Sviluppato e pubblicato da Eastasiasoft in sinergia con Axyos Games, Neko Secret Homecoming è un titolo decisamente stravagante e non facile da classificare. Prevalentemente si tratta di un casual game con prevalenza di puzzle e l’immancabile tocco osé spesso presente nei titoli proposti da Eastasiasoft. Noi abbiamo vissuto una folle avventura su Nintendo Switch e questa è la nostra recensione.
Neko Secret Homecoming – una ragazza dalle orecchie di gatto che scassina le porte
Neko Secret Homecoming non ha una vera narrazione, nonostante i primi secondi potrebbero far presagire il contrario. In effetti, tutto inizia presentando la protagonista, una procace donzella con orecchie da gatto che, seduta in un autobus, racconta un po’ delle sue aspettative. Tutto molto vago ma, considerando anche il doppiaggio, sembra far presagire comunque una qualche storia. Invece no.
Abbandonato l’autobus sappiamo solo una cosa: la ragazza vuole entrare in una fabbrica di anime. Tutto qua. Non sappiamo perché, chi sia, cosa voglia, perché diavolo abbia delle orecchie da gatto. No, niente. Siamo gettati così in una città liberamente esplorabile e senza alcuna indicazione chiara se non l’obiettivo di entrare in quella stramaledetta fabbrica di anime. Ebbene, dopo aver girovagato un po’, ci rendiamo conto che la protagonista ha delle particolari abilità non propriamente utili per vivere una vita all’insegna della legalità.
La donna-gattina, infatti, sa scassinare porte con l’utilizzo di grimaldelli fucsia e sa aprire le cassaforti grazie a un formidabile udito che le fa percepire chiaramente i vari click (cassaforti con dentro delle papere di gomma assolutamente inutili). Ecco quindi che la strada verso la fabbrica di anime si schiude abbastanza facilmente e, per impreziosire il tutto, presto diverremo anche dei bravissimi hacker.
Come avrai potuto intuire, la narrazione in Neko Secret Homecoming è assolutamente senza senso. O meglio, non esiste. Ti ritroverai a girovagare e fare cose senza un motivo chiaro. non è una vera e propria avventura, è solo una sorta di sandbox mezzo vuoto dove poter interagire con puzzle, con la propria eroina, assistere a scenette discutibili e fare dei minigiochi altrettanto discutibili. Ma bando alle ciance e procediamo a scoprire il “magico” gameplay di Neko Secret Homecoming.
Scassina, risolvi puzzle, fatti un bagno e tira due freccette
Come anticipato, Neko Secret Homecoming ci fa iniziare la sua esperienza videoludica lasciandoci alla guida della nostra eroina in un ambiente 3D liberamente esplorabile e anche su più livelli. Il tutto, con una visuale in terza persona e una telecamera forse un pochino troppo ravvicinata. Ammettiamo che il primo impatto non è neanche così malvagio se non fosse che il mondo di gioco è totalmente vuoto, anonimo e spoglio.
Entrare nelle varie case, passeggiare per i viali e incontrare i vari PNG (con cui non potrai parlare) è un’attività che risulta da subito priva di mordente. Eppure è l’unica cosa che potrai fare, almeno all’inizio. E tra le prime cose, legate proprio all’esplorazione, c’è quella di scassinare le porte anche se, prima di scassinare, dovrai trovare gli arnesi del mestiere: i grimaldelli. Questi, fucsia e luminosi, sono sparsi un po’ in giro e nascosti neanche troppo bene. Una volta localizzati, scoprirai il primo mini gioco che, lo diciamo da subito, già al terzo tentativo ti annoierà.
Scassinare porte, infatti, è decisamente semplice e già visto altrove, limitandosi a far roteare i due grimaldelli fino a localizzare il momento giusto per forzare la porta. Discorso analogo per le cassaforti, anche queste nascoste (male) e che conservano al loro interno… niente. O quasi. Fungono da una sorta di “collezionabile” e offrono un altro minigioco già visto in centinaia di altri titoli: far roteare la manopola fino a sentire il famigerato “click” e invertire la rotazione.
Ma le attività in Neko Secret Homecoming non finiscono qui! Dopo esser riusciti a intrufolarsi nella fabbrica di anime, apprenderemo le basi per diventare dei bravi hacker. Come? Risolvendo dei banalissimi puzzle a tessere che, come risultato finale, ci daranno un’immagine di una ragazza. Ogni ragazza/modella ha più foto e man mano che risolveremo le sfide, queste saranno sempre meno vestite (un classico). Diciamo che questi puzzle dovrebbero essere tra le attività principali di Neko Secret Homecoming ma la loro durata è abbastanza bassa.
Oltre a ciò, non c’è molto altro da fare. Sì, possiamo personalizzare (capelli, abbigliamento e accessori) l’eroina mettendo mano anche alle sue forme e volendo, possiamo spezzare il ritmo (se di ritmo si può parlare) distraendoci con banali mini giochi come quello di tirar le freccette. Riassumendo, l’esperienza ludica di Neko Secret Homecoming è un’accozzaglia di attività casuali e decisamente forzate, se non proprio trash, che sono difficili da giustificare e che faticano a lasciare un segno risultando un banale e anche ripetitivo passatempo.
E se i puzzle osé non ti soddisfano appieno, in Neko Secret Homecoming avrai anche modo di farti un bel bagno rigenerante. Un bagno… che lascia però interdetti per le modalità con cui viene svolto. Il risultato, insomma, non è dei migliori. La motivazione? Semplice: l’eroina si fa il bagno con tutti i vestiti e con animazioni decisamente discutibili.
Grafica e sonoro
Graficamente parlando, Neko Secret Homecoming non è affatto male. L’ambiente 3D sorprende per il proprio colore e per un impatto generale sorprendente. Se non fosse che gli ambienti ben presto si rivelano prevalentemente vuoti e spogli, nonché poco ispirati e per niente memorabili. Un peccato considerando che il potenziale grafico c’è e con un’ispirazione maggiore, si poteva realizzare davvero qualcosa di più unico e identitario. Le animazioni, invece, non convincono granché, risultando decisamente poco credibili.
Inspiegabile poi la motivazione che vede la protagonista praticamente quasi l’unico soggetto 3D simil anime mentre i vari PNG mostrano delle caratteristiche low poly e spigolose che cozzano terribilmente con tutto il resto. Una scelta di stili un po’ troppo diversa e disarmoniosa. Il sonoro, invece, è altrettanto anonimo e poco ispirato. Sorprende la presenza del doppiaggio in inglese e ancor di più l’inclusione dei sottotitoli in lingua italiana (anche se la mole di testo è praticamente quasi nulla).