La seconda metà della scorsa generazione videoludica è stata fortemente caratterizzata dal ritorno di vecchie glorie del medium videoludico riproposte al pubblico in chiave moderna con operazioni che andassero più o meno a modificare i contenuti originali proposti, la maggior parte delle volte, durante gli anni ’90. Il caso più clamoroso è stato senza alcun dubbio quello della Crash Bandicoot N. Sane Trilogy, che nel giugno del 2017 ha fatto registrare incassi da record ed è andato rapidamente sold out.
Certo, i remake e le remaster di vecchie glorie videoludiche esistevano già prima del 2017, ma il marsupiale arancione nato in casa Naughty Dog ha fatto capire agli sviluppatori quanto la nostalgia possa vendere e far gola ai videogiocatori. Negli ultimi anni quindi è stato un tripudio di icone videoludiche pronte a vivere una seconda giovinezza, il draghetto Spyro con la sua Reignited Trilogy ha seguito a ruota Crash Bandicoot, è stata poi la volta di Sir Daniel Fortesque con Medievil, per non parlare di Nintendo, che nel giro di pochi anni ha riproposto Zelda Link’s Awakening e Skyward Sword.
Di volta in volta parliamo di operazioni molto differenti tra loro, quasi sempre si tratta di riproposizioni 1 a 1 dell’opera originale con una grafica più o meno svecchiata: per esempio Link’s Awakening o Pokémon Mistery Dungeon DX hanno una direzione artistica completamente rivista, mentre nel caso di Skyward Sword HD questa appare solo, per l’appunto svecchiata, in altri casi invece, come Final Fantasy VII Remake, il materiale originale viene reinventato da zero e profondamente modificato.
Remake e remaster, per quanto differenti sia a livello concettuale che produttivo, hanno però un forte punto in comune a livello mediatico agli occhi dei videogiocatori (nostalgici e non), ovvero che le vecchie glorie possono tranquillamente vivere una seconda giovinezza e c’è speranza per tutte (o quasi) le pietre miliari che hanno fatto la storia del videogioco di tornare anche sulle nuove console in una veste che possa essere soddisfacente per gli appassionati al brand, ma allo stesso tempo aprire interessanti prospettive per il futuro (non a caso Crash Bandicoot N. Sane Trilogy e Crash Team Racing Nitro Fueled hanno fatto da apripista a Crash Bandicoot 4: It’s About Time).
Lo strano caso della cittadina nebbiosa…
Tra le serie di cui molti vorrebbero vedere il ritorno ce ne sono senza dubbio due a contendersi lo scettro: Metal Gear Solid e Silent Hill. Sebbene entrambe (assieme a Castlevania) siano spesso al centro di rumor che vedono remake, reboot o remaster, in lavorazione presso Bluepoint Games, per la storica serie horror la questione è un po’ più complessa.
Nel 2014 infatti la serie a marchio Konami è stata sul punto di tornare e di essere addirittura diretta dall’amato Hideo Kojima, purtroppo del progetto Silent Hills rimangono solo il ricordo e la demo P.T., ormai rimossa dal PlayStation Store e rimasta solo nelle console di alcuni fortunati. Negli ultimi anni si è dibattuto sul fatto che la serie fosse sul punto di tornare con un reboot, un remake, o addirittura entrambi con un ritorno al timone del reboot di Kojima stesso (i cui rapporti con Konami sembrano essere tornati alquanto sereni ultimamente).
A far tornare con prepotenza al centro dell’attenzione il discusso ritorno del survival horror è stato senza alcun dubbio Abandoned, in cui molti hanno visto (o hanno voluto vedere) il ritorno di Silent Hill (puoi trovare qui la ricostruzione dell’intera vicenda nel caso in cui te la fossi persa). Dopo diversi rinvii, dovremmo ormai essere vicinissimi al reveal dell’atteso gameplay trailer che avverrà il prossimo 10 agosto (salvo nuovi rinvii), ma un app ideata appositamente per seguire il trailer in diretta sarà disponibile già dai prossimi giorni, dal 29 luglio per la precisione.
Il fatto che P.T. abbia ricevuto nel corso degli ultimi anni diversi tributi e omaggi da parte degli sviluppatori, il cui più riuscito è a mani basse l’inquietante Visage, non ha fatto che alimentare la voglia e la convinzione di voler vedere un ritorno di Silent Hill su console di nuova generazione, in qualsiasi forma, che sia reboot o remake (meglio stendere un velo pietoso sulle remaster, in particolare quella di Silent Hill 2). Il punto è, ne siamo davvero sicuri? Vogliamo davvero un ritorno di Silent Hill? E se sì, a che prezzo dovremmo pagare per vederlo accadere?
