Ad appena ventisette anni, scrivere la premessa di questa recensione mi farà sentire un vero boomer.
L’utenza videoludica che si è formata dai primi anni 2000 in poi avrà probabilmente una visione soltanto abbozzata di quello che rappresenti per i videogiocatori dagli anni ’90 in giù il cabinato. Non parlo tanto del cabinato da sala giochi, che continua a sopravvivere e tener duro più di quanto si pensi, mantenendo viva la memoria di titoli del calibro di Time Crisis e Dance Dance Revolution, ma parlo proprio di lui: il grande e irreprensibile cabinato da spiaggia (“Non sapevo facesse anche gaming”).
Durante le vacanze estive, il cabinato da spiaggia era un luogo di pellegrinaggio obbligato per i nerd squattrinati privi di una console a casa. Per mia fortuna, ho avuto la mia prima PlayStation in casa fin da piccolo, ma i titoli latitavano comunque, quindi il cabinato diventava un’ottima occasione per fare la conoscenza di titoli SNK e Neo-Geo. In una precisa estate, un cabinato in particolare ha determinato la mia mancanza di abbronzatura: quello contenente Aero Fighters 2.
Questo storico sparatutto a scorrimento mi ha fatto letteralmente innamorare del genere di riferimento, vuoi per l’estetica e per la varietà dei personaggi (i cui aerei potevano scatenare mosse speciali uniche ispirati al Paese di provenienza dei piloti), vuoi per l’alta difficoltà del titolo che imponeva un attento (e costoso, considerando che le vite equivalevano a gettoni da acquistare) trial and error partita dopo partita e per l’elevata dose di componente arcade che spingeva a un’estrema competizione me e i miei amici in cerca del punteggio migliore di tutti.
Con gli anni ho letteralmente divorato gli esponenti di questo tipo di genere, passando da Aleste al classicissimo Gradius (il mio primo incontro col Konami Code, sob), e facendo anche una capatina su Sine Mora Ex. Proprio l’approccio con quest’ultimo mi ha fatto capire quanto il genere funzionasse alla perfezione su cabinato, ma decisamente meno su console, eppure, Natsuki Chronicles, l’oggetto di questa recensione, mi ha incuriosito fin da subito, ed è riuscito a tenermi incollato allo schermo dal primo avvio.
Non si tratta di un titolo imperdibile, va detto subito, eppure può rivelarsi un discreto intrattenimento per tutti quei giocatori che hanno voglia di confrontarsi con un genere classico inserito in un sistema di gioco comunque consapevole del gaming moderno, che snellisce e rende interessanti tante meccaniche ormai inaccettabili al giorno d’oggi.
Spara tu! Io devo leggere!
La trama in Natsuki Chronicles sarà un vero e proprio pretesto (anche piuttosto banale) per unire tra loro i diversi livelli di difficoltà crescente di cui si compone il titolo. In poche parole, dopo un flashforward che ricorda tantissimo la fase iniziale di Nier Automata, ci ritroveremo nel primo livello, la più classica delle metropoli futuristiche in pericolo in seguito a un attacco da parte di alcuni criminali.
Missione dopo missione, la nostra protagonista (Natsuki per l’appunto) inizierà a domandarsi se effettivamente il corpo di sicurezza di cui fa parte possa essere considerato a tutti gli effetti dalla parte della giustizia o meno, visti alcuni metodi fin troppo punitivi utilizzati nei confronti dei criminali. Come anticipato però, la trama è un semplice pretesto, e proprio per questo gli sviluppatori non si sono nemmeno preoccupati di renderla particolarmente originale o articolata, anche per il modo in cui viene narrata.
Infatti, l’intero sviluppo degli eventi sarà affidato a delle semplici immagini statiche corredate da balloon in cui i personaggi dialogano tra loro. A parte questi momenti statici però, buona parte delle comunicazioni avverranno durante il gioco stesso, questo particolare le renderà letteralmente impossibili da seguire, dal momento che il titolo richiede che la concentrazione sia tutta incentrata sull’azione.
Possiamo considerarlo un difetto? Assolutamente no! Al netto di qualche eccezione, nei titoli più classici del genere molto spesso la narrazione era totalmente assente, o al massimo veniva relegata a un paio di battute a inizio e fine campagna, senza nemmeno intermezzi tra un livello e l’altro che spiegassero gli sviluppi della trama. Natsuki Chronicles vuole fare qualcosa in più, e per quanto per forza di cose non ci riesca, questa aggiunta alla formula classica del gameplay non risulta in alcun modo fastidiosa e non va a intaccare l’essenza del titolo stesso: è lì, è in più, non dà fastidio, se sparisse non me ne accorgerei.
FIRE! FIRE! FIRE!
