Oddworld è una serie che ha fatto della sua stranezza – da cui l’omonimo pianeta su cui hanno luogo gli eventi dei giochi – il proprio marchio di fabbrica. E come ogni progetto “nato strano”, il visionario (o, per citare lo youtuber Caddicarus, il “leggendario, illimitato e succulento”) Lorne Lanning non ha dimostrato timore nell’andare contro il gusto più marcatamente “mainstream” quando ha dato alla luce il primo Abe’s Oddysee nel 1997, il cui remake New ‘n’ Tasty è oggi oggetto di recensione. Possiamo definirlo un gioco controcorrente nel gameplay, nella storia e nello stile.
Cerchiamo di essere più chiari: è un gioco che piace, ma non di uno che vuole piacere. La verve creativa di Oddworld Inhabitants – storico team di sviluppo – è paragonabile al fumetto underground come Cerebus, o all’animazione “scomoda” di Ralph Bakshi. Il progetto dell’ambiziosa “Quintologia di Oddworld” è nato da un’idea: quella di raccontare una storia dove sono la direzione artistica e il messaggio di fondo a farla da padrone. Come una novella Alice, tra le labbra cucite e un ittero paio di occhi a palla, è giunto il momento di passare attraverso lo specchio deformante che riflette e distorce la nostra società.
“Bibita Tempesta d’Anime! Il nostro vomito è la vostra sete!”
Il protagonista Abe, in un ruolo a metà tra Charlie Chaplin in Tempi Moderni e l’italianissimo ragionier Ugo Fantozzi, ci dà il benvenuto in una storia narrata quasi in medias res: braccato per aver visto troppo. La “megaditta” in questione mostra la piramide sociale deliziosamente idiota su cui si regge l’intera logica di Oddworld. I Glukkon, classe sociale di ceto alto che consiste in creature in giacca e cravatta capaci solo di camminare e dare ordini, hanno trasformato in snack l’intera fauna, portando alcune specie all’estinzione. E il “troppo” che ha visto Abe consiste in una premessa semplice: il prossimo prodotto “New ‘n’ Tasty” non sono altro che gli stessi operai.
Un brivido percorre la nostra schiena nel constatare la critica sociale su più livelli dei primi minuti di gioco. Da questo punto in poi, lo scenario distopico tanto brutale quanto volutamente cretino – sulla falsariga di Brazil di Terry Gilliam – verrà sviscerato, figurativamente e non, durante la nostra permanenza ai Mattatoi Ernia. L’esasperazione del consumismo è un tema portante che contraddistingue anche i seguiti, andando pure a toccare tremendi parallelismi con gli esperimenti del dottor Mengele nella seconda guerra mondiale.
Con l’avvento di PlayStation 5, Oddworld Soulstorm si preannuncia già come ciò che il primo seguito – Abe’s Exoddus – avrebbe voluto essere se non fosse stato soggetto al famigerato crunch. Per fortuna, ci troviamo in un periodo molto più recettivo verso i progetti più marcatamente “diversi”, grazie anche ad un contesto sociale con un confine tra bianco e nero più netto e meglio delineato. Sembra dunque che l’esperienza cinematografica che Oddworld Inhabitants ha voluto riporre nei giochi sia finalmente di nuovo sui binari: dal canto nostro, a questa Greta Thumberg ante litteram possiamo solo dire “bentornata”.
Cinematografico in ogni senso
Piaccia o no, con Oddworld: New ‘n’ Tasty ci troviamo di fronte ad un platformer cinematografico. Questo genere differisce dal platformer standard in quanto si tratta di un’esperienza meno astratta e più ancorata alle leggi della fisica del mondo reale. Non è un genere facile da digerire: al posto di livelli rigiocabili a piacimento abbiamo un progresso lineare a senso unico, i salti si limitano alle capacità umane (sì, umane, persino nel caso di Abe) e lo stesso vale per la nostra vulnerabilità. Nei casi migliori, il platformer cinematografico porta a classici amati come Another World; altrimenti, i risultati possono trascendere nel becero come Heart of Darkness per PlayStation.
Per fortuna, narrare una storia attraverso il gameplay (sebbene fallendo nell’obiettivo di restare nei meandri del platformer classico; quest’onore spetta a Mega Man X) è un traguardo che Oddworld ha sempre saputo raggiungere a pieni voti e con tanto, tanto carisma. Non farti illusioni: questo gioco saprà massacrare Abe a piè sospinto, e occasionalmente farà lo stesso anche a te emotivamente. Non per questo, però, possiamo dire che il risultato finale non sia godibile. Forse potremmo essere più critici parlando dell’Abe’s Oddysee originale, ma il remake ha saputo smussare molti angoli.
Partiamo dal principio. Prendiamo il controllo di Abe nel pieno della sua fuga, subito dopo aver scoperto che il resto della razza Mudokon (dalle forti connotazioni semitiche, che aggiungono alla critica sociale un ulteriore strato di amarezza) sostituirà le specie estinte nella catena alimentare. Il tutorial c’è, ma non intende tenerci per mano; è in questo frangente che vorremmo notare la localizzazione in italiano. Siamo passati dal doppiaggio in stile Crash Bandicoot ai sottotitoli à la Kingdom Hearts. Il risultato perde quel gusto tipico del gioco originale, ma mantiene una forte identità.
