Ci sono due modi per descrivere Nintendo DS, uno breve e uno lungo. Quello breve è una frase incisa nel marmo: la console portatile a doppio schermo della Grande N ha avuto successo là dove Nintendo 64, o “il nintendone” com’era noto sul nostro stivale, ha arrancato. Volendo potremmo concludere così, ma per contestualizzare il tutto al meglio dovremo dilungarci un po’ oltre la retorica.
“L’inverno sta arrivando”
La versione più estesa del discorso, invece, vede una Nintendo nervosa in base ai costi di sviluppo dei videogiochi, già ai primi anni duemila ben avviati verso gli investimenti astronomici a cui oggigiorno l’industria videoludica “tripla A” ci ha abituati, tra un Grand Theft Auto V di qui e un Death Stranding di là. Gli altri sviluppatori stavano creando giochi più ambiziosi, per accattivarsi il pubblico degli hardcore gamer che, però, si stava avvicinando – lentamente ma inesorabilmente – alla definizione di nicchia. Quanto accurata sia questa definizione è indubbiamente discutibile, dal momento che c’è caso e caso. Ad ogni modo, il rimedio di Nintendo a questo ambiente a tratti quasi ostile ha creato una risposta imbattibile all’ingresso di Sony nel mercato videoludico portatile, ovvero l’indimenticabile PlayStation Portable.
Il primo passo compiuto da Nintendo, anziché limitarsi a creare “un Game Boy più potente”, è stato quello di mirare ad esperienze uniche alterando il gameplay. Il doppio schermo, come abbiamo visto nei Game & Watch di Donkey Kong menzionati nel nostro speciale sul NES e alla fine di Nintendo Unplugged, era un’idea che già aveva del potenziale; con il successo plateale del Game Boy Advance SP, il pubblico ha dimostrato di essere più che mai recettivo a una console portatile dal design a conchiglia. Per combinare le due cose, Nintendo ha semplicemente aggiunto un touch screen tra i pulsanti, mantenendo al contempo lo schermo regolare sulla metà superiore. Era nato un sistema per gli sviluppatori, o, per dirla all’inglese, Developer’s System: in altre parole, DS.
Durante l’E3 del 2004 Reginald “Reggie” Fils-Aimé, al tempo ancora “solo” l’addetto alle pubbliche relazioni di Nintendo, con il suo consueto carisma estrasse il minuscolo (in confronto a lui) prototipo di quello che in precedenza aveva il semplice nome in codice di Nintendo Nitro; l’acronimo DS avrebbe dovuto essere a sua volta un nome temporaneo. Non è che Reggie avesse dimenticato, quel fatidico giorno, di spiegare il senso di quelle due lettere, tutt’altro: le sue parole, “DS: Developer’s System”, riecheggiarono in modo inequivocabile al cospetto dei giornalisti presenti in sala. Ciononostante, la parte di stampa che, travisando, continuava imperterrita a dire che stesse per Dual Screen – doppio schermo – finì col far sentire la propria voce più di quelli che invece avevano prestato attenzione, e dal momento che la piccola macchina delle meraviglie era già riconoscibile così, Nintendo accolse il marketing involontario a braccia aperte e il nome “strano” rimase.
Quello che doveva essere il suo nome definitivo, invece, era l’assai meno azzeccato City Boy. Il nome della console ebbe dalla sua un “trucchetto” promozionale nato dalla parziale insicurezza di Nintendo nei confronti del suo stesso prodotto: quello di definirlo un “terzo pilastro” da affiancare a Nintendo GameCube e Game Boy Advance. Se tutto questo ti suona familiare, è perché si tratta esattamente di ciò che la casa di Kyoto ha fatto anche con Nintendo Switch nei confronti di Wii U e Nintendo 3DS. Ma mentre Switch ha sostituito entrambe le console (con brutale onestà nei confronti di Wii U e con una tardiva confessione per 3DS), Nintendo DS mirava unicamente a rimpiazzare la famiglia del Game Boy. Naturalmente, al tempo la Grande N non poteva saperlo, e nel caso Nintendo DS avesse fallito, l’ottima reputazione del nome Game Boy ne sarebbe uscita scottata (come avvenne con il Virtual Boy anni prima).
The underdog always wins
In retrospettiva, questa contromisura si rivelò doppiamente inutile: un po’ per il successo di Nintendo DS in sé, e un po’ perché molta gente finì comunque per chiamarlo “Game Boy DS”. Ad ogni modo, il touch screen non si rivelò un’interfaccia intuitiva solo per gli sviluppatori: lo schermo tattile faceva gola anche a chiunque volesse giocare ai videogiochi ma si sentisse per qualsiasi ragione intimidito o intimidita da quel “campo minato” rappresentato da tasti e croci direzionali. In altre parole, erano appena nati i “casual”: l’espansione di mercato in cui Nintendo non avrebbe mai avuto il coraggio di sperare davvero. Ma se c’era un insegnamento di Hiroshi Yamauchi ancora radicato nella Nintendo guidata da Satoru Iwata, era che rendere appetibile il proprio operato a un nuovo pubblico non è mai un male, e questo avrebbe portato anche all’unione di due processori di Nintendo GameCube che avrebbe in seguito preso il nome di Wii. Ma questa è un’altra storia.
