Non sono certo il primo a raccontare questa favola, ma è da quando ho alluso alla nascita di Nintendo scrivendo 1889 come anno di fondazione che avevo in mente di scrivere questo articolo, dopo aver parlato in maniera estesa di Game Freak e di Creatures. Ma… 1889? Un errore di battitura, forse? No, affatto: Nintendo ha preceduto i primi computer. Ma di che si occupava, allora?
Da qui nasce il progetto Nintendo Unplugged, che si occupa di andare nel dettaglio per narrare le cronache di una delle tre grandi sorelle dell’intrattenimento elettronico odierno in tre puntate. Sei pronto a tornare alla fine dell’ottocento?
“The year is 1889, before the accolades and awards / Nintendo got its start from making hanafuda cards”
Come ci insegna The History Of Nintendo di Matthew “Brawl In The Family” Taranto, il secolo scorso doveva ancora arrivare, in quel di Kyoto. Fusajiro Yamauchi, classe 1859, poco prima di compiere trent’anni fondò, il 23 settembre 1889, una compagnia atta alla creazione di carte da gioco. Può non sembrare molto, ma dopo l’embargo commerciale (autoinflitto) del Giappone, in vigore dal 1633, la popolarità del gioco d’azzardo nella terra del Sol Levante si era assai affievolita. Non è un caso: la presenza delle sole carte da gioco era di importazione portoghese.
L’unica alternativa rimasta al popolo nipponico era quella di produrre delle carte proprie per giocare al Daitoryo, il gioco da loro creato con le carte francesi. Fu così che, usando la carta pregiata ricavata dalla corteccia di gelso e di mitsumata, nacquero delle carte i cui semi si basavano sulle stagioni: le hanafuda. Ma come si sarebbe chiamata, questa azienda che le avrebbe stampate?
Fusajiro Yamauchi sapeva bene che, per quanto le carte da gioco si possano usare anche tra nonni per giocare a scala 40, il loro fine ultimo è quello del gioco d’azzardo; tanto vale mettere le mani avanti con un nome profetico. Fu così che il nome fu quello di “lasciamo la fortuna al paradiso”, o, detto tramite ideogrammi, Nin-ten-do. Per estensione, il primo nome era quello di Nintendo Koppai, un’azienda nata come attività modesta, con pochi, pochissimi dipendenti. Origini umili ed artigianali ben lontane dal colosso che conosciamo oggigiorno: prima di avere una produzione in scala, Yamauchi avrebbe dovuto aspettare un po’ di tempo.
Naturalmente, le carte hanafuda non sono nate come fonte di gioco d’azzardo: lo testimonia l’assenza di numeri sulle loro figure. Ma la ludopatia, si sa, è dura a morire. Dei mille e più giochi nati con le carte hanafuda con annessi regolamenti, non ci volle molto per vedere giochi mirati al raggiungimento del punteggio più alto possibile, che spuntarono rapidamente come funghi. E come ogni azienda che contribuisce anche solo in minima parte dal gioco d’azzardo, Nintendo non sfuggì alla regola: il maggiore beneficiario del suo operato, dolente o nolente, fu nientemeno che la yakuza, o, per i meno informati, la malavita organizzata giapponese.
Una mano sfortunata
Ai tempi dell’ingresso di Nintendo Koppai sul mercato, la maggior parte della domanda di carte proveniva dalla yakuza. Ovviamente, ogni variante “mondiale” della mafia (mafiya in Russia, triadi in Cina…) ricava i propri proventi da attività assai più illecite rispetto alla comparativamente più innocente ludopatia.
Triste a dirsi, ma è questo il punto in cui Nintendo Koppai ebbe bisogno di passare alla produzione in larga scala. Ogni parola nipponica, del resto, si presta a duplici interpretazioni, e Nintendo non fa eccezione: che tu ci creda o no, il significato che fa affidamento alla provvidenza divina dietro al nome dell’azienda è un’interpretazione che dobbiamo ad Hiroshi Yamauchi, il membro della famiglia Yamauchi che, molti anni dopo, avrebbe finalizzato la conversione di Nintendo in una casa videoludica.
Cercherò di essere breve in questa digressione. Il kanji “ten”, la sillaba centrale, è un riferimento al Tengu, uno dei tanti demoni (gli “oni”) del folklore nipponico, caratterizzato da un lungo naso – la parte del corpo che, nelle usanze giapponesi, ci si strofina proprio per denotare interesse nel gioco d’azzardo. “Nin”, invece, sta anche per “tempio”, e “do” per “lasciar fare a”. In altre parole, “il tempio dove si lascia fare a Tengu”, o, per estensione, “il libero tempio del gioco d’azzardo”. Lo testimonia un mazzo economico di carte hanafuda risalente a fine ottocento, che mostrava fieramente il Tengu sulla propria confezione. Una correlazione sicuramente accidentale quella tra Nintendo e la maggioranza della sua clientela, ma questo non verrà discusso qui.