Questo si estende anche a tutti i cartelli, che ci spiegano passo passo i molteplici comandi che ci permettono di sgattaiolare da un punto all’altro dei Mattatoi Ernia (e non solo). Non abbiamo usato il verbo “sgattaiolare” a caso, però: per la maggior parte di un Oddworld qualsiasi, il giocatore è quasi completamente inerme. L’astuzia e l’ingegno sono ciò che più ci saprà premiare, perché affrontare apertamente gli Slig (le unità di fanteria dalla bocca in stile Cthulhu, terza immagine) ci porterà rapidamente a soccombere. Saltare, correre, muoversi in punta di piedi, azionare le leve: ognuna di queste azioni sarà la chiave per la nostra sopravvivenza.
Un discorso a parte va fatto per il GameSpeak, la meccanica di gioco basata sulla comunicazione. Parlare con gli altri Mudokon e guidarli con noi, oltre a strizzare l’occhio non poco a Lemmings, ci permetterà di orchestrare una gestione corale delle varie azioni. Per nostra fortuna, il remake del primo Oddworld include il comando “Tutti quanti” (“All o’ ya”) dal secondo capitolo Abe’s Exoddus con cui richiamare l’attenzione di tutti i presenti. Ciò che Abe può fare con la voce, però, non si limita a questo.
Il canto, per chi non conoscesse la serie, è l’abilità che contraddistingue Abe (l’altra è fare aria dal posteriore a comando… sì, è questo genere di gioco). Combinando i due grilletti del controller, avremo modo di entrare in trance e possedere il nemico più vicino. Portare gli Slig al suicidio è sempre un piacere, a patto che non ci siano telecamere dall’obiettivo rosso nei paraggi: cantare nel loro raggio d’azione corrisponde a una punizione ad altissimo voltaggio. Non che questo tipo di saetta nello specifico sia mai stato fatale, men che meno in Oddworld: New ‘n’ Tasty.
Cogliamo l’occasione per parlare degli angoli smussati a cui alludevamo in precedenza, prima di procedere oltre con la recensione. Il remake non si limita a passare da un motore grafico prerenderizzato ad uno interamente poligonale: i cosiddetti cambiamenti quality-of-life ci sono eccome, e rendono l’esperienza quanto mai piacevole. Innanzitutto, l’introduzione di livelli di difficoltà più permissivi aggiunge ad Oddworld: New ‘n’ Tasty caratteristiche come checkpoint e punti vita. I primi sono contestualizzati in base al tema dell’ambientazione in cui ci troviamo, mentre i secondi – rappresentati dagli uccelli che ci circondano – si possono ricaricare cantando in loro presenza.
L’altra aggiunta, però, vorremmo tenercela per dopo. Tornando al canto e agli uccelli, il loro ruolo nel gioco originario consisteva nella formazione circolare in cui erano – e sono – soliti volare. Un anello di uccelli, mediante il canto, apre un portale. Quest’ultimo può essere di due tipi: il primo si chiude non appena i Mudokon che ci seguono lo usano per precipitarsi verso la salvezza (con la stessa rapidità – di nuovo – dei Lemmings), mentre il secondo resta aperto anche dopo che abbiamo finito di cantare. In questo caso, si aprono zone segrete che collegano l’interno della fabbrica con altre aree di gioco, e viceversa.
Già: sebbene la longevità di un platformer cinematografico dipenda molto dalla difficoltà (uno speedrunner esperto può finirlo in tre ore circa), ad “ingrassare” il gioco provvedono le molte aree segrete. Non è un gioco che va per il sottile: i segreti erano già numerosi nell’Abe’s Oddysee originale, ma qui sono aumentati insieme al numero di Mudokon da salvare. Nel gioco originale erano 99, mentre il remake ha deciso di mettersi in pari con il seguito Abe’s Exoddus alzando l’asticella di un paio di centinaia. Il progresso lineare ci ricorda di questo limite: se un cartello ci ricorda che tutti i Mudokon ancora non salvati rischiano di morire, ci conviene tornare indietro e indagare.
Questo ci porta all’ultimo cambiamento apportato dall’aspetto “quality-of-life” di Oddworld: New ‘n’ Tasty. La gestione dei salvataggi è molto più flessibile rispetto al gioco originale, grazie all’introduzione del salvataggio rapido visto in Abe’s Exoddus anni prima (o dopo, riferendoci al titolo originale). In aggiunta, oltre ai già citati checkpoint per i livelli di difficoltà minori, ogni volta che compare il nome di una nuova location su fondo nero significa che siamo entrati a far parte di un nuovo capitolo, il cui sblocco apre la possibilità di scegliere da quale iniziare nel menù principale. Questo menù ci mette di fronte al tempo migliore di completamento e alla percentuale: un ottimo bonus per, rispettivamente, velocisti e completisti.