A far piacere Nintendo DS ai fan di vecchia data, invece, c’era quel design che tanto ricordava appunto il già citato Game & Watch, precursore del gaming da taschino in ogni sua forma. Il risultato di questa doppia “pesca” non è nemmeno definibile come successo; fu un autentico trionfo plateale. I “casual” si fiondavano sui Nintendogs e Brain Training di turno, mentre i giocatori “veri” avevano dalla loro New Super Mario Bros. e Mario Kart DS.
Verrebbe da pensare che la libreria di Game Boy Advance, dovendo buona parte del suo successo al rendere portatili molti giochi amati del catalogo per Super Nintendo Entertainment System, portasse Nintendo DS ad alzare il tiro con Nintendo 64; e, in effetti, avere Super Mario 64 DS come titolo di lancio della console potrebbe aver dato questa impressione. Ma al di fuori di Diddy Kong Racing DS come gradito ritorno di una Rare che ormai “passa solo per salutare”, non ci sono molti altri esempi.
Il motivo di questo lo si può imputare ai motivi più disparati, ma la verità è che Nintendo stava puntando più all’innovazione con giochi nuovi e rivoluzionari, al posto di port di vecchi giochi con comandi tattili implementati in modo grossolano (un problema del primo anno di vita della console, come si è visto con un port discutibile di Rayman 2). Inoltre, al di là della mancanza di una leva analogica (presente su Nintendo 3DS, come testimonia The Legend Of Zelda: Ocarina Of Time 3D), come abbiamo spiegato nell’incipit dell’articolo Nintendo DS ha avuto successo dove Nintendo 64 ha fallito; non aveva molto senso sobbarcarsi il peso di una libreria nata per una console che ha finito col rappresentare quasi solo un fardello per Nintendo.
Tutti sul ring!
Con la PlayStation Portable diretta verso un supporto ottico e Nintendo DS pronto a restare con le cartucce, i segnali di un secondo “PlayStation VS Nintendo 64, uno a zero” erano sotto gli occhi di tutti. I ruoli, però, in questo caso erano invertiti, e il coltello dalla parte del manico ce l’aveva la Grande N. Ricordiamo che i dischi di PlayStation Portable facevano parte di un supporto ottico, il disco UMD (Universal Media Disc), che finì con il non essere poi troppo differente dalle cartucce in quanto “filtrato” da una scocca che faceva da adattatore all’inusuale meccanica ad incastro del lettore di PSP.
Le cartucce invece hanno meno componenti in movimento, meno calore, più batteria e caricamenti più rapidi; tutti questi campi rappresentavano delle lacune per la rivale di Nintendo DS, mentre la console a doppio schermo aveva anche una chassis più adatta a reggere l’usura con cui ogni console portatile, dolente o nolente, deve venire a patti. Le cartucce inoltre, nelle loro dimensioni ridotte, compattano sia dimensioni che costi, e con l’evoluzione delle capacità di compressione dei dati nemmeno la capacità rappresentava più un problema, così come non lo rappresentavano più i costi dei supporti di memoria, molto meno proibitivi rispetto agli anni novanta.
Con questi vantaggi, che persino Sony ha accolto viste le schedine usate da PlayStation Vita, e con costi di sviluppo inferiori, Nintendo DS si è conquistato un supporto di terze parti raramente visto nei confronti della Grande N. Quanto grande? Probabilmente la testimonianza più significativa di questa inversione a U è la presenza di un Grand Theft Auto, nello specifico Chinatown Wars, progettato espressamente per Nintendo DS. Non un port, ma un gioco nato proprio con una console Nintendo in mente, da parte di uno sviluppatore prevalentemente associato a Sony. Non un capovolgimento totale dello status quo, in quanto PlayStation Portable si è difesa bene, ma comunque una totale redenzione per Nintendo.
Inoltre, durante la medesima E3 del 2004 menzionata poco fa, la frase di Reggie che mandò tutti in visibilio non fu solamente “questo è un Metroid [Prime, ndt] in funzione su Nintendo DS”, ma soprattutto la dichiarazione con cui sfoggiò il carisma che gli valse in seguito la carica di presidente di Nintendo of America: “ma che succede se il vostro amico non è a pochi metri da voi, se fosse in vece a qualche fuso orario da voi? Io vi dico: nessun problema”, mentre le parole “Wi-Fi Compatible” comparivano sul maxi-schermo sotto gli applausi scroscianti dei membri della stampa di settore presenti.
Cura dimagrante
In seguito, un redesign di Nintendo DS ha risolto pressoché ogni problema del primo modello. Con Nintendo DS Lite sono infatti arrivati un design meno “ciccioso”, una batteria migliore e, soprattutto, una retroilluminazione veramente degna di questo nome per i due schermi, ma non sarebbe stato l’unico: dopo di lui sarebbe arrivato anche il turno di Nintendo DSi. Quest’ultimo, però, presentando un po’ in anticipo sui tempi alcune delle idee di Nintendo 3DS, effettivo successore della console, è nato più in risposta alla pirateria imperante che per altri motivi veri e propri. Ma facciamo prima un passo indietro.
