L’approccio nei confronti del medium videoludico è, oggi più che mai, profondamente diverso rispetto al passato. Quando ho iniziato a videogiocare, a metà anni ’90, ricordo quanto prezioso fosse il singolo titolo, da spremere per giorni e giorni per ricavarne ogni minimo dettaglio, segreto, ogni sfaccettatura, per trovare quel microscopico dettaglio sfuggito a tutti gli altri… oggi invece, ed è un discorso che ha dei pro e dei contro, il singolo videogioco è un’esperienza molto più di passaggio.
Tra abbonamenti che regalano mensilmente titoli gratuiti, sconti in ogni singolo periodo dell’anno e mercato digitale, mettere le mani sull’oggetto del desiderio è diventato infinitamente più semplice che in passato, e la cosa più bella a mio avviso è che la cultura videoludica di ogni singolo giocatore può crescere costantemente in questo modo. Il “problema” però, a mio avviso, è che quando un prodotto, o in questo caso un intero medium, diventa di massa, molto spesso si tende a lasciarsi trasportare dall’entusiasmo.
L’hype culture, che ormai si sposa alla perfezione con il mercato videoludico, danneggia irrimediabilmente determinate opere, che vengono attese non più come “Il nuovo titolo”, ma come “Il nuovo capolavoro”, si crea quindi la situazione in cui un titolo si deve difendere a spada tratta ignorandone i difetti. Non è sicuramente una situazione generale e uniforme, ma spesso negli ultimi anni mi sono ritrovato pad alla mano ad accogliere in maniera piuttosto fredda titoli esaltati come capolavori e a ricevere anche delusioni non da poco.
Proprio da questa situazione nasce la rubrica Non ho capito…, in cui parleremo di titoli che hanno riscosso un grande successo, ma che in fondo, a mio avviso, non meritano tutte le lodi ricevute. Chissà se riuscirò a farti arrabbiare andando a toccare uno dei tuoi giochi preferiti, ti aspetto nei commenti per scoprirlo!
Alan Wake? Piuttosto, Alan Sleep…
Il primo titolo che apre questa rubrica è Alan Wake, e non è un caso, dal momento che è a conti fatti il gioco che ha dato il via all’idea stessa a causa della profonda delusione che mi ha causato. Per anni, il nome di questa pietra miliare del medium videoludico mi è rimbombato in testa: se ne parlava spesso, sembrava imperdibile e indispensabile anche e soprattutto per comprendere un determinato filone videoludico dal taglio fortemente psicologico, tuttavia, pad alla mano, mi sono ritrovato davanti una realtà parecchio diversa…
Ovviamente, c’è bisogno di contestualizzare! L’originale Alan Wake ha fatto il proprio debutto nel lontano 2010, personalmente però ho avuto la possibilità di recuperarlo solamente tramite la recente remaster che ha fatto il proprio debutto su console next e last gen nel 2021, approdando per la prima volta anche su hardware targato Sony, non ho pertanto la pretesa di giudicare un titolo nella sua interezza a oltre dieci anni dalla sua uscita, sarebbe a dir poco insensato.
Ciò che proprio mi ha lasciato perplesso nei confronti del titolo è la sua scrittura, a dir poco deludente, soprattutto dal momento che mi era sempre stata presentata come profonda e brillante… se Alan Wake viene additato come profondo dal punto di vista psicologico, allora Hellblade Senua’s Sacrifice è una seduta dal terapeuta, e ti assicuro che non lo è!
Alan Wake vuole proporsi come l’analisi di uno scrittore disturbato che è finito vittima della sua stessa opera, una metanarrativa che la letteratura italiana ha già proposto con Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, con molto più successo rispetto al titolo targato Remedy che finisce invece con l’essere una sfilata di personaggi vuoti e irritanti, macchiette che fanno di tutto per rendersi degli stereotipi stupidi e privi di senso agli occhi del giocatore che decide di tuffarsi in questo viaggio delirante.
E dico delirante non in senso “buono”, come se questo viaggio allucinato fosse un’opera metaforica degna di David Lynch (citato a più riprese quando si parla di Alan Wake), ma piuttosto uso questo termine perché trovo delirante quanto riesca a diventare banale e scontata capitolo dopo capitolo la vicenda che vede coinvolto questo “scrittore tormentato” e i suoi comprimari bidimensionali. E se già la narrazione mi ha fatto cadere le braccia, il narratore ha fatto anche di peggio…
Ho odiato Alan Wake, il personaggio protagonista, in ogni singolo momento, ogni singola volta in cui lo scrittore apriva bocca io sentivo uscirne solo banalità e autocelebrazione. Va bene scrivere un personaggio che possa sembrare antipatico, va benissimo scrivere un personaggio che viva di insicurezze, ma il background dello scrittore sembra venir fuori dalla mente di un adolescente che per la prima volta si ritrova a dover inventare un personaggio per un compito in classe.
Il personaggio di Alan Wake è narcisista, e lo fa nel peggiore dei modi, fin dal primo secondo si affaccia ai grandi della letteratura horror come Stephen King o Edgar Allan Poe, ma il tutto sfocia in sproloqui vuoti e privi di riscontro col personaggio, giuro, non ho mai odiato così tanto un personaggio. E magari anche il mio sarà solo uno sproloquio soggettivo e insensato su un personaggio fittizio, ma penso che un fondo di oggettività in un personaggio scritto così male ci sia: a te il personaggio è piaciuto? Sono riuscito a triggerarti parlando male di un titolo che ami? Ti aspetto nei commenti per scoprirlo!