo ad essere espressamente dedicato alla grafica bidimensionale. Il gioco parte dalla conclusione del terzo titolo e costruisce una narrativa stavolta davvero consistente, con sfumature da survival horror. Samus scopre infatti a sue spese che l’epurazione dei Metroid dal pianeta SR388 ha causato la proliferazione di un organismo chiamato Parassita X. Il parassita si moltiplica a dismisura negli ospiti infettati e li uccide prendendo possesso dei loro corpi.
Samus sembra vicino alla fine, ma…
La cacciatrice viene a sua volta contaminata dal parassita. Una provvidenziale somministrazione di un siero contenente il DNA dei Metroid, preservato dai laboratori della Federazione Galattica, riesce però a limitare gli effetti del contagio ed a salvarle la vita. Ora, con indosso un’armatura pesantemente modificata, è compito di Samus annientare queste letali forme di vita e scoprire le loro origini, legate a doppio filo con l’esistenza dei Metroid e con la razza di esseri superiori che li ha creati in primo luogo.
La storia viene sviscerata a dovere nel corso dell’avventura grazie all’interazione con l’intelligenza artificiale che ci guida ed ai monologhi della stessa Samus. Risulta godibile soprattutto per quanti non erano soddisfatti dal mancato approfondimento dell’universo di Metroid nei passati episodi. Metroid: Fusion alza ancora una volta l’asticella del genere, conservando gli aspetti migliori di Super Metroid. Ne affina però anche gli spigoli più ruvidi, come i comandi configurati ad hoc o la precisione nel controllo di salti e movimenti.
L’introduzione di nuove meccaniche consentono di combattere restando aggrappati alle scale o al soffitto. In questo modo arricchiscono l’esplorazione e gli scontri con i boss. La sottile inquietudine che si materializza una volta incontrato un rivale particolarmente pericoloso è il completamento ideale della sensazione di isolamento che si respira fin dall’originale. Soprattutto quando continuerà a darci la caccia nel corso del gioco.
Nonostante una maggiore linearità complessiva, dovuta alla trama che funge da collante agli eventi, Metroid: Fusion rappresenta l’apice degli episodi in 2D della serie. Prospettiva che quello stesso anno sarebbe cambiata con una scommessa davvero azzardata…
Un lampo di luce da una stella solitaria contemporaneamente alla realizzazione dell’episodio per Game Boy Advance. Nintendo affidò ai Retro Studios, sussidiaria di base in Texas, la responsabilità di trasporre in chiave videoludica un’altra porzione della lunga e travagliata carriera di Samus, da collocare subito dopo la risoluzione degli eventi descritti nel primo Metroid. Non solo: grazie alla potenza di calcolo offerta dal neonato Nintendo GameCube, il gioco avrebbe abbandonato la consueta impostazione di platform a scrolling orizzontale per condividere il medesimo punto di vista della cacciatrice all’interno della sua armatura. La trasformazione in un’avventura in prima persona all’epoca dell’annuncio scatenò un’ondata di scetticismo da parte degli appassionati più fedeli.
Un successo contro le aspettative
Ad ogni modo, e contrariamente alle aspettative, il nuovo “interquel” della saga ottenne l’attenzione e i riguardi che meritava anche da parte dei più dubbiosi. Si è affermato così quale solida reinterpretazione in chiave tridimensionale del genere. Sebbene la formula utilizzata fosse molto simile al vecchio Super Metroid, Retro utilizzò quest’ultimo come base per mantenersi fedele alle sue origini. Impreziosendolo però con controlli precisi e ben calibrati che nulla tolgono alla caratteristica esplorazione a base di piattaforme ma, anzi, riescono a sfruttare adeguatamente gli elementi di sfondo per dare la giusta sensazione di “presenza” del corpo di Samus.
Samus e i Chozo
La storia approfondisce inoltre il legame fra Samus e i Chozo. I Chozo sono umanoidi dalle fattezze aviarie che l’hanno cresciuta dopo la morte dei suoi genitori biologici e ai quali deve buona parte delle sue capacità sovrumane. La storia offre la possibilità di addentrarsi ulteriormente nella mitologia del mondo di Metroid grazie ai vari log. Sono recuperabili lungo i livelli e vengono salvati nel visore, disponibili per la lettura in qualsiasi momento. Si tratta di un modo davvero ingegnoso per elargire un gran numero di dettagli a quanti vogliono ricercarli. Questo però senza spezzare il ritmo di chi invece vuole soltanto lasciarsi coinvolgere dall’azione di gioco.