Abbiamo già parlato della strategia di marketing di Nintendo e della sua ricerca di un pubblico più ampio; è stato anche pubblicato un libro in merito, che la chiama “la strategia dell’oceano blu”. Un cambio di rotta epocale si è visto con la fase “Touch Generation”, dove il marketing di Nintendo – allora pressoché inesistente al di fuori delle riviste di settore – passò dall’umorismo da gamer dei bambini intenti a guardare gli schermi nella foto della loro Prima Comunione a dei più generici, ma comunque indicativi di questo periodo più inclusivo, ragazzi e ragazze immagine.
Ed è a un pubblico meno incline ai videogiochi in senso classico, magari più interessato a 42 Classici Senza Tempo, che lo slot secondario per cartucce del Game Boy Advance serviva un po’ poco. Nintendo ha testato le acque riducendo la profondità dello slot con Nintendo DS Lite; visto che non si è lamentato quasi nessuno, al prossimo ipotetico re-design il vano sarebbe venuto meno.
Intorno all’uscita del DS Lite, però, iniziarono ad emergere i primi adattatori da scheda MicroSD a cartuccia, che ovviamente non menzioneremo per nome (anche perché tutti li conoscono, bene o male): con loro venne un’età dell’oro della pirateria videoludica che non si vedeva, ironicamente, dai tempi della prima PlayStation. A questo punto, alcune delle innovazioni previste per Nintendo 3DS, come fotocamera e un firmware interno capace di aggiornarsi, avrebbero dovuto vedere la luce prima del previsto, a discapito dello slot menzionato poc’anzi.
La fotocamera di James Bond, in missione contro i pirati
Nintendo DSi, senza per forza toccare le vette di vendita dei suoi due fratelli maggiori ma accaparrandosi comunque cinquecentomila vendite in soli due giorni, riuscì a prendere due piccioni con una fava: i “casual” che volevano di più dalla loro console portatile avevano ora modo di scattare foto, e Nintendo, con gli aggiornamenti di routine al firmware (che non prevedeva aggiornamenti di sorta nel caso di DS e DS Lite), poteva vedere se i giocatori “avevano fatto i bravi”. Il sacrificio dello slot del Game Boy Advance non si rivelò neanche vano per i veterani: al suo posto venne un lettore di schede SD con cui ampliare la memoria interna (che comunque vantava 256 megabyte), permettendo di scaricare giochi digitali più piccoli dal Canale DSi Shop in maniera pressoché parallela al Wii Shop di Wii.
Un ultimo redesign, uscito tra 2009 e 2010 (prima della E3 del secondo di questi due anni, ovviamente, visto che in quell’evento venne annunciato il 3DS), fu il Nintendo DSi XL (o LL in Giappone), che come lascia intuire il nome era più indirizzato ai giocatori (e soprattutto ai casual) meno dotati a livello di vista, come ad esempio i nonni impegnati nelle loro sessioni giornaliere di Brain Training.
Oltre le due dimensioni, oltre i due schermi
L’uscita di Nintendo 3DS ha visto nel 2011 una migrazione verso il successore quasi immediata da parte degli sviluppatori di terze parti e non (Kirby Mass Attack e Pokémon Bianco 2 e Nero 2 permettendo), anche a causa della già citata pirateria che ha giocato in favore di una console dal lancio assai meno di successo rispetto a Nintendo DS; di questo, però, parleremo un’altra volta.
Ciò che ci rimane di Nintendo DS sono i suoi dati di vendita astronomici, ovvero oltre 153 milioni di unità vendute fino al 2013, ovvero appena due milioni in meno della PlayStation 2: una console che “stampa soldi”, come recita il meme che ormai conosciamo a menadito. Non solo: persino nella sua patria, dove il successo di Nintendo è quasi scontato, con 32 milioni di copie vendute Nintendo DS si è distinta come console di maggior rilevanza culturale sin dai tempi del Famicom e dalle due precedenti PlayStation. Con numeri del genere, quasi ogni casa nipponica era in possesso di almeno un DS intorno al 2010. La console vanta alcuni dei software dai numeri di copie vendute più alti mai visti nella terra del Sol Levante, con un impressionante carico di nuove proprietà intellettuali e, con esse, nuove idee nate da un’interfaccia tutta nuova.
Persino i giochi più di nicchia si sono accattivati un pubblico notevole, permettendo ai team di sviluppo nipponici di scostarsi dall’allora imminente passaggio totale all’alta definizione in favore di giochi dai costi di sviluppo minori. L’effetto farfalla sortito da questa divisione tra la preferenza per le console portatili in terra nipponica e l’amore per le console fisse in occidente ha finito per influenzare la creazione di Nintendo Switch, una console che avrebbe visto molta meno diffidenza ad accoglierla se si avesse fatto attenzione agli indizi sparsi ovunque.