No Longer Home è un avventura narrativa semi-autobiografica pregna d’arte e psicologia – ma purtroppo, fatica a crearsi un suo spazio nei nostri cuori a causa di alcune scelte di design. Il videogame creato da Humble Grove decide di narrare un’esperienza così intima e personale, che la maggior parte dei giocatori faticherà a immedesimarsi con i personaggi proposti, che non riescono ad essere messi in risalto.
Se hai comunque intenzione di provare No Longer Home, sappi che è disponibile su Steam ed Epic Games Store, ma attenzione perché, per ora, non è disponibile in italiano, e la grande quantità di dialoghi non permetterà anche a chi un pochino ne mastica di capire le sfumature di cosa sta accadendo. Se avete comunque fame di avventure narrative rilassanti e introspettive, consigliamo Omno di cui abbiamo scritto recentemente un’altra recensione.
No Longer Home: un punta e clicca non molto interattivo
Dal punto di vista di gameplay, questo titolo è il classico “walking simulator”; muoveremo il nostro personaggio, Ao o Bo, navigando lo stretto appartamento in cui vivono, interagendo occasionalmente con delle icone che appariranno se saremo abbastanza vicini. Il più delle volte attiveranno un dialogo, o più spesso un monologo, riguardo all’oggetto o la persona osservata.
In questo modo scopriremo interessantissimi dettagli sulla vita dei protagonisti, come il fatto che hanno provato a coltivare menta ma il gatto l’ha tragicamente rovinata, o che c’è della muffa sulla frutta comprata dai coinquilini. Sarcasmo a parte, sono tutti dettagli che chiariscono il modo di pensare e la psicologia dietro Ao e Bo, ma solo i più curiosi riusciranno a resistere alla tentazione di saltare le numerose linee di testo che si troveranno davanti.
Chi lo desidera potrà anche “rimandare” gli eventi chiave che proseguono la trama in cerca di interazioni nascoste, che se anche non sono molte allungheranno un pochino la durata del titolo. Noi abbiamo impiegato un po’ meno di due ore per finirlo cercando questi “segreti”, quindi sarà comunque un’esperienza decisamente breve.
I dialoghi invece sono costellati di miriadi di piccole interazioni; ogni due o tre righe, potremo scegliere la risposta di uno qualsiasi dei personaggi coinvolti, magari quella che ci interessa o rappresenta di più. Non influenzerà comunque la successione degli eventi o la direzione del discorso.
Una storia fin troppo attuale
C’è un motivo per cui Link in The Legend of Zelda è muto, così come il protagonista della serie di Pokémon, e tanti altri giochi: per immedesimarsi, immaginarsi nella stessa situazione in cui questi si trovano e rompere, almeno per un momento, la barriera che separa il mondo virtuale e quello reale. In questo difficile compito fallisce purtroppo No Longer Home, che racconta un’esperienza semi autobiografica così particolare e unica che è difficile identificarsi appieno con i protagonisti.
Piccola premessa: Ao e Bo, i protagonisti, si identificano con il genere non-binario, e nel titolo usano il pronome neutro. Faremo lo stesso nel resto di questa recensione, utilizzando il “loro” anche parlando di un singolo.
Ao e Bo sono una coppia che vive a Londra ed è lì per frequentare l’università d’arte. Ora che questa è finita, e che il permesso di soggiorno di Ao è scaduto, devono cambiare casa e separarsi. Entrambi temono un mondo in cui è sempre più difficile trovare un lavoro e costruirsi un futuro, tra pressioni sociali di parenti e amici e l’incertezza sul prossimo passo da fare.
Con un ultimo barbecue e una partita ad un videogame salutano i loro amici e coinquilini, mentre distrattamente accumulano scatoloni di oggetti e ricordi del loro soggiorno, discutendo ampiamente su cosa si aspettano dalla vita e su chi farà visita a chi: riusciranno a reincontrarsi a migliaia di chilometri di distanza? Potranno anche solo permettersi un biglietto? Vivranno di nuovo insieme?
Oltre a questi problemi, è apparente che entrambi soffrono di ansia e depressione, e se anche non viene mai discusso apertamente, è chiaro dal comportamento almeno di Ao che la vita è ulteriormente complicata dallo stress di venire a patti con una situazione estremamente sfavorevole. Due demoni, Gi e Lu, rappresentano queste incertezze, conversando e punzecchiando i protagonisti sulle loro insicurezze.
La narrativa di No Longer Home non è certamente debole, anzi. È ben costruita sotto molti aspetti, soprattutto quelli psicologici che non sono mai scontati, ma anzi analizzati accuratamente, che è un vantaggio dell’autobiografia. Purtroppo però per capire appieno ed empatizzare completamente dovremmo essere ex-studenti d’arte senza lavoro, membri della comunità LGBT+, in fase di trasloco e stranieri e non sono caratteristiche comuni da trovare in un giocatore qualsiasi.
Sebbene quasi tutti possiamo dire di rappresentare una di queste categorie, sospettiamo che il gioco potrà essere goduto davvero solo da chi può immedesimarsi il più pienamente possibile con i protagonisti, o le loro difficoltà e bisogni potrebbero non essere capiti.
Buona parte della narrazione e degli stati d’animo sono comunicati soprattutto visivamente, tramite immagini o piccoli suoni che rappresentano il mondo interiore dei personaggi. Artisticamente è un lavoro notevole quello di Humble Grove, ma un abuso di questo aspetto del gioco ci lascerà il più delle volte confusi sul significato reale di ciò che stiamo vedendo, e dovremo sfruttare la nostra capacità di interpretazione per collegare i metaforici punti tra un’astrazione e l’altra.
I coinquilini della coppia fanno anche più d’una apparizione durante il gioco, ma dopo averlo completato dobbiamo tristemente dire che non ci ricordiamo il nome di nemmeno uno di loro. Questo perché sono relegati quasi esclusivamente allo sfondo, e sebbene si intuisca che i loro problemi e la loro vita siano simili a quelle di Ao e Bo, non risaltano mai e anzi, mancano della caratterizzazione che li renderebbe almeno utili alla narrazione.
Sonoro e grafica; in conclusione
Uno dei punti più forti del gioco è sicuramente il sonoro. La musica arpeggiata e di sfondo, un po’ country e un po’ indie, aiuta sicuramente il titolo ad esprimere ulteriormente le emozioni rappresentate a schermo. È una buona colonna sonora, che se anche non brilla, sicuramente innalza il livello della produzione.
Graficamente No Longer Home invece non eccelle, ma c’è stata sicuramente molta cura per i dettagli nel costruire la mappa di gioco. I modelli senza volto e poligonali, per quanto semplici, trasmettono chiaramente quel senso di “vuoto” e solitudine misto a nostalgia che un trasloco quasi sempre provoca. Le varie decorazioni dell’appartamento poi catturano l’occhio e sono studiate per aggiungere alla narrazione del titolo in maniera implicita.
Per finire; No Longer Home è un videogame molto artistico, che mostra appieno la capacità degli sviluppatori di trasmettere emozioni e raccontare una storia ben curata. È stata, purtroppo, un’occasione persa che sarebbe stata meglio impiegata nel raccontare una trama più d’impatto, qualcosa in cui tutti possono immedesimarsi, o quantomeno una storia meno personale.
Nonostante ciò, te lo consigliamo se senti che le sfide affrontate da Ao e Bo sono anche solo parzialmente le tue, perché se anche non troverai una risposta ad alcuni problemi, potresti trovare catarsi o conforto nel sapere che non sei solo. A tutti gli altri, invece, consigliamo di aspettare per il prossimo titolo di Humble Grove.