Si preannuncia un’altra splendida stagione
Giocare a basket è stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita. Pur non avendo mai raggiunto risultati eclatanti, ricordo ancora oggi, con grande emozione, praticamente ogni singola partita disputata. Descrivere in parole povere l’emozione che solo la palla a spicchi sa regalare è un’impresa ardua – quasi impossibile – per ogni comune mortale ma, come al solito, c’è qualcuno che è riuscito in questa titanica fatica.
Più che con le parole, però, Visual Concepts e 2K sono riuscite, coi fatti, a replicare, in maniera quasi solenne, le emozioni e tutte le splendide sensazioni della pallacanestro all’interno di un software, dando così vita a quello che, in sostanza, altro non è che un insieme di numeri, codici e programmazione. La serie NBA 2K, nata ormai ben venti anni fa (a proposito, quest’anno si festeggia), è riuscita, proprio grazie alla devozione con la quale ogni anno viene sempre migliorata e tirata a lucido, a diventare un punto di riferimento imprescindibile per tutti gli appassionati di basket americano (ma non solo), un vero e proprio appuntamento irrinunciabile per continuare a respirare l’aria del parquet e della soffice retina del canestro.
In occasione, come vi abbiamo anticipato poc’anzi, del ventesimo anniversario di vita della serie, i ragazzi di Visual Concepts hanno deciso di non stravolgere la formula – più che vincente – ludica del titolo, portando in dote a tutti gli appassionati un prodotto che, almeno a primo impatto, sembra una naturale evoluzione dei precedenti capitoli. Attenti, però, a sottovalutarli.
Carichi come non mai, abbiamo provato la Demo di gioco “The Prelude”, che consente di saggiare la modalità carriera che, quest’anno, si preannuncia davvero di altissimo livello. Analizziamola insieme!
La lunga strada per il successo
Il nuovo corso di 2K, un po’ come accaduto negli ultimi anni per quanto concerne la modalità carriera, sta nella ripartenza. Ancora una volta, infatti, la carriera viene riscritta da zero – seppur con meccaniche e situazioni in alcuni casi molto simili – nel tentativo di migliorare la qualità narrativa di una modalità che ormai è diventata uno dei punti più alti (e remunerativi) della serie.
Quest’anno, il nostro alter-ego inizierà la sua (o meglio la nostra) avventura addirittura dal campionato cinese, divenuto ormai quasi una vertebra della NBA negli ultimi anni, avendo fallito l’accesso alla lega cestistica più famosa al mondo, non venendo scelto al Draft NBA da nessuna delle trenta compagini presenti. Da lì in avanti, un turbinio di eventi – intervallati da partite di campionato giocabili – si susseguiranno senza sosta, fino a culminare in quello che sarà il vero punto di svolta (raggiungibile proprio al termine del primo capitolo, quello giocabile nella demo) della nostra carriera: una misteriosa chiamata per ritornare negli States. Da queste prime ore di gioco, anche se è presto per giudicare, ci sembra evidente come la qualità narrativa che sorregge questa nuova carriera sia di fattura decisamente superiore rispetto agli anni scorsi. Sia chiaro, di certo non è la trama il punto focale della modalità o della produzione in sé, ma la sensazione di non ritrovarsi in un film americano di Serie C (un po’ come accadeva negli ultimi anni) è sicuramente più che piacevole.
Il tutto poi è sorretto da un cast di tutto rispetto: Anthony Mackie (Avengers, Altered Carbon), Haley Joel Osment (The Sixth Sense, Silicon Valley), Michael Rapaport (Atypical, White Famous), Aldis Hodge (Straight Outta Compton, Hidden Figures), Rob Huebel (Transparent, Bob’s Burgers) e Ricky Whittle (American Gods, The 100) sono tra i protagonisti di una storia che si preannuncia, mai come quest’anno, all’altezza di una controparte ludica sempre al top e fuori scala rispetto alla concorrenza.
Squadra che vince… si migliora!
Venendo alle novità riscontrabili pad alla mano, e vale a dire quelle legate al gameplay ed alla struttura della carriera in particolare, è possibile notare sin da subito una bontà di fondo nel cercare di migliorare ancor di più un prodotto, in verità, che rasenta già la perfezione.