Naturalmente, il gameplay è il punto focale su cui si sorregge l’intero titolo; la sostanza è semplicissima ed è, per l’appunto, rispettosa delle più classiche meccaniche del genere. A bordo della nostra navicella spaziale d’assalto, posta sul lato sinistro dello schermo, ma libera di muoversi in qualunque punto, dovremo far fuoco su orde di nemici in arrivo da ogni direzione.
Lo schema quindi è quello del classico bullet hell, ma Natsuki Chronicles aggiunge al tutto una componente di grinding che, per quanto ripetitiva, riesce comunque a rendere l’esperienza piacevole. Già durante la prima missione, a meno di non essere davvero abili negli sparatutto a scorrimento laterale, potrebbe capitare di essere sopraffatti dalle forze nemiche, questo non vuol dire che il titolo sia estremamente impegnativo, ma fa semplicemente parte del gioco.
Ben presto infatti entreremo in un ciclo continuo di trial and error di ogni singola missione perché, anche dopo una sconfitta, otterremo punti esperienza che andranno non solo a potenziare la nostra navicella, ma anche a sbloccare nuovi equipaggiamenti per personalizzare lo stile di gioco che vorremo adottare a seconda del livello e dei nemici che ci troveremo davanti, o anche solo in base alle nostre preferenze.
Tra questi potenziamenti rientrano prima di tutto gli scudi, una vera e propria estensione della barra della salute che ci consentirà di subire più colpi a ogni potenziamento, in sostanza andremo letteralmente ad aggiungere scudi che potremo anche decidere di non equipaggiare in numero massimo nel caso in cui volessimo autoimporci un ulteriore grado di sfida.
Oltre agli scudi però ci saranno anche le armi, fulcro del gameplay ed essenziali per farci strada tra le orde di nemici sempre più agguerriti. Progredendo coi livelli, potremo sbloccare armi sempre nuove, con velocità, danni e modalità di fuoco differenti e perfino ottenere versioni migliorate delle armi stesse, utili per affrontare al meglio i criminali che ci verranno contro. Sulla navicella inoltre potremo equipaggiare fino a due armi contemporaneamente, che andremo a combinare a nostro piacimento così da creare lo stile di gioco che sentiamo più adatto.
Avanzando nei livelli si potranno anche sbloccare nuove tinte per la navicella, ma saranno delle semplici varianti cromatiche del tutto ininfluenti ai fini del gameplay stesso.
Come fa quindi, un gameplay basato sul trial and error e sulla ripetizione dello stesso livello anche più volte di fila, a risultare talmente soddisfacente da tenere il giocatore incollato allo schermo? Semplice, il titolo da soddisfazioni letteralmente immediate! Alla fine di ogni livello completato il senso di progressione e il rafforzamento della nostra navicella saranno istantaneamente palesi, e il ripetere un livello già affrontato con una nuova forza a disposizione che ci permetterà di tener testa ai nemici in maniera molto più efficiente di prima si rivelerà il modo migliore per far sentire il giocatore soddisfatto del titolo, soprattutto considerando che, a fine scenario, avremo una valutazione in base al nostro punteggio, che saremo sempre spinti a migliorare, soprattutto nella Modalità Arcade.
Un futuro un po’ retrò
Per quanto non risulti effettivamente deludente, il vero punto debole nella produzione va identificato nel comparto tecnico che, più che anacronistico, risulta gestito in maniera “poco uniforme”.
Dal punto di vista grafico infatti, vengono istantaneamente richiamati alla memoria, a livello stilistico, titoli come Mega Man 11, Gunvolt o 20XX, ma, laddove questi risultino ispirati, carismatici e ben riconoscibili, Natsuki Chronicles fa di tutto per rimanere il più generico possibile. Gli sfondi della metropoli futuristica non risultano mai memorabili, inoltre, i modelli 3D della navicella della protagonista e dei nemici offriranno agli occhi del giocatore uno strano effetto in cui, su sfondi anonimi, ma puliti e curati, si daranno battaglia dei modelli tridimensionali che, a tratti, sembrano essere indietro di una generazione.
E per quanto riguarda la colonna sonora? Non pervenuta direi, il titolo offre alle orecchie del giocatore degli accompagnamenti musicali talmente anonimi e generici che, di tanto in tanto, mi sono chiesto se avessi problemi alle cuffie o se la colonna sonora fosse talmente piatta che non mi stavo accorgendo della sua presenza.
In definitiva, Natsuki Chronicles non è affatto un brutto titolo, anzi, riesce perfettamente nel suo scopo, ovvero divertire il giocatore con un’azione frenetica e un’esplosione di colori a schermo; tuttavia, si deve venire a patti con un sistema di gioco che fa sentire i propri anni e con un comparto tecnico che si rivela pigro sotto alcuni punti di vista.