Le vicende continuano a dipanarsi nei capitoli successivi. Parliamo di Metroid Prime 2: Echoes, rilasciato sempre su GameCube, e Metroid Prime 3: Corruption, pubblicato invece su Nintendo Wii.
Quest’ultimo, come il successivo Wii U, ha anche beneficiato di una raccolta chiamata opportunamente Metroid Prime Trilogy, al cui interno sono contenuti i tre episodi della mini-serie con un comparto grafico rivisitato per essere al passo con i tempi e controlli resi molto più intuitivi dal Wiimote, che consente di muoversi con estrema facilità nelle tre dimensioni.
Della stessa fanno anche parte Metroid Prime Pinball, curioso riadattamento in foggia di flipper multilivello della storia di Metroid Prime realizzato per Nintendo DS, la proficua console portatile dotata di touchscreen. Metroid Prime: Hunters, altro capitolo in 3D sempre per DS sviluppato dalla divisione americana di Nintendo e focalizzato sulla componente sparatutto. Per finire Metroid Prime: Federation Force, rilasciato di recente su Nintendo 3DS ed ambientato dopo la conclusione di Metroid Prime 3: Corruption. Spin-off nel quale veniamo calati nei panni di un gruppo di soldati della Federazione Galattica che utilizzano in battaglia degli esoscheletri ispirati all’armatura di Samus. Si tratta di un gioco pensato prevalentemente come FPS competitivo a squadre.
SAMUS ARAN: UN NOME DA CAMPIONI DEL MONDO
Inizialmente, sia “Samus” che “Aran” vennero considerati nomi dalle origini vagamente irlandesi.
il primo era simile ad un adattamento alternativo di Séamus, ovvero James, il cui significato, “colui che conquista”, sembrava molto adatto alla cacciatrice spaziale.
le Aran sono invece tre isole al largo delle coste occidentali dell’Irlanda.
Tuttavia, in tempi recenti Yoshio Sakamoto e Hiroji Kiyotake, rispettivamente game designer e character designer della saga, hanno confessato la reale origine del nome.
deriva da una traslitterazione errata del vero nome di Edson Arantes do Nascimento, ossia il leggendario Pelé.
La scelta a causa dell’irrefrenabile passione di Kiyotake per il calcio.
Zero Mission
Due anni dopo Metroid Prime, i proprietari di Game Boy Advance hanno potuto mettere le mani su Metroid: Zero Mission. Invece di ampliare il racconto delle gesta della cacciatrice spaziale, ripropone il primo Metroid con l’accattivante veste grafica di Metroid: Fusion. In tal senso, riesce a centrare l’obiettivo con un’eccellente rinfrescata a livello tecnico dell’originale.
Purtroppo l’inclusione delle numerose migliorie sviluppate nel corso degli anni non è stato seguito da un adeguato restauro degli enigmi presenti nel corso dell’avventura. Soprattutto la mitigazione eccessiva dei danni inferti dai nemici e dagli ostacoli ambientali l’hanno reso un titolo splendido da vedere ma fin troppo facile da completare per i fan di lunga data. Resta comunque un ottimo modo per introdurre la saga ad una nuova generazione di giocatori. Segna inoltre la prima apparizione di Samus al di fuori della sua pesante armatura, fasciata dall’attillatissima Zero Suit blu. Da allora è divenuta un altro degli elementi caratterizzanti della serie.
Super Metroid è stato di nuovo chiamato in causa all’uscita di Metroid: Other M su Nintendo Wii. Ne rappresenta una continuazione ancora più diretta di quanto non fosse Metroid.
Fusion e un gradito ritorno alle origini grazie all’inquadratura in terza persona e all’inserimento di fasi a piattaforme sia in due che in tre dimensioni. Risultato di una collaborazione congiunta fra Nintendo Software Planning & Development, D-Rockets e Team Ninja, il titolo può contare su un’ottima resa grafica e un sistema di combattimento frutto dell’esperienza maturata con i picchiaduro dagli sviluppatori sotto etichetta Koei Tecmo. Purtroppo non rimase impresso nella memoria degli appassionati a causa dell’estrema linearità e di quella che venne percepita come un’autentica decostruzione del personaggio di Samus Aran. Da sempre emblema di coraggio, autorevolezza e determinazione, qui invece viene mostrato a detta di molti in maniera fin troppo vulnerabile. Il suo insuccesso spinse Nintendo ad accantonare momentaneamente il franchise.
Il destino della cacciatrice spaziale resta dunque in sospeso. L’impronta che ha lasciato negli annali della storia videoludica continuerà però per sempre a brillare di luce propria.