Nell’ormai lontano 1984 usciva per MS-DOS un vero e proprio cult del videogame fantascientifico. Oggi infatti ti parliamo di Wing Commander. Si tratta dell’opera più celebre di un altrettanto importante e storico autore, nientemeno che Chris Roberts. Se non conosci questo prolifico e importantissimo game designer sappi che è lo stesso personaggio che si trova dietro al progetto di Star Citizen. Le navi e lo spazio sembrano quindi essere il pallino di quest’uomo!
Tornando a noi, era soltanto il 1990 quando entrò in casa mia il primo computer. In quest’ormai preistorico 386, oltre ad applicazioni standard come l’immortale Pain,t erano installati anche dei giochi, colorati ammassi di texture con suoni e melodie MIDI in 8 bit. Titoli dal comparto tecnico ormai quasi difficili da giocare, ma che a quell’epoca erano in grado di trasportati in mondi sconosciuti e farti sognare. Molti di questi giochi erano in inglese e quindi per un me più piccolino la barriera linguistica era piuttosto insormontabile, soprattutto considerato che la parte testuale in questi titoli era predominante.
Ed è proprio questo il contesto in cui iniziai a giocare a Wing Commander, che invece fu capace di coinvolgermi anche soltanto grazie alla sua incredibile intro, con un maestro d’orchestra che batteva sul leggio richiamando all’attenzione i musicisti, pronti a lanciare la presentazione della casa del videogioco Origin Systems.
Dopo una breve presentazione degli sviluppatori, iniziava una melodia militare ed epica che riportava a schermo la frase “In the distant future mankind is locked in a deadly war; subito dopo era possibile vedere tre navicelle fuggire, con una che le insegue sparando e riuscendo a farne esplodere una. Ed ecco che, di colpo, si stagliava sullo schermo allargandosi la scritta Wing Commander. Un’introduzione forse banale, ma in grado di farmi entrare nel mood di quest’opera, prima di una lunga saga che durerà per sette anni con cinque giochi principali e vari spin off.
A un passo dalla vittoria… o dal baratro!
La trama, caratterizzata da fortissime connotazioni da space opera, prendeva luogo in un futuro e lontano anno 2654, epoca in cui l’uomo era riuscito a mettere le mani su una tecnologia capace di farlo viaggiare nell’iperspazio. Con la possibilità di esplorare lo spazio, dopo poco l’umanità si era imbattuta nei Kilrathi, una specie aliena dalle fattezze leonine. Una specie incredibilmente somigliante a quella di Battle Beast del famoso fumetto Invincible.
Nei panni di un novizio, a te l’arduo compito di combattere questi alieni affamati di conquiste e di gloria (in qualche modo simili alla razza degli Elite di Halo). In Wing Commander entri a far parte dell’equipaggio della gloriosa TCS Tiger’s Claw, una enorme nave portaerei di classe Bengal della confederazione terrestre. La prima cosa che vedevi appena iniziavi una nuova partita era il simulatore di volo nel bar della Tiger’s Claw, espediente utile per dare un cognome e un nome di volo al proprio pilota.
Nel bar si potevano incontrare altri membri dell’equipaggio e farci due chiacchere, in modo da poter conoscere i propri commilitoni e scoprire un poco di più sulla lore del gioco. Usciti dal bar si iniziava a girare per le stanze della nave madre, trovando la caserma, schermata in cui si poteva caricare e salvare la campagna, e ultima la stanza di comando in cui si tenevano i briefing delle missioni.
Il gioco era un simulatore di navicelle spaziali, ma la vera novità introdotta da Chris Roberts era che le tue azioni andavano a influire sulla trama stessa del gioco, un elemento oggi molto comune nei videogame, ma che all’epoca era vera e propria innovazione.
Continuare a riportare vittorie in battaglia ti consentiva di salire di grado e guadagnare navi migliori e sempre più potenti, per poi sfociare in una missione finale che ti dava la possibilità di sferrare un colpo decisivo all’armata Kilrathi, attaccando il loro quartier generale e costringendoli a scappare dalla nostra galassia. Se invece, come capitava a un me piccolo e inesperto, continuavi a ridurre il tuo veicolo a una groviera perdendo le missioni, non solo ti toccava sorbirti gli insulti del meccanico e non ottenevi promozioni, ma l’umanità cominciava a perdere la guerra.