Da questo momento in poi ci saranno spoiler, non solo sulla serie Silent Hill (in particolare il 2 e il 3), ma anche su un titolo apparentemente molto lontano dalla serie, ovvero il secondo capitolo della The Dark Pictures Anthology, Little Hope, per quanto personalmente ritengo che quest’ultimo titolo non sia un granché sarebbe un peccato se la tua esperienza coi Silent Hill (ancora una volta, in particolare il 2 e il 3) venisse compromessa dagli spoiler!
C’era una volta a Silent Hill
Amo la serie Silent Hill, anche i capitoli recepiti leggermente peggio come Homecoming, che ho effettivamente amato, pur riconoscendo che qualcosa, purtroppo, stava cambiando. Ritengo Silent Hill 2 uno dei punti più alti non solo della serie, ma dell’intero medium videoludico, e sebbene la saga abbia iniziato a dare segni di cedimento già a partire da Silent Hill 4, si è saputa riprendere alla grande con titoli successivi come Silent Hill Origins, guadagnandosi quindi un meritato posto d’onore tra le serie più importanti e influenti di sempre grazie a una lista di successi che supera di gran lunga i passi falsi.
Nella settimana appena trascorsa, approfittando di un periodo non particolarmente ricco di uscite, ho finalmente dato una chance al servizio PlayStation Now che è possibile provare gratuitamente per una settimana, il tanto parlare di Abandoned mi aveva messo addosso una sincera voglia di tornare a perdermi tra le strade nebbiose di Silent Hill ed essendo la HD Collection (che ha ben poco sia di HD che di Collection) nel parco titoli del Now ho deciso di tornare a vestire i panni tanto di James Sunderland quanto di “Heather” Mason.
Il verdetto indiscutibile è che sono invecchiati davvero bene, soprattutto il secondo capitolo, non che il terzo non regga il confronto, ma ho sempre pensato che il sapore un po’ più “nipponico” di alcune scelte lo abbiano reso nel corso degli anni lievemente meno gradevole agli occhi di un pubblico europeo. Il punto però è un altro: i temi trattati e le immagini mostrate.
Una delle polemiche più sterili (e purtroppo più frequenti) che si fa nei confronti del nostro amato medium videoludico è che molte volte i videogiochi puntino tutto sulla violenza e sulle immagini forti, sappiamo che naturalmente non è vero è che se qualcosa di più crudo e truculento viene mostrato a schermo è quasi sempre contestualizzato (non mancano gli outsider in cui sangue e violenza sono gratuiti, molto spesso per il puro gusto di far parlare del gioco), tuttavia, negli ultimi anni l’intrattenimento in generale non se la passa bene, in una società che adotta un modo di pensare sempre più perbenista e falsamente inclusivo.
Gli sviluppatori e i distributori di videogiochi hanno visto negli anni degli oppositori di qualunque tipo fare muro nei confronti del medium videoludico e alimentare pregiudizi su qualcosa che nella quasi totalità delle volte non avevano mai approcciato in prima persona. Questo ha portato il mercato a orientarsi molto spesso verso qualcosa di più “sicuro” così da preservare gli introiti e il tempo e lavoro speso sulle proprie proprietà intellettuali. Non che al giorno d’oggi non manchino titoli più coraggiosi della media, mi viene da pensare a God of War III, un vero e proprio bagno di sangue, o a The Last of Us Parte II, che presenta una delle narrazioni più mature e profonde (sebbene nulla di realmente innovativo) per un videogioco.
Con Silent Hill però si va ancora oltre, basti pensare a Silent Hill 2, che tocca temi delicatissimi come l’eutanasia e il suicidio e lo fa senza la paura di affrontarli, mettendo il povero James Sunderland, a seconda delle nostre scelte, dalla parte della vittima o del carnefice, oppure a Silent Hill 3 che, per citarne solo una, nelle battute finali mette in scena in rapida successione un aborto e un banchetto che ha come portata principale un feto. Immagini fortissime, difficilmente replicabili in un videogioco prodotto al giorno d’oggi.
Penso (o meglio, temo) che certi elementi non possano trovare spazio in un Silent Hill moderno, non è un pensiero campato in aria, mi basta guardare alla recente Mass Effect Legendary Edition, in cui rispetto alle versioni originali dei titoli sono state modificate alcune specifiche inquadrature per timore che certi personaggi risultassero sessualizzati, per capire quanto determinate tematiche siano difficilmente riproponibili oggi. E in effetti, a ben guardare, tutto ciò è già successo…
Un nuovo Silent Hill esiste, purtroppo.
Chiariamoci subito, no, non ti sei perso un nuovo Silent Hill annunciato in sordina e già disponibile, semplicemente c’è una software house che ha ripreso in tutto e per tutto le colonne portanti della serie per realizzare un titolo, purtroppo, mediocre. Sto parlando di Supermassive Games e del suo Little Hope, secondo capitolo della The Dark Pictures Anthology.
