Per ogni videogiocatore che si rispetti esiste un evento che non può mai essere saltato o dimenticato, una fiera dove ogni anno si scoprono giochi nuovi, si provano titoli in anteprima e ci si rende sempre più conto di non essere i soli ad avere la passione per i videogiochi. La Milan Games Week la conosco bene anch’io proprio per i motivi che vi ho appena elencato ma, quest’anno, ho avuto la possibilità di viverla in maniera completamente diversa. Dopo un paio di anni che ho iniziato a scrivere e a parlare di videogiochi su Internet, grazie ad iCrewPlay, sono finalmente riuscito ad accedere alla fiera con il pass stampa. La cosa che non mi sarei mai aspettato di ottenere da un rettangolo di carta con sopra stampato il mio nome, però, è stata la possibilità di entrare, anche se solo per pochi minuti, nelle vite dei tanti sviluppatori italiani presenti in fiera.
Passando del tempo con chi era già esperto del settore videoludico e con chi invece ci era appena approdato, con sviluppatori con oltre 30 giochi alle spalle e con ragazzi alla loro prima esperienza, mi sono accorto di diversi importanti collegamenti fra le loro parole. E sono questi collegamenti ad avermi dato lo spunto per poter parlare, anche solo per questa volta, non dei videogiochi, ma delle persone che ci stanno dietro e che tendiamo troppo spesso a dimenticare quando abbiamo il pad in mano. Ho scoperto infatti che conoscere i volti, le risate, le esperienze e le fatiche di chi un gioco lo ha creato dona un nuovo valore al gioco stesso.
Sono passato in poche ore dal’incontro con Francesco Bruschi, capo di 3DClouds, che con altri 15 sviluppatori ha riposto i propri sogni da pilota in Xenon Racer, fino a parlare con Umberto Parisi, retrogamer di vecchia data, che da solo, armato di pura passione e talento, sta creando la propria versione digitale dei racconti di Lovecraft tramite Mountains of Madness. Ho incontrato i ragazzi di Vanth Studio, rimanendo emozionato dal significato del loro Emigrant Song, ho giocato a Noiz mentre gli sviluppatori facevano il tifo per me e sono stato brutalmente sconfitto da Gabriele ad un duello all’ultimo sangue nel suo delirante FLY PUNCH BOOM!.
Sia chi stava dietro al progetto più maturo, complesso e rifinito, sia chi si è presentato con poco più di una manciata di idee, era presente in fiera perché era quello che voleva fare in quel momento, anche attraversando avversità, sacrificando ore di sonno e, a volte, addirittura puntando tutto su di un singolo progetto. Gli sviluppatori che ho incontrato mi hanno mostrato, sempre con il sorriso stampato in faccia, una capacità di adattamento fusa a talento, idee sorprendenti nate dal sudore e tanti tanti sacrifici.
Addentratomi nell’avventura dello scoprire cosa volesse dire essere uno sviluppatore Indie, mi sono ritrovato di fronte a tante realtà differenti, come se stessi continuamente cambiando l’ambientazione di un gioco. In questo gioco, ogni volta, era presente una nuova principessa da salvare e un differente nemico da sconfiggere. Proseguendo, però, mi sono lentamente accorto che, negli occhi di tutti gli eroi che incontravo, stavo ritrovando sempre lo stesso luccichio. La luce nei loro occhi non dipendeva da quanto erano affilate le loro armi, da quanto fossero durevoli le loro corazze o da quanto fosse lontana la principessa da salvare, la luce dipendeva solo dal fatto che, nonostante in molti non avessero l’attrezzatura migliore per affrontare le avversità, stavano vivendo la loro avventura.
Passando in mezzo a quella foresta di schermi intrisa di sogni e passione non ho potuto non pensare quanto fossi orgoglioso di loro ed è a tutti loro che chiedo di conservare quel luccichio, di non dimenticare, magari tra anni, da dove sono partiti. Anche un piccolo mucchietto di pixel tenuto insieme da poche righe di codice, se assemblato con passione e cura, può fare il giro del mondo e trasmettere il proprio messaggio a tutti coloro che lo incontreranno. E non è sempre necessario che questo messaggio abbia tematiche importanti e faccia riflettere, a volte basta solamente che faccia divertire perché troppe volte, quando ci fermiamo ad analizzare grafica, meccaniche e gameplay, ci scordiamo di lasciarci andare ed essere felici.