Fallimento dopo fallimento le missioni cominciano a farsi sempre più difficili e difensive. Continuare a perdere battaglie costringeva la TCS Tiger’s Claw a ritirarsi dal settore della galassia occupato, portando i nemici felini ad essere sempre più spregiudicati, aggressivi e a un passo dalla vittoria decisiva.
Che gameplay Wing Commander!
Caratterizzato da una una visuale in prima persona che dava proprio la sensazione di essere all’interno della cabina di pilotaggio, il gameplay di Wing Commander mi trascinò subito lontano nel suo mondo. Come armi principali erano disponibili i laser, utilizzabili in varie modalità di fuoco e senza alcun limite di munizioni, con solo una barra di surriscaldamento da dover tenere d’occhio.
A seconda della classe del velivolo erano disponibili anche armi speciali di vario genere, solitamente missili, comunque tutte utilizzabili un numero di volte limitato. Se non era previsto un rifornimento nella missione, una volta usate queste armi non erano disponibili fino all’avvio di una nuova quest. Serviva quindi avere un certo acume, da sfruttare per capire quando e se utilizzare l’armamento pesante.
A proposito di missioni, oltre ad avere una struttura ad albero queste potevano essere di vario tipo: dalla ricognizione alla difesa di navi alleate, fino alla distruzione di obiettivi strategici nemici.
Il gameplay di Wing Commander si scandiva in questo modo: si andava in missione, si ritornava alla portaerei, si facevano due chiacchere con i vari wingman al bar, si controllava il numero di nemici uccisi sulla lista dei migliori piloti, agognando il sempiterno primo posto di Maniac. Subito dopo si ritornava nella sala briefing, pronti per una nuova missione, con nel cuore soltanto un rinnovato senso di sana competizione verso il miglior pilota della Tiger’s Claw.
Ciò che mi colpiva di Wing Commander, la cui “pixellosa” grafica era un banalissimo vga, era la fantastica immedesimazione che ti provocava durante la battaglia. Ti sentivi realmente dentro a quella navetta, agganciando le navicelle nemiche, cercando di scappare da chi ti stava attaccato alla coda, con la fantastica possibilità di dare ordini ai tuoi compagni di squadra, anche se abbastanza basilari.
Sembrava quasi di essere lì a combattere battaglie degne di tutta la cinematografia di fantascienza, e anche se effettivamente non sapevo giocarci al meglio, dentro di me continua a vivere il fascino di trovarsi su quell’astronave, sempre la stessa, con gli interni simil arancione, che sparava delle cose che sembravano dei pallettoni di ferro e dei laser, sperando di riuscire a portare a termine la nuova missione e poter finalmente cambiare la navetta. Sogno che rimaneva sempre tale.
Un successo glorioso
Dopo la saga di Wing Commander ho provato a giocare ad altri giochi simili, ma non li ho mai trovati alla stessa altezza, un po’ per la malinconia di questa serie di titoli fantastica, un po’ perché non ho più trovato niente che mi desse sensazioni simili a quelle che provai all’epoca. A quanto pare però non fui proprio l’unico ad amare questo gioco alla follia, visto che all’epoca fece un’enorme successo. Dopo due espansioni, il successo di Wing Commander fu tale che il gioco venne convertito per tutte le console disponibili all’epoca fra cui Super Nintendo, Amiga e Sega CD.
Wing Commander ha anche il merito di essere uno dei precursori dei videogiochi story driven, tanto che nel terzo capitolo vennero inserite delle vere e proprie cutscene recitate da un cast di attori di tutto rispetto… Fra i quali mi piace annoverare Mark Hamill, l’iconico Luke Skywalker di Star Wars. Ma del terzo capitolo parleremo in un altro appuntamento di Old But Gold!
Nel caso fossi curioso di provarlo, puoi trovare Wing Commander su GOG al prezzo di 5,09€ completo delle espansioni e del seguito Wing Commander 2: Revenge of the Kilrathi.