Old But Gold, a centoundici articoli “suonati”, si concede un piccolo slancio di vanità, se vogliamo: è giunto il momento di parlare del primo Super Mario Bros., se ci puoi perdonare l’ordine anacronistico con cui stiamo sviscerando la saga dell’idraulico. Dopo esserci dedicati al terzo capitolo e alla raccolta All-Stars, crediamo sia l’occasione più propizia (specie dopo l’addio del battle royale, per il quale non c’è pesce d’aprile che tenga) per riscoprire le origini del verace, vivace e villoso volto videoludico per eccellenza. Non solo: puoi considerare questo articolo il seguito spirituale di un nostro precedente speciale.
Se hai seguito un nostro vecchio amico sia qui che in rete, potresti ricordare un suo speciale di tre puntate intitolato Nintendo Unplugged. La genesi di Mario, dapprima come caricatura e in seguito come vero e proprio archetipo ispiratore, ebbe già modo di compiersi con Donkey Kong nel 1981, prima che il fu Jumpman da carpentiere si riscoprì idraulico tanto italiano nel nome quanto nipponico, per amor di retcon, nella nazionalità canonica. Vediamo di ricamare rapidamente un ipotetico “Nintendo Rewired” prima di dedicarci esclusivamente al gioco il cui DNA riecheggia in ogni platformer esistente.
Dal cantiere alle fogne…
Il secondo gioco con protagonista il baffone era, senza il “Super” di cui parliamo in questo Old But Gold, semplicemente Mario Bros., classe 1983. Quando alludiamo all’identità del personaggio definendolo espressamente un idraulico, dimentichiamo sempre che era questo il titolo a fare della professione le fondamenta del gameplay stesso. Jumpman, dopo una capatina all’anagrafe in onore dell’imprenditore Mario Segale (uno dei cui magazzini divenne la prima sede di Nintendo of America) scomparso tre anni fa, passò così dalle peripezie tra pericolanti travi ad un impianto fognario abitato da tartarughe, granchi ed altri improbabili intasatori di scarichi.
I tubi che vediamo in ogni altro platformer della serie vengono proprio da qui. L’abito non fa il monaco, si sa, così come non sono la salopette e i tubi a fare l’associazione con un mestiere molto meno “pulito” di come lo faccia apparire il medium videoludico. Ciononostante, tra i capisaldi della serie nati in questo titolo c’è anche Luigi, o ruiji (“simile”) per dirlo alla giapponese. Parliamo di “capisaldi”, sì, ma intendendoli come meri rimasugli del concetto esplorato nel 1983, in quanto non legati ad esso indissolubilmente. Non a caso, infatti, il salto di qualità che valse il “super” al titolo del seguito ha mantenuto ben poco dello sfondo nero tipico del sottosuolo (e dei videogiochi fino ad allora).
… fino al mondo della fantasia!
Solitamente, nei nostri Old But Gold l’oro in questione risiede più nelle lenti dei nostri occhiali da nostalgici, ma Super Mario Bros. ha davvero rappresentato una autentica rivoluzione. Shigeru Miyamoto, oggi forse noto per un approccio più arcaico al game design ma a suo tempo indiscusso pioniere, portò con sé un notevole vento di novità. La storia di R.O.B. la sappiamo tutti: dopo il crash del 1983 a cui contribuì E.T. L’extraterrestre, ci volle un aggancio per poter avere successo con una console. La killer app, per molti, fu il robottino, ma gli hardcore gamer – nicchia già esistente in tempi non sospetti – speravano in un gioco vero e proprio.
Traendo a piene mani dai funghi magici dei romanzi di Lewis Carroll, capaci di alterare la statura di chi li ingeriva e sostituendo i fondali cupi con uno sfondo pieno di colori, il gioco del 1985 fu molte cose. A livello di cultura popolare, per un titolo secondo solo a Pac-Man nel citazionismo che riceve in qualità di videogioco stesso, l’influenza del gioco resta tuttora innegabile a prescindere dal vessillo che ogni giocatore decida di brandire in base alla propria console favorita. Il primo segnale, questo, che il medium videoludico in quanto tale avrebbe ancora avuto tanto da dire, ben lontano dalla moda passeggera come i retrogradi erano già pronti a definirlo.