Le location, infatti, non si limitano al solo inferno industriale dei Mattatoi Ernia (contrariamente a quanto una delle mappe degli “Zulag”, in stile metroidvania, ci lasci intuire). Non appena l’abbandono prematuro dello stabilimento da parte nostra condanna i Mudokon a morte certa, sopravvivere alle insidie del recinto del bestiame – compreso il bestiame stesso – ci permette di lasciarci alle spalle i Mattatoi Ernia per passare all’ugualmente insidiosa natura del mondo di Oddworld. Il voluto contrasto tra i pericolosissimi impianti e l’altrettanto perigliosa (ma molto più spirituale) natura che li circonda è emblematico del dualismo che la serie Oddworld respira in ogni capitolo.
Solitamente, l’aspetto grafico è qualcosa di cui parleremmo nelle battute finali della recensione, ma nel caso di Oddworld: New ‘n’ Tasty dobbiamo proprio fare un’eccezione. Le inquadrature dinamiche, a discapito di una gestione dei movimenti tradizionalmente 2,5D, hanno reso il gioco non solo più godibile, ma anche più accessibile. Nell’Abe’s Oddysee originale, il passaggio da uno schermo all’altro, netto, in puro stile Mega Man (Mega Man classico, intendiamo, non X), rendeva talvolta impossibile aspettarsi uno Slig, uno Scrab, un Paramite o persino un baratro senza andare per tentativi. Non è più questo il caso.
Non si tratta però di un gioco esente da difetti, per quanto il passaggio all’era dell’HD abbia giovato enormemente all’originale Abe’s Oddysee. I movimenti, come impone la tradizione del genere dei platformer cinematografici, restano comunque legnosi e poco intuitivi. In modo analogo, là dove la grafica ha aiutato il titolo, nel caso di qualsiasi versione che non sia in inglese il sonoro crea una sorta di barriera. Il GameSpeak, fortunatamente sempre testabile nella schermata del titolo, richiede una buona memoria da parte del giocatore: un “Follow me” di troppo potrebbe costare a un Mudokon incosciente un incontro ravvicinato con uno dei tanti tritacarne del gioco.
Una recensione “New ‘n’ Tasty” per Oddworld, nelle sue stranezze e nel suo fascino
Descrivere Oddworld nel suo complesso non è semplice: non lo sarebbe per una retrospettiva, non lo è nemmeno per la recensione di un singolo capitolo. Ad ogni modo, le migliorie che Just Add Water ha apportato al motore grafico dell’originale Abe’s Oddysee hanno giovato enormemente al titolo. Il passaggio dalla grafica prerenderizzata (modelli 3D “stampati” su elementi 2D, come in Donkey Kong Country) ai filmati in computer grafica creava una buona illusione nel 1997, ma oggigiorno un motore grafico interamente poligonale ha i mezzi per rendere giustizia alla visione originale in HD. Se vuoi un’idea, ti lasciamo a un confronto video diretto tra le due versioni.
Per quanto concerne il contesto del sonoro, Oddworld: New ‘n’ Tasty ricorre alla cosiddetta musica “atmosferica”. Si tratta di una colonna sonora meglio apprezzata nel contesto originario, proprio perché espressamente mirata a creare atmosfera. I brani, spesso cupi e opprimenti, si sposano alla perfezione con un mondo ostile al nostro improbabile messia. Da applausi gli effetti sonori, che nei meandri dei Mattatoi Ernia si trovano al loro apice. La sensazione di essere braccati dietro quasi ogni angolo è tangibile. Puoi avere un assaggio della colonna sonora “nuova e gustosa” qui sotto.
La longevità, come molti dei titoli di cui abbiamo parlato finora su queste pagine, è legata a doppio filo alla difficoltà. La presenza di segreti porta con sé anche due possibili finali: per ottenere quello migliore, lo spartiacque è fissato a metà del numero totale di Mudokon presenti nel gioco. Fortunatamente, la possibilità di scegliere da quale capitolo ripartire permette di fare pratica quanto necessario per affinare le proprie abilità, sebbene la componente stealth del gioco renda il ritmo tanto teso quanto lento. Si tratta di 30 euro più facili da digerire rispetto all’originale, ma sempre “monouso”.
In merito al gameplay, difficilmente potremmo aggiungere qualcosa che non abbiamo già detto in precedenza. Il platformer cinematografico è un genere che già esiste dai tempi del primissimo Prince of Persia del 1989, e in teoria si tratta di un gameplay facile da trasporre anche su piattaforme con schemi di controllo più semplici. Ne abbiamo avuto la prova con il demake del primo Abe’s Oddysee su Game Boy, con il nome di Oddworld Adventures (Exoddus ha ripetuto l’impresa su Game Boy Color, con Oddworld Adventures 2). Si tratta di un gioco che sa ricompensare gli sforzi del giocatore; ciò non toglie che New ‘n’ Tasty li richiede senza mai farne mistero.