Una volta creato il nostro alter-ego – con la possibilità ancora una volta di inventare o di scannerizzare il volto tramite l’applicazione My NBA 2K19 scaricabile sui vostri Smartphone, sarà possibile selezionare la tipologia di atleta che vorremo impersonare, attraverso l’ormai classico sistema degli archetipi. A tale sistema è legata, da quest’anno, una delle novità più interessanti della produzione: l’Impeto. L’impeto, sostanzialmente, è un po’ una sorta di Kaioken, che va a potenziare tutte le abilità del nostro alter-ego, una volta riempita un’apposita barra, che risulta ben “a portata d’occhio”. La barra in questione, per l’appunto, si riempie eseguendo determinate azioni nel modo corretto, tutte legate strettamente proprio all’archetipo scelto, cosa che va ad enfatizzare pesantemente la motivazione che si cela dietro alla scelta di uno o di un altro tipo di giocatore da impersonare.
Una volta attivato, il potenziamento (della durata variabile) aumenterà tutte le statistiche del giocatore, risultando parecchio incisivo sull’economia generale delle varie partite. Un parere, però, da prendere ovviamente con le pinze, in attesa di un riscontro più preciso in occasione dell’uscita del gioco completo.
Il miglior attacco è la difesa
Venendo alle novità più succose ed evidenti, parlando di gameplay nudo e crudo, è impossibile non iniziare dalla difesa, resa ora molto più semplice ed accessibile anche ai meno avvezzi.
Sia sotto canestro, sia sul perimetro, difendere appare molto più semplice ed intuitivo, smorzando drasticamente quella sensazione di frustrazione incombente figlia di triple dall’angolo, schiacciate in tap-in e contropiedi fulminei vari, subiti in maniera impietosa da un’IA avversaria in alcuni casi eccessivamente forte. In particolare, è stato reso molto più semplice difendere sul portatore di palla, con una gestione diversa anche della meccanica delle palle rubate. Grazie ad un algoritmo studiato appositamente per calcolare il livello di vulnerabilità nel controllo della palla da parte dell’atleta che ne è in possesso, ora è possibile intervenire con maggior efficacia per tentar di rubare palla all’avversario che non la protegge adeguatamente in palleggio, a patto di possedere il giusto tempismo nell’intervenire. Tutto questo, però, non è da considerarsi solo come un aspetto positivo, ma anche negativo. In generale, infatti, tutto il sistema di 1 vs 1 è stato riscritto, dunque sia per il giocatore, sia per l’IA. Questo si traduce in una maggiore difficoltà nell’attaccare anche da parte nostra, con una difesa nemica ancor più difficile da arginare e molto attenta nei raddoppi sotto canestro, al rimbalzo e nel coprire le linee di passaggio.
In generale, però, ci troviamo di fronte ad un gameplay un attimino meno punitivo e che, per la prima volta in tanti anni, cerca di venire maggiormente incontro al giocatore.
Il bello della vita
Venendo alle certezze, in cui risulta praticamente superflua ogni singola riga scritta, il comparto grafico della produzione targata Visual Concepts è, come sempre, veramente eccezionale.
Ancora una volta, infatti, NBA 2K si dimostra un prodotto completamente fuori scala nel circolo dei titoli sportivi (ma non solo), mostrando una veste grafica semplicemente strepitosa. Su Xbox One X, versione da noi testata, il titolo gira in 4K e 60 fps granitici, con una quantità di dettagli, come luci, riflessi, tessuti delle divise e persino il sudore degli atleti stessi, che lascia davvero (ogni volta) di stucco. Basti pensare che, durante una gara, ci è capitato di ammirare la retina del canestro rimanere impigliata nell’anello (quante volte è successo in realtà!) cosa che, per un attimo, ha messo in discussione il confine tra videogioco e realtà come mai prima d’ora. Peccato, però, per una grafica dei menù – e soprattutto delle partite – davvero superata e di pessimo gusto.
Ci auguriamo un miglioramento sotto questo aspetto, che è pur sempre un’inezia, nei prossimi anni.