Una lunga rincorsa, una scommessa vinta
Prima di proseguire oltre nel nostro Old But Gold, chiariamo un punto: oggigiorno siamo abituati ad intendere quel “Super” come un appellativo associato all’eroe in sé, ma in realtà è stato Mario Bros. stesso a ricevere un upgrade. La valenza duplice del titolo del gioco, però, rimane: in una sorta di metafora per l’esperienza videoludica stessa, con i già citati funghi il protagonista aveva modo di crescere. Ma nel suo offrire di più al suo pubblico, questo classico ha anche saputo osare nel chiedere qualcosa in cambio. La coordinazione occhio-mano, da sola, non bastava più.
Con la presenza di nuove meccaniche, infatti, il gioco esigeva anche una maggiore strategia dal giocatore… e, in alcuni casi, anche dal gamer moderno. Per fare un esempio, ogni salto dipende dall’inerzia in modo quasi ossessivo. Pertanto, i movimenti aerei vanno anche calcolati prima ancora di alzarsi da terra. L’improvvisazione, rispetto anche al Crash Bandicoot più crudele e punitivo come It’s About Time, non solo non porta a nulla; il gioco la castigherà con tutta la cattiveria che ha in corpo. Chi si sottopone a tale allenamento, fatto più di morti che di tutorial, o nuota o affonda. Quando si riesce a stare a galla, però, viene il bello.
Da one-oh-one a one-dash-one il passo è breve, o forse no
Non farti ingannare dall’apparente omogeneità nelle immagini di questo Old But Gold: ogni singolo livello di Super Mario Bros. vanta un’identità ben precisa e, in questo primo mosaico di Miyamoto su larga scala, anche un proprio scopo. Purtroppo, prima di 3D World su Wii U e Nintendo Switch, raramente un platformer lineare della serie regolare è sfuggito alla convenzione nominale dei vari livelli: ognuno di essi è rappresentato da due numeri, separati tra loro da un trattino. Tuttavia, ai tempi dell’uscita di questo leggendario titolo non era affatto comune che uno scenario avesse un nome a cui, per così dire, “rispondere”.
Non è però un caso se il primo livello, il famosissimo 1-1, è stato inserito nel gioco per ultimo: come ci insegnano i vari Maker, creare sfide atroci in base a ciò che Nintendo stessa ci ha insegnato è facile, un po’ meno impartire lezioni a chi gioca. E mentre Miyamoto e i suoi si trastullavano con le peggiori trappole con facilità, la sfida più impegnativa per loro è stata insegnare con naturalezza al giocatore cosa fare. I miracoli, però, nel level design avvengono: già nei primi istanti di gioco apprendiamo che alcuni funghi fanno bene e altri no, mentre prima di introdurci a un fossato il livello ce lo mostra senza il rischio di cadere.
La tipica auto di seconda mano per i neopatentati
Quindi sì, per quanto l’oro non manchi in questo Old But Gold, Super Mario Bros. non è esente dalla ruggine. Tutt’altro. Prima che arrivasse (a pochissimo tempo dal primissimo Crash Bandicoot) anche l’avventura del baffone per Nintendo 64, l’unico modo per difendersi al di fuori dei power-up era un salto in testa ai nemici, che richiede comunque un notevole tempismo. Tuttavia, i dettami di ogni platformer “classico” sono tutti presenti: monete da raccogliere, di cui cento per avere una vita extra, aree segrete, i già citati power-up come i Fiori di Fuoco con cui attaccare (quasi) qualsiasi nemico.
Persino il concetto dei boss, al di fuori di quel letterale traguardo sotto mentite spoglie che era lo stesso Donkey Kong, trova uno dei propri antesignani in questo grande classico. La già citata ispirazione letteraria nell’immaginario del Paese delle Meraviglie si traduce nel Regno dei Funghi, dove la principessa da salvare – lontana dall’odierno distacco nei confronti dell’archetipo – governava la sua devota popolazione composta da funghetti viventi, prima che Bowser (un po’ per una cotta, un po’ per portare avanti una vera e propria invasione) la rapisse lasciando a Mario (ormai più figlio della fantasia che del nostro mondo) l’onere di trarla in salvo.
