L’approccio nei confronti del medium videoludico è, oggi più che mai, profondamente diverso rispetto al passato. Quando ho iniziato a videogiocare, a metà anni ’90, ricordo quanto prezioso fosse il singolo titolo, da spremere per giorni e giorni per ricavarne ogni minimo dettaglio, segreto, ogni sfaccettatura, per trovare quel microscopico dettaglio sfuggito a tutti gli altri… oggi invece, ed è un discorso che ha dei pro e dei contro, il singolo videogioco è un’esperienza molto più di passaggio.
Tra abbonamenti che regalano mensilmente titoli gratuiti, sconti in ogni singolo periodo dell’anno e mercato digitale, mettere le mani sull’oggetto del desiderio è diventato infinitamente più semplice che in passato, e la cosa più bella a mio avviso è che la cultura videoludica di ogni singolo giocatore può crescere costantemente in questo modo. Il “problema” però, a mio avviso, è che quando un prodotto, o in questo caso un intero medium, diventa di massa, molto spesso si tende a lasciarsi trasportare dall’entusiasmo.
L’hype culture, che ormai si sposa alla perfezione con il mercato videoludico, danneggia irrimediabilmente determinate opere, che vengono attese non più come “Il nuovo titolo”, ma come “Il nuovo capolavoro”, si crea quindi la situazione in cui un titolo si deve difendere a spada tratta ignorandone i difetti. Non è sicuramente una situazione generale e uniforme, ma spesso negli ultimi anni mi sono ritrovato pad alla mano ad accogliere in maniera piuttosto fredda titoli esaltati come capolavori e a ricevere anche delusioni non da poco.
Proprio da questa situazione nasce la rubrica Non ho capito…, in cui parleremo di titoli che hanno riscosso un grande successo, ma che in fondo, a mio avviso, non meritano tutte le lodi ricevute. Chissà se riuscirò a farti arrabbiare andando a toccare uno dei tuoi giochi preferiti, ti aspetto nei commenti per scoprirlo! Nelle scorse puntate abbiamo visto due titoli targati Remedy, ovvero Alan Wake Remastered e Control, ma ora è tempo di rivolgere lo sguardo verso la grande N…
Pieno di fantasmi… e di occasioni mancate…
Quando nel settembre del 2018 Nintendo annunciò a sorpresa Luigi’s Mansion 3, i fan della grande N e non solo accolsero con gioia la notizia, affermando che si trattasse del ritorno di una delle IP più riuscite del colosso nipponico. Dal canto mio, dopo l’annuncio decisi di colmare un’importante lacuna e recuperare istantaneamente i primi due capitoli, quantomeno per capire l’hype attorno all’annuncio.
E in effetti, lanciarmi in quella coppia di “horror” conditi con tanta, tantissima, ironia fu parecchio piacevole. Apprezzai la scrittura a tratti demenziale (amo quel modo di affrontare il tema orrorifico, un po’ alla Shawn of the Dead) ritenendola estremamente in linea con la scrittura del personaggio di Luigi, ritratto qui come un fifone che vorrebbe trovarsi ovunque tranne che in quella situazione, ma che veste il meritato ruolo di protagonista assoluto.
Soprattutto, mi piacque particolarmente tutto ciò che gravitava attorno alla serie a livello di cultura pop: tutti i titoli, e quelli targati Nintendo in particolare, si creano sempre un sottobosco di leggende metropolitane e creepypasta che deliziano i giocatori che vogliono uscire dai confini di ciò che si narra e si vede a schermo; Luigi’s Mansion, per il suo spirito horror, è stato il setting perfetto per creare questo genere di narrazione parallela, primo su tutti il cosiddetto “Luigi impiccato”.
Recuperati i primi due capitoli, ero sinceramente curioso per il terzo, non solo per vedere come la scrittura potesse diventare ancora più coraggiosa e strutturata (dal momento che Nintendo ha dimostrato negli ultimi anni la volontà di volersi aprire verso temi e titoli più maturi), ma anche e soprattutto perché le potenzialità dell’IP si moltiplicavano in maniera esponenziale grazie ai Joy-Con (avendo infatti recuperato sia il primo che il secondo titolo su Nintendo 3DS, ho sofferto molto dei comandi poco pratici della portatile).
Purtroppo, sono rimasto deluso sotto praticamente ogni fronte. Ovviamente, a livello di trama non potevo comunque ancora aspettarmi un horror nel vero senso del termine, ma ho trovato la narrazione alquanto banale e piatta, un brutto passo indietro rispetto ai capitoli precedenti, un difetto che si riflette anche nella progressione del mondo di gioco estremamente lineare e a senso unico. Durante la campagna marketing infatti, Nintendo ha presentato alcune sezioni gioco quasi come un sandbox dove mettere alla prova tutte le possibilità fornite dal gameplay, e memore dell’esperienza di Super Mario Odyssey mi aspettavo grandi cose.
L’unica “scatola di sabbia” che ho trovato è stata, letteralmente, la stanza della Sfinge, un enorme stanza, al gusto di occasione sprecata, piena di sabba… e basta. Tutto il gioco è strutturato come un lungo corridoio prevedibilissimo, esploreremo i vari piani dell’hotel uno alla volta, senza la reale possibilità di deviazioni e senza un minimo di backtracking in stile metroidvania. Non giudico un titolo in base a ciò che non ha voluto essere, ma ritengo che una formula del genere, con sezioni dei piani da sbloccare in fasi più avanzate grazie a nuovi strumenti, sarebbe stata perfetta (e il gioco dà occasione di pensarlo a più riprese), invece si è preferito puntare a un’estrema linearità che si orientasse verso un pubblico giovane.
E qui in effetti sta un altro grande difetto del titolo: il Poltergust, l’arma principale, e a conti fatti l’unica, a disposizione del nostro pavido protagonista. Il “combat system” di Luigi’s Mansion 3 sembra davvero aprire le porte a possibilità infinite, ma le attese del giocatore vengono costantemente deluse, proponendo pochissime variazioni sul tema e rinchiudendo il giocatore in un loop sempre uguale a sé stesso dal primo all’ultimo piano.
Anche quando sembra esserci un punto di svolta nella gestione dell’equipaggiamento e il Poltergust viene effettivamente potenziato, il tutto si ridurrà in un nulla di fatto, e questa funzione speciale del nostro aspirafantasmi verrà utilizzata letteralmente una volta sola. Nessuna modalità di aspirazione alternativa, nessun fantasma con pattern unici, niente di niente, e l’unica variazione sul tema per tutto il gioco sarà quella di dover illuminare alcuni particolari spettri per renderli aspirabili. A onor del vero però, le boss fight si sono rivelate sempre interessanti e impegnative al punto giusto.
In definitiva, Luigi’s Mansion 3 è un brutto gioco? No, assolutamente, ma è deludente, questo è poco ma sicuro; ad oggi, a tre anni dalla mia run, non mi spiego ancora come possa essere esaltato e adorato così tanto poiché, a mio parere, si tratta della più deludente delle esclusive Nintendo Switch basate su IP che hanno fatto la storia dell’azienda. La cosa peggiore però è che si tratta di una grande occasione sprecata per pigrizia, ricca di buone idee che potevano essere sviluppate alla perfezione con un minimo di sforzo in più.