Nel 1907, Fusajiro Yamauchi era tanto determinato a rendere Nintendo Koppai leader nel suo settore da stringere un accordo con l’ente nipponico di Tabacchi e Sali di Stato, che iniziò a vendere le carte della futura casa di Mario nei propri esercizi. Quella di migliorare il sistema di distribuzione era una necessità assoluta, per un’azienda ben avviata a diventare la più grande ditta produttrice di carte da gioco.
La parentesi bellica
Non sono in molti a sapere delle attività di Nintendo durante le guerre mondiali, ma quel che sono stato in grado di reperire (solo sulla seconda) può valere la pena di fare una piccola tappa in più nel nostro viaggio. Nella seconda guerra mondiale, il Giappone, parte delle forze dell’Asse insieme all’Italia fascista e alla Germania nazista, era noto per la sua usanza di commissionare messaggi di propaganda, in maniera non dissimile dai cartoni animati dell’epoca sia da parte di Disney (Das Fuehrer’s Face) che di Warner Bros. (il Soldato Snafu).
Nintendo non fu immune dal trattamento e, nell’ottobre del 1943, rilasciò una tavola da backgammon per bambini, sulle cui immagini figuravano vari animali antropomorfi vestiti da soldati. Una su tutte raffigurava un coniglio e una tartaruga intenti ad agitare una bandiera nipponica in cima a una collina, mentre alla base di quest’ultima si potevano vedere le bandiere americane e inglesi ridotte in brandelli.
Una cosa che non tutti sanno, però, è che quando il conflitto stava per volgere al termine non sarebbe dovuta essere Nagasaki l’altra città bombardata insieme ad Hiroshima: si sarebbe dovuto invece trattare proprio di Kyoto. La decisione di cambiare bersaglio, da parte delle forze alleate, avvenne all’ultimo momento.
Henry Lewis Stimson, segretario di guerra, si rivolse direttamente al presidente Truman il 24 luglio dello stesso anno, a meno di un mese dalla missione per cambiare quale città avrebbe dovuto subire l’attacco. Il motivo fu la luna di miele di Stimson a Kyoto negli anni venti, che ne rimase impressionato quanto bastava da decretare la città “di importanza culturale troppo elevata per raderla al suolo”. Fa accapponare la pelle, ma l’esistenza odierna della compagnia potrebbe davvero essere dipesa da un americano.
Benvenuti all’eredità!
Passarono ventidue anni dall’accordo con gli enti nipponici di sali e tabacchi, quando un Fusajiro in preda ai primi acciacchi dell’età iniziò a guardarsi in giro in cerca di eredi degni di proseguire la continua, florida espansione di Nintendo. La scelta, alla fine, ricadde sul genero, Sekiryo Kaneda, che sposò sua figlia Tei. In una famiglia qualunque parleremmo di “Tei Yamauchi in Kaneda”, ma nel caso di dinastie imprenditoriali come quella degli Yamauchi era l’opposto: fu Sekiryo, seguendo una tradizione di acquisizione notarile in caso di mancanza di eredi maschi, a cambiare il proprio cognome in Yamauchi all’anagrafe.
Sekiryo Yamauchi divenne presidente di Nintendo nel 1929, e nonostante sarebbe venuto a mancare vent’anni dopo in seguito alle complicazioni dovute a un ictus, seppe plasmare Nintendo con alcuni cambiamenti incisivi, partendo dal nome. Nel 1933, infatti, una partnership con un’azienda esterna portò a un cambio nominale di Nintendo Koppai, ribattezzata Yamauchi Nintendo & Company, nonché a un cambio di sede. In seguito, nel 1947, fondò una compagnia separata, la Marufuku Co., mirata esclusivamente alla creazione di carte da gioco di stampo occidentale, per riportare in auge giochi come il poker.
Nell’arco della presidenza del primo, Sekiryo e Tei diedero alla luce Kimi Yamauchi, una sorta di nota a piè di pagina per la storia dell’azienda (per dirla con cinismo). Il suo contributo principale fu quello di dare alla luce il piccolo Hiroshi, ovvero lo stesso Hiroshi Yamauchi menzionato qualche riga fa, “quello videoludico”. Il suo momento venne nel 1949, quando nonno Sekiryo si ammalò gravemente in seguito alle complicazioni dell’ischemia.
Amante della compagnia fino alla fine, Sekiryo chiamò al proprio capezzale un giovanissimo Hiroshi Yamauchi per affidargli il futuro dell’azienda, nonostante quest’ultimo fosse ancora immerso negli studi e felicemente “ammogliato” da già quattro anni. In un misto di ambizione e devozione verso le generazioni precedenti, Hiroshi accettò senza battere ciglio, dando i natali alla più rivoluzionaria, e controversa, gestione della compagnia.
Nella prossima puntata, andremo più a fondo sul significato di queste parole, e sulla lungimiranza con cui Hiroshi Yamauchi seppe rivoluzionare la compagnia destinata a diventare uno dei pilastri principali dell’industria videoludica moderna.
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