Questa antologia dell’orrore ha avuto inizio nel 2019 con il primo capitolo, Man of Medan, e nel 2021 tornerà sugli scaffali con House of Ashes. Il problema della serie, davvero innovativa nell’intento di proporre a cadenza annuale un nuovo capitolo che tratti una differente branca della cultura horror, sta tutto nella realizzazione, piatta e oltremodo banale, il che si riflette tutto in un horror che non riesce a spaventare.
Naturalmente si tratta di gusti personali, probabilmente ci sarà una fetta di videogiocatori a cui i primi due capitoli sono piaciuti, ma a livello personale, dopo la delusione di Man of Medan, ho visto in Little Hope qualcosa di potenzialmente migliore, attesa purtroppo disillusa (e col fatto che i primi trailer di House of Ashes mi dicono davvero poco pensa che ormai l’antologia non abbia molto da dire), soprattutto nelle battute finali, momento in cui il titolo si rivela una goffa imitazione di Silent Hill.
Quella che inizialmente sembra solo una classica storia di possessione e stregoneria che si svolge in una città bagnata da sangue innocente e ormai abbandonata, nel finale invece vuole apparire un dramma psicologico e un cammino di redenzione per Andrew, unico protagonista reale della faccenda che fa (e non poco) il verso a Travis Grady, protagonista dell’eccezionale Silent Hill Origins nel modo in cui arriva a Silent Hill e James Sunderland per come Little Hope diventa in realtà il personale purgatorio del personaggio.
Col senno di poi, la cittadina Little Hope tenta in tutto e per tutto di mimare la spettrale Silent Hill, a partire dall’onnipresente nebbia fino ad arrivare alle ambientazioni come la chiesa e la società storica (luoghi importantissimi rispettivamente per Silent Hill 3 e 2, in cui ha inizio la vera discesa nell’abisso dei protagonisti) o ancora al dopplegnager di Angela, chiara imitazione dei Lurker di Silent Hill Homecoming.
Purtroppo però ciò che ne risulta è un dramma piatto che, sebbene punti in maniera completamente esplicita sulle scelte morali (data anche la natura del gioco), non riesce nemmeno per un secondo a creare l’empatia necessaria coi personaggi che svaniscono pallidamente rispetto al cammino e all’approfondimento psicologico di James Sunderland che, senza alcun bisogno di mostrare a schermo un diagramma della moralità, risulta estremamente più profondo e umano di tantissimi personaggi che negli anni sono stati più o meno ricalcati su di lui.
Anche dal punto di vista della paura che si riesce a incutere nel giocatore, Little Hope risulta completamente inefficace e cede praticamente sempre al jumpscare citofonato per tentare di incutere timore. Silent Hill invece non voleva mai spaventare, quanto inquietare e mettere a disagio chi impugnava il controller mettendolo davanti a immagini rivoltanti e situazioni scomode in cui ci si chiedeva sempre se si fosse nel giusto o meno, il senso di inadeguatezza provocato dai titoli della serie stava anche nel voler completamente eliminare la comfort zone del giocatore.
Basti pensare alla radio, elemento onnipresente nella serie e “radar” che avvertiva i giocatori della presenza di creature sovrannaturali con i suoi disturbi audio, il suono fastidioso (soprattutto se si gioca con le cuffie, elemento consigliato all’inizio di ogni capitolo a partire da Origins) non è un’eccezione, ma fa parte della regola che, invece, al giorno d’oggi troviamo all’opposto perché il giocatore DEVE essere sempre a proprio agio e padrone della situazione (con le dovute eccezioni come i Souls e Bloodborne di casa FromSoftware) quando in realtà in Silent Hill eravamo piuttosto vittima degli eventi e di noi stessi.
Il confronto tra la storica serie di survival horror e la moderna antologia dell’orrore è stato del tutto fortuito, avendo recuperato Little Hope poche settimane fa prima di rimettere mano ai vecchi Silent Hill, eppure col senno di poi sembra inevitabile dal momento che mi ha messo davanti a due mondi totalmente agli antipodi che però, per quanto distanti, rappresentano due facce della stessa medaglia.
Per quanto ci siano sviluppatori un po’ più coraggiosi e con più libertà di manovra, soprattutto nel mercato indie, è chiara la direzione verso cui il medium videoludico sta andando ed è molto lontana dai vecchi Silent Hill. Pertanto, questo mio approfondimento non vuole chiudersi con una risposta, bensì voglio ripetere la mia domanda iniziale: sapendo che potremmo ritrovarci davanti qualcosa di molto diverso dal previsto, vogliamo davvero un nuovo Silent Hill?