The Last of Us torna a far parlare di se e con esso anche Naughty Dog che si trova di nuovo sulla cresta dell’onda a far dividere pubblico e critica in una maniera del tutto inaspettata.
Questo è dovuto al fatto che nonostante di base ci sia un forte legame tra pubblico e la casa di sviluppo (grazie ai titoli di punta della stessa) questo “remake” di The Last of Us non è stato accolto nella maniera che tutti si aspettavano, sia per la scarsità di console PlayStation 5 che per il senso generale di non utilità della suddetta.
Quello che però sfugge un po’ a tutti è che Naughty Dog non è l’ultima della fiera, e che certamente ha ben chiaro il concetto di continuità tra i propri prodotti. Questo significa che per assottigliare il distacco tra The Last of Us parte II e il primo capitolo del 2013 e generare continuità tra i due, era oggettivamente necessario un cosiddetto “remake”.
La tendenza purtroppo è quella di puntare il dito senza aver preso piena coscienza di cosa si stia disprezzando, motivo per cui prima di esporsi sarebbe bene meditare e valutare.
Naughty Dog e la continuità
The Last of Us parte I è a conti fatti un nuovo gioco (sotto il punto di vista tecnico) e lo è perché nonostante racconti qualcosa che tutti conosciamo bene lo fa in maniera differente, ponendo più enfasi sulle emozioni che traspaiono dai personaggi, grazie alle avanzate tecniche di motion capture viste anche nel titolo del 2020.
Naughty Dog ha svolto un lavoro certosino anche sulla ricostruzione degli ambienti, sia interni che esterni mettendoli in risalto grazie alla simulazione chirurgica di luce e agenti atmosferici.
In conclusione dunque il gioco arriva dall’esigenza della casa d sviluppo di generare una delineata continuità tra tutti i suoi prodotti, e in questo non ci sono sospette manovre di marketing o altre diavolerie.