Koopacabana
Ci concediamo una piccola digressione nel nostro Old But Gold per parlare di Super Mario Bros. come viene percepito al di fuori degli occhi. Koji Kondo ha firmato qui la sua prima colonna sonora per l’idraulico, composta da una decina di brani al massimo se contiamo anche i jingle minori. Nel loro piccolo, però, le note che accompagnano il volto di Nintendo nei suoi primi scenari all’aria aperta sono forse il brano videoludico tuttora più noto al di fuori della cultura che concerne questo settore. In generale, molti brani di Kondo vengono “presi in prestito” anche dalla TV italiana, tra una versione orchestrale della Valle Gerudo di The Legend of Zelda: Ocarina of Time nei documentari di Alberto Angela e, da questo gioco, la bandiera di fine livello per Resta a casa e vinci.
La chicca, però, ce la fornisce Nobuo Uematsu. Lo storico compositore di Final Fantasy per conto di Square-Enix, nonché fondatore della band metal The Black Mages, con Fantasian va in pensione lasciandosi alle spalle un’enorme eredità musicale, tra cui il tema principale di Super Smash Bros. Brawl. In quest’ultimo gioco del 2008, lo stesso Koji Kondo ha colto l’occasione per riarrangiare il suo primo tema mariesco “come sarebbe dovuto essere in principio”: con una musicalità pseudo-caraibica. Di questa leggendaria melodia, Uematsu ha detto che dovrebbe essere promossa ad inno nazionale del Giappone. Per dire!
Lui, giocatore 2
La “lore” mariesca, in mancanza di materiale prettamente narrativo su cui lavorare, solitamente non tende a rivangare eccessivamente quanto stabilito nel primo Super Mario Bros.; tuttavia, vista la sua influenza sulla cultura popolare, il gioco ha avuto delle ripercussioni sui futuri episodi della saga. Ricordiamo bene che, canonicamente, la tendenza a relegare Luigi al ruolo di secondo giocatore lo ha reso “ufficialmente” un fifone, ma in realtà “baffetto verde” è anche altro. Parliamo del primo “seguito” vero e proprio, meglio definibile come una campagna DLC per gli standard odierni.
Oggigiorno nota come The Lost Levels, la seconda “superavventura” dell’idraulico ci dava modo di scegliere tra “gioco con Mario” e “gioco con Luigi” nella schermata del titolo, al posto del consueto “un giocatore” e “due giocatori”. Non si trattava di una pura scelta estetica, perché la combo tra salti generosi e frenate difficili nacque proprio con questa riedizione del 1986. Naturalmente, però, questa prima concessione di Nintendo non veniva a buon mercato, anzi; in cambio, il giocatore aveva il compito di sfruttare ogni possibile freccia di ciascun arco, per sopravvivere alle folate di vento, ai funghi velenosi e ai mille tranelli di questa difficile avventura. Ma questa, si sa, è un’altra storia per un altro giorno.
Un Old But Gold a fagiolo, o Super Mario Bros. manca di tatto?
Probabilmente avrai già capito su quale nota agrodolce vogliamo concludere il nostro Old But Gold: ci sembra un modo più dignitoso per concludere il trentacinquesimo anniversario del gioco, questo, rispetto alla mai troppo prematura rimozione di Super Mario Bros. 35. Ma non è solo questo. Se da un gioco del 1985 si può trarre un battle royale nel 2020, vuol dire che il titolo interessato ha ancora tanto da dire se lo si reinterpreta con la giusta chiave (come ci ricorda Pac-Man 99), specie se consideriamo che la più recente incarnazione – al di là delle intromissioni reciproche tra giocatori – non ha modificato virtualmente alcunché.
Brindiamo così, nel nostro classico stile di iCrewPlay, ad un titolo praticamente immortale nella sua incapacità di far smettere di parlare di sé, augurandoci anche che nel 2025 Nintendo non fraintenda l’intento di celebrare le proprie celebrità con la celerità nel chiudere la porta ai ritardatari. Perché, va detto, è questo che separa la vera riverenza verso le proprie radici dalla mera puntualità verso la scadenza di un anno fiscale. Quindi ancora tanti, tanti e ancora tanti auguri, caro idraulico, da tutti coloro i quali – a prescindere da dove si trovi la X sul loro controller – devono anche a te la propria passione, che lo si ammetta o meno.